Quid novi?

Rime di Celio Magno (232-240)


Rime di Celio Magno232A nome di donnaBen mi fu, Chiara, il ciel largo e cortesee di sue grazie ogni alto sogno vinse,allor che, 'l cor legando, a voi mi strinse,tal ch'a più nobil laccio unqua non prese.Rare bellezze, e più non viste o intesein voi natura con virtù ristrinse;così Febo di lauro il crin vi cinsee d'ogni bel desio l'alma v'accese.Sol ebbi stella in ciò scarsa ed avara:ch'or da me lunge in altra parte io mirorisplender vostra vita amata e cara.Il cui lume goder spero e sospiroun dì con sorte a pien felice e rara,e 'n sì dolce pensier lieta respiro.233Poiché fortuna al mio amor nemicada voi lontano in questo mar mi tiene,lasso, sempre son visso in doglia e 'n penené saldar si può ancor la piaga antica.Spesso m'ancide il duol; poi spesso amicapiù tiemmi in vita del tornar la speme,come vivo per pioggia si mantienefior dal sol quasi estinto in piaggia aprica.Ben sallo Amor, che con la mente voltosempre mi vide ov'ogni ben lasciai,e di lagrime sempre umido il volto.Né spero tregua a le mie pene maifinch'io non sia tra quelle braccia accolto,lasso, che troppo intensamente amai.234O del mio reo destin, ch'or mi constringelontano errar dal caro idolo mio,e del pianto e del duol soave oblio,pensier, quanto il tuo merto a te mi stringe!Per te spesso felice il cor si finge,mentre il bel viso e 'l dolce sguardo pioe 'l riso e 'l gioco e quanto invan desio,sì vivo agli occhi miei da te si pinge.Ahi macchia indegna del mio puro ardore!poich'in tanta miseria, ov'or mi veggio,può dar alcun piacer tregua al dolore.Parti dunque, pensier, trova altro seggio;perch'io senza 'l mio ben, senza 'l mio core,né conforto curar, né viver deggio.235Pur volgo i passi, e n'è ben tempo omai,al mio bel nido, al mio dolce soggiorno;e 'l cor insieme a ricovrar ritorno,ch'ivi piangendo in sul partir lasciai.Tre volte cinta d'argentati rai,la figlia di Latona ha mostro il corno,ch'indi lontan non ho veduto un giornosenza affanno provar, senza trar guai.Or, qual nocchier tra dubbi casi scortoper alto mar da ciel nemico irato,pien di letizia al fin m'indrizzo al porto:dove risplende il mio bel sole amato,dov'è con quei, ch'ognor negli occhi porto,ogni cagion del mio tranquillo stato.236Non sdegna amarmi, e n'ho sicuro pegno,colei ch'adoro; e di mia età maturacon occhi di pietà guarda e misuraquanto men piace, e 'l fa di grazia degno.Scorge in me di valor forse alcun segnoch'adorna la mia fede ardente e pura.Ma che pareggiar può tanta ventura?Qual virtù rara? O qual sublime ingegno?Anzi, se di me nasce alcun bel fruttonon è mio, no; ma da quel chiaro soleco' suoi raggi fecondi in me produtto.Dunque a ragion da me s'onora e coledea sì cortese: a lei sacrando in tuttol'alma, l'opre, i pensieri e le parole.237O d'ogni suo pensiero unico oggetto,che giorno e notte ne la mente io porto;o d'ogni pena mia dolce confortoqualor mi rendi il tuo bramato aspetto:deh perché del vederti il gran dilettomi vien si tardo, ed è si breve e corto?perché 'l sol mi s'asconde a pena scorto,e dopo tanto ben tenebre aspetto?Ma fortunata chiamo ogni mia doglia,poiché per giusto premio al mio desiorisponde ancor la tua amorosa voglia.Benedetto sia dunque il martir ch'iosento se di tua vista il ciel mi spogliae viva eterno amor nel petto mio.238Mentre la bella e gentil donna mia,qual in Cinto talor Delia si vede,al dolce suono accompagnando, il piedemovea con onestate e leggiadria.Febo, che tal beltà qua giù scopria,dicea: — Qual luce a farmi oltraggio riede? —E Amor, ch'altero in que' begli occhi siede,visibilmente i cori altrui feria.Quando, volgendo il guardo suo cortese,degnò mirarmi: e presto al mio tormentol'ascoso arcier gli strali e l'arco prese.Deh, perché 'l tenne in me sì poco intento?ch'al suo bel lume, a le soavi offesedel mio signor potea morir contento.239Spenta è l'indegna fiamma onde cotantoper te, donna, arsi, e quel vil nodo scioltoch'Amor m'avea d'intorno al cor avolto:più non mi stan pensier dogliosi a canto.Ma qual di Circe e di Sirene al cantoUlisse già, tal a tu' insidie toltover la mia cara libertà son voltoche lungamente ho sospirato e pianto.Non era lunge a rimaner dispersose non mi socorrea divin consiglio,già quasi in fera irrazional converso.Dunque campato da sì gran periglio,rendo al ciel grazie in alta gioia immerso,poiché m'aperse al maggior uopo il ciglio.240De l'aspro tuo rigor giusto in me sdegnospente avea le mie fiamme a poco a pocomentre, o stile inuman, prendesti in giocola doglia e 'l pianto del mio strazio indegno.Or ch'in te pur d'amor scorgo alcun segno,torna e s'avviva in me l'estinto foco,e del cor ti ripongo al primo locoqual signor che ricovri il proprio regno.Tu gradisci mia pura ardente fede,ch'in nobil alma troppo si disdicerender a ben servir pena in mercede.E faccia Amor sì ferma in te radicea quella egual che nel mio petto siede:che l'un per l'altro viva ognor felice.