Quid novi?

Il Dittamondo (5-13)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO QUINTOCAPITOLO XIIIIo ero ad ascoltare ancora attento,quando mi puose mente per lo viso,dove spesso s’aocchia un mal contento; poi disse: "Figliuol mio, se bene aviso, la sete tua non pare ancor rasciutta; 5 però dimmi s’è il ver, com’io diviso". "In veritá, rispuosi, non ben tutta; ma presso sí, al modo di colui, che siede a mensa e dimanda le frutta. Assai, diss’io, udito ho per altrui 10 parlar di Macometto; ma sí chiaro giá mai, come ora, certo non ne fui. E però dite, ché l’udir m’è caro, se v’è miracol ch’el facesse scorto al tempo, che nel mondo fe’ riparo". 15 Ed ello a me: "Costui mai alcun morto non suscitò, né diede luce a cieco, né fece dritto andar zoppo né torto, né parlar muto; come ho detto teco, sempre in vertú, dicea, solo de l’armi 20 venuto sono e qui la grazia è meco. Vero è che l’Alcoran conta in piú carmi rotta la luna e ch’esso la rintegra: ch’una sciocchezza, a ragionarlo, parmi; ancor, ch’essendo la notte ben negra, 25 che Dio per lui Gabriel mandava: e di ciò il Saracino udir s’allegra. Sopra elborac, una bestia, montava veloce sí, che, in men d’una mezz’ora, lo spazio d’anni ventimila andava. 30 Cosí in un batter d’occhio dice ancora che da Mech in Ierusalem andasse alla ca’ santa e lí non fe’ dimora; ma, giú smontato, Gabriello il trasse dinanzi a Dio, su, di cielo in cielo, 35 e che con lui, palpandolo, parlasse. Quel che conta che disse non ti svelo né ch’el vide; poi l’angel fe� ritorno dove elborac legato era a lo stelo. Su vi montò e, pria che fosse il giorno, 40 ne ’l portò a Mech; or qui lor dottor sono che chiose fan, qual dèi pensar, d’intorno. Ancor ne l’Alcoran, ch’io ti ragiono, truovo che disse che ’l sole e la luna eran pari di luce e d’ogni bono, 45 e che non era distinzione alcuna intra ’l dí e la notte, tanto eguali sopra la terra risprendea ciascuna. Or pon che, discendendo quelle scali, Gabriello, quando a la luna giunse, che la percosse e la ferí con l’ali, e che in tal modo, in quel punto, la punse, che de la luce, ch’avea tanto viva, essa aombrata, come or par, la munse. Ancora al dí giudicio par che scriva 55 che i dimoni d’inferno salveranno con quanti n’ha per l’aire e per le riva. Apresso pon che quelli che saranno beati, ne’ lor corpi ogni diletto, che usano ora, cosí allora avranno. 60 Di questi due miracoli, che ho detto, piú ’l Saracin, che d’alcun altro, gode, se predicati sono in suo cospetto. Similemente allor che contar ode l’altre novelle, ch’io t’ho detto apresso, 65 a Macometto rende grazie e lode. Or hai udito chiaramente, adesso, di quel che mi chiedesti alcuna parte, con quel che per piú bel tra loro è messo. Ma perché non rimagna ne le carte 70 cosa, ch’io pensi che piacer ti debbia, voglio che noti ancor quest’altra parte. Dico che, poi che morte nel cuor trebbia di Macometto, il suocero Acalí il suo Califfo de la vita annebbia. 75 Poi fece ch’el fu nel suo luogo lí; ma, quando morte ogni poder li vieta, nel Califfato succedeo Alí. Costui si volse far maggior profeta di Macometto e piú capitol mise 80 ne la sua le’ e piú di fuor n’arrieta: per questo in due Califfi si divise lo Saracino: l’uno in oriente, dov’è Baldach, io voglio che l’avise; l’altro ha sua seggia e regna nel ponente, 85 in una terra che Morocco è detta: Miramumelin lo noma la gente. E perché mal s’intende l’una setta con l’altra, al Cristianesmo molto giova, però che meno ad acquistar sospetta, 90quando di lá dal mar pensa far prova".