Quid novi?

Rime di Celio Magno (251-263)


Rime di Celio Magno 251 Eco de' miei sospir, campagna antica,fioriti colli e solitarie valli,rapido fiume, lucidi cristalli,superbe sponde, piaggia lieta aprica;e tu, più ch'altra, a' miei desiri amica,pianta felice, ove amorosi balli,tra bella schiera e fior vermigli e gialli,suole guidar la dolce mia nemica;io pur vi lascio, e mesto e sconsolatorivolgo i passi là dove non sperotrovar chi più mi dia gioia e diletto.Voi con colei ch'è 'l vostro onor perfettorestate, e col mio cor e col pensiero;ahi maligna mia stella e duro fato! 252 Questo, ch'in spessa pioggia umor conversodal ciel sì largo e sì continuo scende,di quel ben vera sembianza a me rendeche fuor per gli occhi indegnamente io verso.Questo si cria se in ciel vento perversofolte ed oscure nubi aduna e stende;quel nasce perché 'l cor m'aggrava e prendecon folto duol vento di sdegno averso.Ma poco andrà, che fia questo risoltoe in un momento scoprirassi il cielo,mostrando il sol più che mai chiaro il volto;quel dura eterno e chiuso in mesto veloho 'l cor; né spero unque a pietà rivoltoveder lasso il mio sol per caldo o gelo. 253 In lode di Aranscuez, giardino del re catolico Filippo Secondo Oh che leggiadro, o che felice e veroparadiso terrestre, e de le Musevia più ch'ogni altra propria, amica stanza!Oh come, ovunque va l'occhio e 'l pensierod'ogni grazia che 'l ciel benigno infusenel suo signor, si scorge egual sembianza!Questo real giardin, sì come avanzadi pregio qual nel mondo oggi è più adorno,di lungo giro ancor tutt'altri eccede:ché mal può franco piede,desto col sol, fornir sua strada e 'l giorno.E perché sete in lui giamai non regni,ministra il ricco Tago e 'l bel Geramaonde perpetue al fortunato albergo.Così 'l suo possessor si lascia a tergoqualunque altro la croce adora ed amadi larghi intorno e spaziosi regni,d'ogni favor del ciel fecondi e pregni;e con la mente in Dio sempre conversa,un fiume d'or raccoglie ed altro versa.Ornan ricco palagio in ogni parteliete stanze, alte torri e fresche logge,u' fugge un rio con strepitosi passi.Qui fonti e statue con mirabil artestillan di terra al ciel sorgenti piogge,e par che sian rissolti in acqua i sassi.Qui lieta accoglie, ed altrui guida fassi,con Vertunno ad ognor Pomona e Floraper le delizie del beato loco;dove allegrezza e giocotra le Grazie ed Amor sempre dimora.Mill'ombre, mille vie d'alto diletto,mille giardini entr'un giardin ridutti,d'arbori cinti e di frondose mura,mostran quanti ha tesori arte e naturae quanti il mondo fior, foglie, erbe e frutti.Tal il re, d'ogni gloria albergo elettoe vivo fonte di saper perfetto,quant'egli impera, con mirabil norma,fa colto e vago, e di se stesso informa.Miro construtti poi di fronde e fiori,o d'alte piante in bel cerchio disposte,quinci e quindi teatri adorni e lieti,da cui varie ampie strade escono fuori,per lunghissimo corso agli occhi esposted'elci, d'olmi, di pin, d'orni e d'abeti.Né so ben di qual pria la brama acqueti,ch'ognuna a sé m'adesca, a sé m'invitacon sua fresc'ombra incontr'al sol ardente.Tal si mostra egualmentein tutte sue virtù l'alma gradita;che ciascuna di lor per ogni latoda pia religion, ch'a Dio sì aggrada,quasi da centro suo nasce e dipende;e vaga ognuna i cori alletta e prendea varcar di sue lodi immensa strada,che fa con sua dolc'ombra altrui beato.Quinci, dovunque Febo il carro auratoguida, il gran re se n' va famoso e chiaro;e vive, in terra e 'n ciel, pregiato e caro.Per chiusi boschi e per aperti campivaghe fere d'intorno in largo stuolodietro a fertili paschi errando vanno;né vien ch'alcuna mai paventi o scampiper vista umana, o senta ingiuria e duolo:ch'in pace eterna aventurose stanno.Né men felici altrui diletto dannosoavi filomene e vaghi augelliche spiegan gli occhi d'Argo in ampio giro;e quanti uman desiropuò mirar o sentir canori e belli.Han dolce vita ancor per stagni e laghicandidi cigni e pesci, in folte schierecorrendo al cibo ch'altrui man lor porge.In tale stato i suoi popoli scorgequel saggio spirto: e sante leggi interevietan ch'ingiusta man gli turbi o impiaghi.Onde d'oneste brame in tutto paghi,regnando pace e libertà fra loro,godon beati un novo secol d'oro.Così voi con distorte erranti viea cui di ben oprar non giova o cale.Giusto supplicio; e indarno arte o pietatespera per indi uscir d'Icaro l'ale.Fate accorto ancor me, che nulla valemio ingegno e stil per giunger l'alte lodi,dentr'a cui senza fin m'aggiro e intricose non m'aita, amico,Febo, e discioglie a la mia lingua i nodi.Che, come un sol di tanti e sì bei fregich'in mille guise qui veste il terreno,il guardo altrui non già la voglia stanca,così cresce il desire e 'l poter manca,vinto da un raggio sol del sol serenoche splende a me per tanti lumi e pregi.L'un de' giardini onor, l'alto de' regi,questi e quei d'ogni ben ricco e