Quid novi?

Della Casa 02: sonetti


VINel duro assalto, ove feroce e francoguerrer, così com'io, perduto avrebbe,a voi mi rendei vinto; e non m'increbbeprivo di libertà pur viver anco.Or tal è nato giel sovra 'l mio fianco,che men fredda di lui morte sarebbee men aspra; ch'un dì pace non ebbel'alma con esso, né riposo unquanco.Ove il sonno talor tregua m'adducele notti, e pur a' suoi martir m'invola,questi del petto lasso ultimo parte:poi come in sul mattin l'alba riluce,io non so con quai piume o di che parte,ma sempre nel mio cor primo sen vola.Le Rime secondo la stampa del 1558Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 6 (pag. 4)Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 254VIIIo mi vivea d'amara gioia e benedannoso assai, ma desiato e caro,né sapea già che 'l mio signor avaroa' buon seguaci suoi fede non tene.Or l'angeliche note e le sereneluci, che col bel lume ardente e chiarolieto più ch'altri in festa mi menarosì lungo spazio, fra tormenti e pene;e 'l dolce riso, ov'era il mio refugioquando l'alma sentia più grave doglia,repente ad altri Amor dona e dispensa,lasso: e fuggir devria di questa spoglialo spirto oppresso da la pena intensa;ma per maggior mio mal, procura indugio.Le Rime secondo la stampa del 1558Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 7 (pag. 4)Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 255Note:Ricalca quello del Petrarca in vita di madonna Laura: Io mi vivea di mia sorte contento.(Carrer, cit., pag. 301)VIIICura, che di timor ti nutri e cresci,e più temendo maggior forza acquisti,e mentre con la fiamma il gielo mesci,tutto 'l regno d'Amor turbi e contristi;poi che 'n brev'ora entr'al mio dolce hai mistitutti gli amari tuoi, del mio cor esci:torna a Cocito, a i lagrimosi e tristicampi d'inferno: ivi a te stessa incresci,ivi senza riposo i giorni mena,senza sonno le notti, ivi ti duolinon men di dubbia che di certa pena.Vattene: a che più fera che non suoli,se 'l tuo venen m'è corso in ogni vena,con nove larve a me ritorni e voli?Le Rime secondo la stampa del 1558Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 8 (pag. 5)Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 256Scelta di Sonetti con varie Critiche osservazioni, ed una dissertazione intorno al sonetto in generale, Teobaldo Ceva, in Venezia, Presso Domenico Occhi, 1737, pag. 90Note:Sonetto notissimo nelle scuole, lodato dal Tasso, e dal Pallavicino nel trattato dello stile e dal Varchi, e dal Muratori, e da tutti; ma a parer mio più ingegnoso che appassionato, se non forse nell'ultima terzina, ove l'interrogazione ristora della stanchezza cagionata dal visibile artifizio dei versi antecedenti. Ad altri potrà sembrar altro; né io intendo spacciar lezioni, ma pareri. Il Varchi leggeva il secondo verso così: E tosto fede a' tuoi sospetti acquisti. V'ha chi dice imitato da uno del Bembo: Speme che gli occhi nostri veli e fasci, ec. E non è il solo che il Casa scrivesse premendo i vestigj di quel poeta, sempre però in modo che l'imitazione sovrasta.(Carrer, cit., pag. 301)IXDanno (né di tentarlo ho già baldanza)fuggir mi fôra il vostro ardente raggio,bench'io n'avampi, o donna; e non vantaggio,sì cara e di tal pregio è mia speranza.E se talor contra l'antica usanzami fermo, e seguir voi forza non aggio,fo come chi posando in suo viaggiovigor racquista, e 'n ritardar s'avanza:per poter poi, quando sì rio tal voltacon tai due sproni il mio signor mi punge,correr veloce, e con ben salda lena.Quanto la vostra luce alma m'è tolta,tanto 'l diletto mio m'è posto lunge:perch'io precorro Amor, ch'a voi mi mena.Le Rime secondo la stampa del 1558Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 9 (pag. 5)Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 257XDolci son le quadrella ond'Amor punge,dolce braccio le aventa, e dolce e pienodi piacer, di salute è 'l suo veneno,e dolce il giogo ond'ei lega e congiunge.Quant'io, donna, da lui vissi non lunge,quanto portai suo dolce foco in seno,tanto fu 'l viver mio lieto e sereno;e fia, finché la vita al suo fin giunge.Come doglia fin qui fu meco e pianto,se non quando diletto Amor mi porse,e sol fu dolce amando il viver mio,così fia sempre: e loda aronne e vanto,che scriverassi al mio sepolcro forse:Questi servo d'Amor visse e morìo.Le Rime secondo la stampa del 1558Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 10 (pag. 6)Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 258Note:Il voto dell'epitaffio è fantasia tibulliana. Ma nel latino si trova espressa con più affetto, perché determina più minutamente le circostanze della morte. In generale è sonetto lodatissimo dal Tasso nel "Discorso del Poema eroico". Questo e il seguente si citano da Mario Colonna in un suo "Ragionamento", per dimostrare che il Casa, volendo, sapeva comporre dolcissimamente.(Carrer, cit., pag. 302)