Quid novi?

Rime di Celio Magno (311-320)


Rime di Celio Magno311[A Girolamo Dandolo]Qual il sol se chiedesse ad altri il giorno,e Febo il canto a me, che indarno il bramo,o di lauro cercasse altronde un ramodi mille lauri il bel Parnaso adorno,tal voi, che 'l crin sì ricco avete intornodi raggi e frondi, ond'io nudo mi chiamo,il lume e 'l pregio ch'in voi scorgo ed amoa me chiedete, al ver facendo scorno.Ch'amor e cortesia spinse ad aitarmida l'empio Lete il vostro stil divino,ond'io campar per me sperava indarno.Ma, mentre ei tenta ov'io non giungo alzarmi,alza voi stesso per sì bel camino,che cede al cantar vostro il Mincio e l'Arno.312[A Strozzi Cicogna]Nulla in te, Strozzi, ammiro,se tra le due città scerner non puoiqual più sue glorie ha sparte.Che là 've il ciel compartemerto infinito, il giudicar vien meno;e riman vinta umana lingua ed arte.Tal io non scorgo a pienovolto a te di virtù specchio fra noi;se più 'l tuo affetto, onde arricchir mi vuoi,o la tua dolce musam'ha d'obligo e piacer l'alma confusa.313 [A Ercole Udine]Giovar altrui, sì comebramo, al poter non lice;e ha 'l mio nome in me steril radice.Ma voi, spirto gentile,me di picciolo e fral, col vostro stile,magno e divin rendete,facendomi sembrar quel che voi sete.314 [Ad Antonio Beffa Negrini]Di mia vita il sereno,da ch'io nacqui, turbar contrarie stelle.E s'io cantai talor, mie rime poi,quasi figlie men belle,rinchiusi; e negai lor l'aura celeste.Né men, Beffa, per voi,ch'in lodarle occhi ciechi amando avete,uscir devran del chiostro;poiché nel canto vostrosenza periglio e con sicura gloriapuò serbarsi immortal la mia memoria.315 [A Enea Baldeschi]Or sì che udran gli Esperi, udran gli Eoidovunque di virtù grido risuona,di me la fama: poiché 'l cielo intonae divien chiara al mondo, Enea, per voi.O magnanimo cor, ch'i propri suoipregi si spoglia e largo altrui gli dona;di cortese valor doppia corona,cui raro altra simil fiorio tra noi!Così mi sia 'l favor del vostro nomesostegno, ov'io per me, debile, inchino,mentre d'onor con voi la strada prendo.Ma poiché non arrivo a l'alte chiomedel vostro merto, il cor gli sacro e, chino,per pegno almen d'eterne grazie il rendo.316[A Francesco Bembo]Quel pregio che non pon mie roze cartesperar da sé, tua man, Bembo, a lor porgementre il sol di virtù ch'in te si scorgea le tenebre mie splendor comparte.Così talor di bassa oscura parteuom per fortuna ad alta gloria sorge;e 'l tuo soverchio amor nulla s'accorgeche guida lungi al ver la penna e l'arte.O per me dolce inganno, o vero numedi cortesia che m'alza a tanto segnoe quel ch'è propio suo di me presume!Io pur, qual parto del tuo chiaro ingegno,teco eterno vivrò dentro al tuo lume,stimando e marmi e bronzi onor men degno.317In morte del clarissimo signor Giorgio GradenicoFornito hai, Giorgio, il tuo bel corso, e 'l voloda terra spieghi a degna palma in cielo:ma gioia a te portò di morte il velo,a noi, privi di te, lagrime e duolo.Piange e Febo e 'l sacro Aonio stuolo,piange orbata virtute in mesto volo;tu di senno e valor, di santo zelospecchio fosti nel mondo o raro o solo.Nato a giovar vivesti, e del tuo lumes'ornò la patria, e proprio ebbe in te vantoogni bell'opra, ogni real costume.Ma perché del tuo ben lagnarsi tanto?Versiam più tosto in te di lodi un fiume,e asciughi la tua gloria il nostro pianto.318In morte dell'illustrissimo signor Ascanio Pignatello. PrimoSparisti, Ascanio, ahi destin crudo e feroch'a noi ti tolse! e sparì teco insiemed'Italia un chiaro lume, e in lei la spemenata per te del suo splendor primiero.Ch'in te, spirto gentil, degno d'impero,fiorian di novo eroe doti supreme,né di tua gloria fu men fertil semepoggiar del bel Parnaso al giogo altero.Piange or la tua natia, nobil sirenapiangon le Muse: e non versar mai tantoper gli occhi umor da sì dogliosa vena.Ché, come al valor tuo cede ogni vanto,così del tuo partir l'amara penastimar fa scarso ogni più largo pianto.319SecondoMentre che 'l bel Sebeto a le sue sponderisonar ode: — Il grande Ascanio è morto! —con fronte mesta anch'ei, da l'acque sorto,al publico dolor così risponde:— Oh qual sol di virtute a noi s'ascondea l'eterno oriente in ciel risorto!Quanto l'occaso suo gran danno ha portode l'alto Ibero e d'Ippocrene a l'onde!Sfrondi de' lauri suoi, sfrondi le cimeFebo, e de le sue palme il fero Marte:cinti il crin di funesta, oscura benda.Ed ai lor tronchi l'uno in alta partedi lui la spada, e l'altro infra le primela nobil cetra lagrimoso appenda. —320TerzoSfoghi ciascun d'Ascanio al chiaro nomesovra il sepolcro il primo acerbo lutto;ma tosto poi, dai lumi il pianto asciutto,sian da ragion le forze al senso dome.Ch'a noi nol fura il ciel, ma il toglie cometesor per sé, non già per noi, produtto;e basta ben di sue degn'opre il frutto,ch'insegnan d'alti fregi ornar le chiome.Or la bell'alma in Dio beata godedi vita a par di cui quest'altra è morte,ch'ognor fortuna afflige e 'l tempo rode;né vive sol ne la celeste corte,ma la fama di lui, ch'intorno s'ode,gli apre ancor qui d'eternità le porte.