Quid novi?

Il Dittamondo (5-11)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO QUINTOCAPITOLO XI"Contento assai m’avete a la dimanda mia, diss’io a lui; ma non vi incresca cibarmi ancor d’una e d’altra vivanda: ché come a chi ha sete è buon ch’om mesca, similemente dico che gli è bene a chi ha brama porgerli de l’esca. La voglia, ch’ora piú mi stringe e tene, è di saper perché al Saracino la legge toglie il porco e donde viene; apresso, perché nega loro il vino, ché, quando penso come a l’altre cose fu largo, ciò par fuor del suo cammino". Con soavi parole mi rispose: "Io ti dirò, secondo quel ch’io sento, perché ciascun di questi lor nascose. Dico: del vecchio e nuovo Testamento e di piú sètte Macometto volse avere al suo poter lo ’ntendimento. Poi di ciascuna piú e meno tolse, come a lui piacque, e quello, apresso, lega ne l’Alcorano, che di tutte sciolse. E però che ’l Giudeo lo porco nega ne la sua legge, udita la ragione, per quel ch’io penso, in verso lui si piega. Ma quel che per piú ver tra lor si pone, si è ch’egli hanno scritto nella le’, nel libro che tratta De narratione, che, sendo dentro a l’arca sua Noè, che de lo sterco del leofante nacque il porco; e ’l porco, apresso, il topo fe’. E perché il topo, nato, non si tacque roder l’asse, che quasi avea giá fratta, Noè temeo che non passasse a l’acque. Com Dio disse, cosí corse di tratta a lo leon e quel percosse in fronte 35 e de le nara gli uscio una gatta. Or per queste parole, ch’io t’ho conte, a dispregiare il porco e non volere le genti saracine sono pronte. A l’altra tua dimanda, dèi sapere 40 che Macometto fu forte disciolto in ciascun vizio e propio nel bere. E, perché ’l vin l’inebriava molto, volse, per ricoprire il suo difetto, ch’a tutti i Saracin fosse il vin tolto. 45 Nol dicono, ma tegnonlo in dispetto, perch’ello è tal che, inebriando altrui, li tolle la memoria e lo ’ntelletto. Dànno la colpa al vin, non a colui che ne bee troppo; ché ’l vin per sé è sano, 50 chi l’usa come de’, ne’ cibi sui. Ma quel per che piú licito non l’hano è propiamente che trovano scritto quel ch’ora ti dirò ne l’Alcorano. Dice che Dio a giudicar diritto 55 due agnoli mandò in questo mondo e per punir degli uomini il delitto. Ciascuno era a veder vago e giocondo; ciascuno il capo avea, che parea d’oro, tanto era bello, inanellato e biondo. 60 Ora, albergando e facendo dimoro con una vaga donna, inebriaro e, ebbri, a patti ella dormí con loro. Apresso, come gli angiol le insegnaro, in ciel salio, ove dio Luciferro 65 ne fe’, che sopra l’altre il lume ha chiaro. E gli angioli, per lo peccato e l’erro ch’avean commesso, ciò è di ber vino, legati fun con catene di ferro, dicendo Iddio: - Cosí starete in fino 70 al dí giudicio nel pozzo in Babillona coi piè di sopra e col capo giú chino: perch’io vi comandai che con persona né soli vin per voi non si bevesse; e voi foste ebri da terza a la nona -. 75 Or hai udite le cagioni espresse ch’essi san dire a le dimande tue e che per piú autentiche son messe". "Assai contento son; ma d’udir piue disio: ciò è che Macometto dice 80 di Cristo e poi de le parole sue". "Sommo profeta, santo e felice, pien di virtú, de la Vergine nato senza padre: e questa è la radice. Ancor piú, ch’uomo il confessa beato; 85 figliuol di Dio non vuol dir che sia: con Ario se ne va da questo lato. Commenda il Salterio, Iob e Elia; ma, sopra tutto, di Cristo il Vangelo, le sue parole e la sua buona via". 90Cosí rispuose con benigno zelo.