Quid novi?

Rime di Celio Magno (276-283)


Rime di Celio Magno 276Al clarissimo messer Ieronimo MolinoQual cantar di sirena o serpe in erbateme chi, da ragion scorto e guidato,per quest'onde fallaci e mortal pratochiuse l'orecchie e cauto il piede serba?E qual percossa di fortuna acerbapuò sovra quei ch'in suo valore armato,se da suoi colpi e da contrario fatoschermendo ogni mal tempra e disacerba?Tal voi; ch'intento sol d'Apollo al cantoe sordo a quel ch'al fin miseria fassi,gite securo in questo mar di pianto;e dispensando accortamente i passinel dubbioso sentier, non può mai tantosorte ch'alcun suo strale al cor vi passi.277Al serenissimo principe il signor Pasqual Cigogna.Cedan degli orti esperî i frutti d'oroa quei, signor, sì preziosi e rariche benigno dispensi a' tuoi più cari,chiudendo in picciol dono alto tesoro.D'amor, di cortesia si gusta in lorodolcezza tal, ch'a lei null'altra è pari;tua bontà nostra fede in lor dichiari,proprio a te, proprio a noi cibo e ristoro.Così tributo antico a te de' tuoicangiato in nova grazia e favorefa te più chiaro, e più felici noi.Onde pien d'umiltade il nostro coregrazie ti rende, e porge i voti suoiin tempio sacro a te d'eterno onore.278Al serenissimo doge di Venezia il signor Marin GrimaniO di questa da Dio construtta navenocchier sublime, a te diletta madre,che in lei principe e re, via più di padre,il nome cerchi, e 'l trovi al cor soave.Primo fra i primi tuoi, tu porti il gravepondo, sol volto ad opre alte e leggiadre,qual forte duce suol, che tra le squadresi fa milite al rischio, e nulla pave.Tu, sovran di valor, d'ardor conformeagli altri reggi; e ne' tuoi desti lumipiù sicura la patria ha posa, e dorme.Cedano al tuo splendor gli antichi lumi,e dopo lunga via per felici orme,il ciel t'accoglia infra i beati numi.279Al serenissimo principe il signor Marino Grimani, sopra un mazzetto di gelsomini donato all'autoreCandido fior, che le vermiglie rosedi pregio eccedi, anzi le gemme e l'oro,tanto d'onor e cortesia tesoro,chi di te mi fe' dono, in te ripose.Te l'eccelse di lui doti famosearricchir di splendor col lume loro;per te la grazia sua, ch'in terra adoro,qual suol, dolce e benigna, a me s'espose.Tu in lui paterno amor, real naturadichiari; e insegni a chi scettro possede,e del mondo e del ciel la gloria cura.E 'l tuo candor dimostra in chi ti dieded'alto signor bontà candida e pura,e in me di servo umil candida fede.280Al medesimo serenissimo principe manda alcuni frutti, e gli introduce a parlareDi povero giardin frutto gentile,quasi primizie a suo terrestre numech'esserti care, tua mercé, presume,a te m'invia divoto servo umìle.Ch'a l'arbor, ond'io nacqui, anch'ei simìledi tua grazia nodrito al chiaro lume,produr a te mai sempre ebbe in costumefrutto, quanto in lui fu, largo e non vile.E qual nel petto suo scolpito ei serba,tal nel mio tronco, il tuo gradito nome,ch'intorno fa gioir le piante e l'erba;dove ancor cresce un verde lauro, comesacro ad ornar, con sua pompa superba,di tue virtù le gloriose chiome.281Già non t'incolpo, anzi ringrazio, Amore,se m'ardi in questa età ch'al verno inclina;ch'ad alma accesa di beltà divinaè gloria il sospirar, gioia il dolore.Ma piango sol ch'a sì gentile ardoreMorte invece di vita il ciel destina,poiché, quando al mio ben più s'avicinala speme, è più da lei tradito il core.Così