Quid novi?

Il Dittamondo (5-17)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO QUINTOCAPITOLO XVIINon lassò per l’andar, che non seguissela guida mia pur dietro a la sua temae, in questo modo ragionando, disse: "Figliuolo, in questa parte oscura e strema aspidi sono d’una e d’altra spezia, 5 dispari in opra e di ciascun si gema. La dipsa è un che fra gli altri si prezia, che, cui morde, con la sete uccide: gran senno fa chi fugge le sue screzia. L’inale è l’altro: col sonno divide 10 l’alma dal cuor succiando e Cleopatra testimone di questo giá si vide. Non senza morte colui ancora latra cui il cencro giunge o mordono i chersidri, ma sí come uomo arrabbiato si squatra. Ancora vo’ che per certo considri che l’elefanzio e l’ammodite quanti ne giungon, tanti convien che n’assidri. Camedragonti, di questi son tanti quante bisce in Maremma; e cui el punge, 20 una mezz’ora nol tene in bistanti. E vo’ che sappi che colui che giunge l’emorrois di subito si langue: tosto la vena li disecca e munge. Lo prestero, e questo si è un angue 25 che, per natura, uccide l’uom gonfiando, pur che l’assanni il morso in fine al sangue. Lucan, d’alcun di questi poetando, conta sí come Sabello e Nasidio fun punti e trasformati, indi passando. 30 Ma sopra quanti ne noma il Numidio o l’Etiopio, è reo il badalischio e che fa peggio al mondo e piú micidio. Sufola, andando, con orribil fischio per che gli altri animai, che ’l temon forte 35 istupon sí, che caggion nel suo rischio. Non pur de l’uomo e de le fere è morte, ma quella terra diradica e snerba, ne la quale usa per sua mala sorte. Gli alberi secca e consumavi l’erba; 40 l’aire corrompe sí, che qual vi passa pruova, ne l’alitare, quanto è acerba. E a ciò che morto col suo morso lassa (pensa se ’l tosco è crudo e temperato) niuna bestia la testa v’abbassa. 45 Bianco è del corpo, alquanto lineato; la sua lunghezza è poco piú d’un piede, le gambe grosse, crestuto e alato. Quando si move, sempre andar si vede la parte innanzi ardita, fiera e dritta; 50 quella di dietro qual serpe procede. De gli occhi accesi fuori un velen gitta, che l’uom che ’l mira perde e cade in terra: cosí l’alma nel cuor è tosto afflitta. Sopra quanti animai, che a lui fan guerra, 55 è la mustela che l’uccide e vince, portata con la ruta ove s’inserra. D’ogni serpente questo è re e prince; dove n’ha piú è dietro a l’Etiopia, per quelle selve disviate e schince". 60 Cosí andando, ancor mi fece copia d’alcuna pietra, che di lá si trova, e cominciommi a dir de l’elitropia: "Questa, nel mondo, è molto cara e nova, di color verde, salvo che un poco 65 è piú oscura che ’l verde non prova, gottata di sanguigno a loco a loco, e, se si pone in acqua u’ sol non traggia, par ch’essa bolla come fosse al foco. E chi la mette lá, dove il sol raggia 70 in chiara fonte, l’aire intorno oscura e ’n sanguigno color par che ritraggia. Util si crede a colui che fura; similemente voglio che tu sappia che ’l sangue stringe a l’uom per sua natura. 75 Ancor mi piace che nel cuor ti cappia ch’al nostro viso, fuggendo, si vela chi con l’erba sua sora l’accalappia. Cosí tra questa gente non si cela la pietra corno Ammon, la qual risprende 80 in color d’oro, senza alcuna tela. Sí come ha ’l nome, la forma s’intende; qual, dormendo, la tien sotto la fronte, veraci sogni si dice che rende". Pur seguitando le parole conte, "Un’altra ci è, mi disse, e ’l nome piglia dal suo paese, detta nasamonte. E questa quasi di color somiglia, con certe vene di nero aombrata, qual vivo sangue, tanto par vermiglia; 90cara e bella par molto a chi la guata".