fecondo,ambo qua giù lucenti occhi del mondo.E qual già di pittor celebre manoda varî corpi in queste parti e 'n quelleper farne un solo ogni beltà raccolse,tal non lasciò contrada o monte o pianoche cose avesse in sé più rare e belle;e fino agl'Indi estremi il piè rivolsenatura ed arte, allor che formar volseil bel soggiorno, in cui qual di più stimaal mondo era vaghezza, unita apparse;e questa e quella alzarsevide del poter proprio oltra la cima.L'una e l'altra con studio ancor simìle,perché al loco il signor conforme fusse,in ornar lui tutte sue forze espose:che da quante fur mai chiare e famosealme reali, in lui sol si ridussetutto il buon, tutto il bel, tutto il gentile.Queste due meraviglie, oltr'ogni stilerare per sé, che fian s'altri le mesce?E la gloria de l'una a l'altra accresce?Ma tu, saggio signor, perché sì radoloco sì bel di tua vista rallegri?E più spesso tua luce altrove mostri?In qual altro ti deve esser più a gradocercar ristoro a' pensier lassi ed egrich'in questo, alto stupor de' giorni nostri?Benché né questo né tutt'altri chiostrinati a diporto, in tuo piacer frequenti;ch'anzi allor vivi in più fatiche involto,e, l'ozio in cure volto,null'ora pigra o vacua andar consenti.Che tu sai ben quanto altrui prema il pesodi legno ch'a sua guardia si commettaperché salvo da l'onde il guidi in porto.Così dal ciel con larga man sia portoal tuo desir quel che bramoso aspetta,e 'l bel giardin, col suo favor, difeso;talch'ei più vago e lieto ognor sia reso,e tu, di ricche palme e d'anni carco,abbi dal mondo a Dio felice il varco.Canzon, col fral mi parto e 'l cor qui lasso;e te scuso non men, che m'abbandonirestando in questo nido almo e felice.Tu, se poco di lui per te si dice,prega che 'l fallo al buon voler perdoni,che fu di brama pien, di forze casso.Pregane anco il gran re: che 'l tuo stil bassodagli alti pregi suoi troppo declina;ed a' suoi piedi, umìl, per me t'inchina. 254 Se di quest'occhi infermae debil sento la virtù visiva,altronde non deriva,certo, che dal mirar continuo e fisodel mio bel sole il viso. 255Prendi, cruda mia Flora,questa candida rosa;e se pur crudeltatedi ciò ti rende ancora,lasso, schiva e ritrosa,pensa che tua beltate,onde sì altera vai,sparir tosto vedrai,come 'l vivo colorein questo vago fiore. 256Se qualunque ti miracon tua vaghezza e tuoi novi coloridi te, rosa, innamori;ciò Natura da te non move e spira;tal virtù co' begli occhi a te concessee ne le foglie tue mirando impressela gentil donna mia,che per farmi felice a te m'invia. 257 Se nel giardin de la mia dolce Floranascon rose sì belleche di grazia e color perdon con ellele adorne guance de la bella Aurora,quinci tal pregio in lor nasce e deriva;che mentre le vagheggia e studia e colela pastorella che del cor mi priva,nel formarle, Naturadal suo bel volto il vivo essempio fura. 258 Amor, se tanto puoiquanto ogni un crede e stima;se non consenti e vuoiche 'l torto nel tuo regnoragion vinca ed opprima;s'in nobil atto e degnochiaro onor ti diletta;fa di questa crudel per me vendetta. 259 Come in fecondo pratoricca ghirlanda a la sua chioma bellatesse de' più bei fior vaga donzella;così d'Adria nel sen, nido beatode le Grazie e d'Amore,nobil opra del ciel, del mondo onore,virtù raccolse, e 'n gentil nodo strinse,fiorito stuol de' suoi più degni amanti,in seguir lei Constanti;e de' lor chiari pregi il crin si cinse:ond'or tanto più splende,e l'alma e i cor di sua bellezza accende.260 Vaga e candida luna,secondo occhio del cielo,degna sorella del signor di Delo;qual meraviglia fiache quanto di bellezza in te s'adunaperda al bel volto de la donna mia?S'ella dispiega al ventochiome d'or, tu d'argento?Ma, se per altro ancor seco contendi,giudice Febo, al suo parer ne prendi:che te non sol men bella,ma, se la lingua al ver non fia rubella,dirà ch'ove arde più di raggi cinto,dal lume anch'ei di que' begli occhi è vinto. 261 Ben promettesti, Amore,fin di sue pene al coreallor che venne a me da quel bel visocon un sguardo sereno un dolce riso.Ma perché indugia il fruttodal fior de la tua spene in me produtto?ché non pieghi madonna a' desir miei,chiara palma giungendo a' tuoi trofei?Dunque al vento se n' vannole tue promesse, e 'n lor s'asconde inganno?O pur non puote in leilo stral con cui tu vinci uomini e dèi? 262 S'a tuoi danni pensandoversi, Amor, tante lagrime e lamentisovra i begli occhi spenti,pon fine e ti consola:poiché la fama sol, celèbre e chiara,di sua beltà sì rara,che per tutto se n' vola,potrà, battendo l'ale,dettar ne' cori altrui vampa immortale. 263 Dolcezza del cor mio,perché diventi amara?E col venen di gelosia ti mesci?Frena pensier sì rioe già per prova imparache seco sempre a duro fin riesci.Tu stesso il tuo mal cresci:ché 'l timor che t'ingombraformi di sogno e d'ombra;ma perché 'l veggio anch'io,e stolto a morte la mia vita invio?