talor di sfortunato legnoaura in vista seconda empie le vele,dove fra scogli occulti ha fine indegno.O pietoso sembiante, o cor crudele!gradirmi in voce, in opra avermi a sdegno,troppo a me scarsa, e troppo altrui fedele.282Viva serberò vivo, e morto ancora,Amor, la fiamma del mio nobil focoche l'alma eterna in sé per tempo o lococangiar non pò 'l desio che l'innamora.Riman sempre il mio ardor d'ogni uso fora,di rea fortuna invitto al crudo gioco;anzi, l'offese sue curando poco,vince se stesso in maggior vampa ognora.Al tuo solo poter se n' va soggetto,lieto che di tua dolce esca graditail suo incendio nodrir prendi a diletto.Ch'è tua gloria il mio foco; e chi l'infiamma,ricco e solo tesor de la mia vita,o preziosa, inestinguibil fiamma.283Quanto più inanzi passaquesta mia frale vita,e vo cangiando il pelo insieme e gli anni,l'anima afflitta e lassa,d'amor punta e feritasopportar più non puote i gravi affanni.Anzi, de' propri danniministra e del suo male,tenta quel bello e riovolto porre in oblioe la piaga saldar del fiero stralediscacciando dal petto,s'esser può mai, il suo caro diletto.Ben fora tempo omai,lasso, che 'l crudo e fieroamor pietate avesse al mio cordoglio;ma dopo ch'a miei laicontra l'esser primierover me si mostra ognor pieno d'orgoglio,diverrà 'l core scogliocontra 'l suo strale aurato.E benché, se nol negail cielo, al fin si piegaogni aspro petto disdegnoso e ingrato,lontan da questa spenecon altro fin vivrò l'ore serene.Vatene dunque in pacea' tuoi cari parenti;torna col legno pur là dove brami;né incontra te sia audacelo mar, né irati i venti.Noto ognor le tue vele in alto chiamie, se ben tu non m'ami,quanta pioggia e tempestapò minacciar il cielospieghi Giove il suo teloin altro clima, e a te non sia molesta;ma cada in larga copia,te salva, sopra i liti d'Etiopia.Deh, ch'io credea dolentecol suon del dolce cantopotersi umiliar quell'aspro core;e che 'l rigor algenteche t'induriva tantosi disfacesse al mio vivace ardore.Ma ben il proprio erroretroppo tardo i' conosco;se 'l cantar che benignofar potea un cor ferrignoha lei conspersa d'odioso tosco.O del ciel rio volerech'e petti umani fai pari a le fiere!Muse, voi che sì spessome per vostra clemenzasalir degnaste al sacro monte in cima;ahi che per voi concessonon m'è la sua presenza,né gli amanti giovar può alcuna rima;più 'l mio cor voi non stima.Dunque, o figlie di Giove,il vostro santo nume,poiché voglia e costumeha cangiato il mio ben, volgete altrove;perch'altro fine io bramo,perduto quel ch'invan lusingo e chiamo.Sommo Padre immortaleche 'l mio cor leggi aperto,come questo umil dir da la radicedel cor profondo sale,così, se ben nol merto,fammi, Signor, di tua grazia felice;sì che fuor d'infelicee faticoso statocon più dritto sentierosegua il ben certo e veroche rende ogni uom in terra e 'n ciel beato.Fa, Creator pietoso,ch'in te ritrovi il mio dolce riposo.Ogni opra, ogni desioche d'uman petto nascelunge da te, per me non stimo un'ombra.Di te sol, nostro Iddio,quest'anima si pasce,se talor lei fame importuna ingombra.Per te si spegne e sgombraogni pensier confusocome disparir suolenebbia dinanzi al sole;e natura empia converti in dolce uso.Dunque ciascun t'adorie ti celebri infra i celesti cori.Canzon, prega il Signor umilementech'in me per grazia vogliastabile far sì onesta ardente voglia.