Quid novi?

Rime di Celio Magno (347-350)


Rime di Celio Magno347    [A Tommaso Stigliani]Ben rinova, Stigliani, essempio espressofortuna in te de la sua legge antica:ch'ognor virtute in dura guerra implicaperché le sia da lei l'imperio cesso.Ma qual di palma suol ramo depresso,tu in te risorgi, e speme al cor nodrica;resisti al flutto averso e t'affaticaprender il porto al tuo valor promesso.Tua però prima cura il lauro sia,che a lui nascesti; e s'util cerchi altronde,segui di gloria ancor la propria via.Non sempre irato il mar fiere le sponde,né sempre in terra il ciel grandine invia,e 'l sol dopo la notte i rai diffonde.348Poich'empia morte ha quel valor distruttoche d'opre ornava il mondo illustri e conte,me stesso a consolar forze ho mal pronte,non che spender le possa a commun frutto.Anzi dal pianto altrui più al pianto induttovien che, qual rio per pioggia, il duol sormonte;che raro il sol vedrà, nasca o tramonte,altro a gloria maggior spirto produtto.E se per dar conforto al cor dolentesuoi pregi a celebrar cantando io torno,dai pregi stessi il duol crescer si sente.Tu, novo Orfeo, l'amaro in ch'io soggiornosei con tua cetra a raddolcir possente,e far, dando a lui vita, a morte scorno.349    Dialogo in musica [Per il clarissimo signor Marcantonio Michiel]A.Goda tra canto e festaVinezia, e lieta accoglia al suo ritornol'amato figlio e d'ogni pregio adorno.B.Pianga altrettanto mestaChioggia per lui, poich'a la sua partitaparve partir da lei la propria vita.A.Non nacque in questo nidospirto dal cielo a più bell'opre elettodentro a più franco e generoso petto.B.Non resse altri in quel lidopiù giusto fren con più senno e valore,a l'alta patria sua crescendo onore.A.Quella nel cor divotoserberà eterna del Michiel memoria,con ardente desio d'ogni sua gloria.B.Questa adempirà 'l voto con larghi premi; ond'altri essempio togliaed ella, a commun pro, frutto ne coglia.A.O prezioso frutto,di nobil vita in verde età maturo,del favor c'ha dal ciel pegno sicuro!B.O degno stuol riduttoad onorarlo: quanto ei da te prendesplendor e gaudio; e quanto a te ne rende!A.Così dal vostro vantoderivi tal dolcezza a' nostri accentiche ne gioisca il cielo, il mare e i venti.B.Così col nostro cantosi rinovino a voi dai cieli amicimille di questo a par giorni felici.350Tu pur nel tuo pensier vano e crudeleoltre ancor passi ed ostinata duri,empia mia donna, e l'aspre mie querele,il lungo affanno, il lagrimar non curi.né ti ravede, ohimè, ch'al tuo fedeleper sì ingiusto rigor morte procuri:morte, ch'esser non puote a venir tarda,se tua dolce pietate in me non guarda.Ahi, che se nel tuo cor regnasse Amorecome nel volto e ne' begli occhi regna,vinto sì non l'avria stolto timore,né macchiata tua fé di nota indegna.E stimeresti troppo grave erroreche quel crudel, che torti a me s'ingegnacon sua vane minacce e finto grido,t'allontanasse dal tuo amante fido.Non mi fer già sperar frutto sì durodell'amor tuo quelle lusinghe finte,quelle impromesse, che da te mi furosotto falso color sì ben dipinte.Vivi, dicei, de la mia fé sicuro,diletto amante: ch'in ciel prima estintele stelle, e senza luce il sol vedrai,ch'in alcun tempo i' t'abbandoni mai.E pur ne portan le parole i venti,perfida; pur oblii la tua pietade,ch'al primo crollo che fortuna tenti,svelta fuor del tuo petto in terra cade.Costume è ciò de le più basse menti,dopo mercede armarsi a crudeltade,e consentir ch'in noi voglie e desirifortuna a suo piacer travolva e giri.Mentre il ciel ride, e dolci aure secondespiran d'intorno a queste piagge amene,benché non mova a pena arbor le frondecon poca lode in piè ferma si tiene.Ma se, turbato, il ciel la faccia asconde,e Borea, irato, a contrastarla viene,ben s'a l'impeto allor vinta non cede,eterno vanto aver suo merto chiede.Benché qual duro caso orrendo e strano,qual forza, qual furor da me ti parte?Un breve sogno, un fumo, un debil vanoaltrui sospetto, e forse finto ad arte.Ahi quanto speri, aspra mia morte, invanone la gloria di quelle aver mai parte,ch'ogni strazio e martir tolsero innantiche venir meno a lor fedeli amante.Dieci volte ha già 'l sol fatto ritornocol novo di fuor de l'albergo usato,che tu, negando a me più chiaro giorno,nel tuo stai chiuso, o mio bel sole amato;né mi degni scoprir del volto adornogli ardenti raggi e 'l vano crine aurato.Ed io pur vivo ancor? Ne 'l duol mi furaa notte, ohimè, così penosa e dura?Ma poco andrà, se i tuoi be' raggi a darmidolce soccorso fian più lenti e scarsi:che di sonno mortal vedrai velarmigli occhi, e la notte mia perpetua farsi.Già quel cor, ch'è pur tuo, dentro gelarmisento, e l'alma, per girne a volo, alzarsi;già non usato orror mi cinge e preme,e già sento il sospir de l'ore estreme.Tal già da la sua diva, il cui bel voltonon men che 'l nome in te si mira espresso,fu, per creder di lei, fallace e stolto,l'infelice Orione a morte oppresso.