Quid novi?

Della Casa 01: sonetti


Le Rime secondo la stampa del 1558IPoi ch'ogni esperta, ogni spedita mano,qualunque mosse mai più pronto stile,pigra in seguir voi fôra, alma gentile,pregio del mondo e mio sommo e sovrano;né poria lingua, od intelletto umanoformar sua loda a voi par, né simile,troppo ampio spazio il mio dir tardo umiledietro al vostro valor verrà lontano:e più mi fôra onor volgerlo altrove;se non che 'l desir mio tutto sfavilla,angel novo del ciel qua giù mirando:o se cura di voi, figlie di Giove,pur suol destarmi al primo suon di squilla,date al mio stil costei seguir volando.Le Rime secondo la stampa del 1558Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 1 (pag. 1)Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 249IISì cocente penser nel cor mi siede,o de' dolci miei falli amara pena,ch'io temo non gli spirti in ogni venami sugga, e la mia vita arda e deprede.Come per dubbio calle uom move il piedecon falso duce, e quegli a morte il mena,tal io l'ora ch'Amor libera e pienasovra i miei spirti signoria vi diede,il mio di voi penser fido e soavesperando, cieco, ov'ei mi scorse andai:or mi ritrovo da riposo lunge.Ch'a me per voi disleal fatto e gravel'anima traviata opprime e punge,sì ch'io ne pèro, e no 'l sostengo omai.Le Rime secondo la stampa del 1558Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 2 (pag. 2)Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 250Note:Tal io, ec. Il senso e la costruzione di questo e de' versi seguenti fino a tutto il decimo, sono un poco intralciati. Costruisci: Nel tempo che Amore vi fece mia donna, andai cieco dietro la scorta del pensiero che mi parlava di voi, e ch'io credeva fido e soave.(Carrer, cit., pag. 301)IIIAffligger chi per voi la vita piagneche vien mancando e 'l fine ha da vicino,è natural fierezza, o mio destino,che sì da voi pietà parta e scompagne?Certo, perch'io mi strugga, e di duol bagnegli occhi dogliosi e 'l viso tristo e chino,e quasi infermo e stanco peregrinomanchi per dura via d'aspre montagne,nulla da voi fin qui mi vène aita;né pur per entro il vostro acerbo orgogliomen faticoso calle ha 'l penser mio.Aspro costume in bella donna e riodi sdegno armarsi, e romper l'altrui vitaa mezzo il corso, come duro scoglio.Le Rime secondo la stampa del 1558Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 3 (pag. 2)Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 251IVAmor, per lo tuo calle a morte vassi,e 'n breve tempo uccide il tuo tormento,sì com'io provo; e non però consento,né so per altra via mover i passi.Anzi, perché 'l desio vole e trapassipiù veloce al suo mal che strale o vento,spesso del suo tardar mi lagno e pento,sospignendo pur oltre i pensier lassi:tal che, s'i' non m'inganno, un picciol varcoè lunge il fin de la mia vita amara;e nel tuo regno il piè posi pur dianzi.Poco da viver più credo m'avanzi,né di donarlo a te tutto son parco:tal costume, signor, teco s'impara.Le Rime secondo la stampa del 1558Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 4 (pag. 3)Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 252VGli occhi sereni e 'l dolce sguardo onesto,ov'Amor le sue gioie inseme aduna,ver' me conversi in vista amara e bruna,fanno 'l mio stato tenebroso e mesto.Ché qualor torno al mio conforto, e prestoson, lasso, di nutrir l'alma digiuna,trovo chi mi contrasta, e 'l varco imprunacon troppo acerbe spine; ond'io m'arresto.Così deluso il cor più volte, e puntoda l'aspro orgoglio, piagne: e già non haveschermo miglior che lacrime e sospiri.Sostegno a la mia vita afflitta e grave,scampo al mio duolo, e segno a i miei desiri,chi t'ha sì tosto da mercé disgiunto?Le Rime secondo la stampa del 1558Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 5 (pag. 3)Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 253Note:E' sonetto finito al sommo, e pieno d'ingenua soavità ed eleganza. Vivacissima l'interrogazione dell'ultimo ternario, dopo il riposato andamento del resto. L'Alfieri imitò questo artifizio in un sonetto al cavallo portatore della sua donna.(Carrer, cit., pag. 301)