Quid novi?

Il Dittamondo (5-14)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO QUINTOCAPITOLO XIVPresso eravamo alla cittá di Tripoli, quando il frate mi disse: "In fin c’hai spazio, di’ se bisogna ch’io di piú ti stipoli". E io a lui: "Assai m’avete sazio del gran disio, onde assetava adesso, 5 perch’io, quanto piú posso, vi ringrazio". Poi si volse a Solin, che gli era presso, dicendo: "De la vostra compagnia, se pro vi fosse, non sarei mai fesso. Ma, quando avvegna ch’util non vi sia, 10 passare intendo il mar, dove ripara ne la bella cittá la gente mia". "Sempre la vostra compagnia ci è cara; ma non bisogna, rispuose Solino; e gran mercé de la profferta chiara". 15 Così quel frate onesto e pellegrino, dicendo addio, a man sinistra prese, dritto al mare Adriano, il suo cammino. Solino ancor, da l’altra parte, intese a seguir la sua via e io apresso, 20 lassando Zerbi a dietro e Capese. Dissemi, poi che nel cammin fu messo: "A Tripoli n’andremo e, se ti pare, quivi staremo e posaremo adesso". E io: "Tu sai la via, tu sai lo stare; fa’ che ti pare, ché l’uom poco lodo ch’a piú savio di sé legge vuol dare". Sí com’el disse, così tenne il modo; la cittá vidi tanto real, ch’io fra le piú degne de l’Africa lodo. 30 Poi partiti di lá solo ello ed io, pur lungo il mare fu la nostra strada su vèr levante, dove avea il disio. Noi giungemmo, cercando la contrada, dove Solin mi disse: "Figliuol, mira 35 quel mar, dove uom non sa dove si vada. Vedi le Sirti, che quando ci gira nave alcuna, trovar pare il demonio: sí tosto la volge e al fondo la tira. Di ciò fen prova Gabrio e Sempronio 40 che, tornando con gran navilio a Roma, perdenno il piú, che parve loro un sonio. La cagione perché cosí si toma, si è che l’acqua in un luogo è profonda e, in altro, monti di rena non doma; 45 onde il maroso, che quivi seconda, truova il gorgone e i monticei, ch’io dico, nei quai riflette e gira le sue onda. Per che, la nave giunta in questo oblico, lo volvo d’acqua e i gran venti la inghiotte, 50 che par che sia, com’io dissi, il Nemico. Sappi che duran queste onde sí rotte dodici volte venti miglia e piú: pensa il dolore a chi ci vien di notte. Lo nome suo senza cagion non fu: 55 ché sirte, in greco, tira, in latin, dice, ché ciò che truova tira al fondo giú. Queste son due e ciascuna infelice: ne la minore è l’isola Menede; Filen ne l’altra tien la sua radice. 60 Ma passiamo oltre, ché ’l tempo ’l richiede e mille anni mi par vederti a Napoli, nel bel paese dove Italia siede". "Quanto piú tosto del cammin mi scapoli, dissi io a lui, e piú mi fai piacere". 65 E cosí ci traemmo in vèr Pentapoli. Ricco è il paese e con molto podere e da cinque cittadi il nome sona: in contro a sé la Grecia può vedere. Noi fummo in Tolomea, che si ragiona 70 ch’anticamente fu di queste cinque, e vidi Ceutria, ove non sta persona. Apollonia e Bernice son propinque; da due gran re Bernice e Tolomea preson la fama, ch’ora in lor relinque. 75 Un popol grande confinar vedea con queste e con le Sirti, che son ditti Trogoditi, acerba gente e rea. Io vidi, ricercando per quei gitti, la cittá de’ Giudei e Cedra ancora, 80 che piú dal mezzodí lí sono afflitti. Vidi il monte di Barchi, che dimora in contro a Bonandrea, dove posai con la mia guida come stanco, allora. In questo modo, in Libia mi trovai 85 Cirenese, cosí giá nominata da Cirena, cittá famosa assai. Questa provincia è molto lunga e lata, in certe parti piena di gran selve e in altra ricca e bene abitata. 90 Per li gran boschi stanno fiere belve; maraviglia è chi, per lo gran veleno, passa tra lor, se vivo se ne svelve. Noi fummo in Alessandria, ove vien meno da questa parte Libia, perché quivi 95 lo Nil truovo che, come ho detto, è frenode l’Africa, a levante, coi suoi rivi.