Quid novi?

Il Dittamondo (5-20)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO QUINTOCAPITOLO XXQuanto piú cerco e piú novitá trovo; e ’l veder tanto a l’animo diletta, che non mi grava l’affanno ch’io provo. "Qui non si vuole, andando, alcuna fretta, disse Solin, ma porsi mente ai piedi, 5 ché questa gente è cruda e maledetta; poi il paese è maggior che non credi; non è cristiano né buon Saracino qualunque intorno abitare ci vedi. Garamanti son detti in lor latino, nominati cosí anticamente da Garama, figliuolo d’Apollino. La lussuria è comune a questa gente, sí come a l’Etiope, e cosí indoma e senza legge vive bestialmente. 15 Colui che primo li castiga e doma Cornelio Balbo per certo fu quello e che n’ebbe trionfo giunto a Roma". Cosí parlando, trovammo un castello non lungi da la strada, sopra un monte: 20 Debris si noma, molto ricco e bello. Qui mi trasse Solino a una fonte abondevole d’acqua e d’alte grotte, chiusa e serrata da le ripe conte. "Guarda, diss’ello, quest’acqua: la notte, 25 Mungibel mostra o qual piú forte bolla; di dí, par ghiaccio sopra l’Alpi Cotte". E come d’un pensier l’altro rampolla, diss’io fra me: Di questa Ovidio dice la sua natura e come surge e polla. 30 Apresso disse: "In su questa pendice sol per quel prego che già fece Ammone a Iupiter, che tanto fu felice, fece scolpire un ricco montone, sopra un petrone, con due corna d’oro, 35 che giá fu molto caro a le persone. Ed era opinione di coloro che veri sogni sognava colui lo qual, dormendo, li facea dimoro". Cosí parlando e seguitando lui, 40 aggiunse: "Non bisogna ch’io ti dica de le pecore lor, ché ’l sai d’altrui, come e perché, pascendo, vanno oblica". Indi arrivammo a una cittade nomata Garama, grande e antica. 45 Pensa, lettore, che queste contrade dal nostro lato col Nilo confina; da l’altro par che l’Etiopo bade. Andavam da la parte u’ è Cercina in verso Gaulea, sempre spiando 50 d’alcuna novitá lungi o vicina. Piú giorni giá eravamo iti, quando trovammo un altro popol, molto grande, del qual Solino dimandai, andando. Ed ello a me: "Questa gente si spande 55 in fino a lo Esperido oceano per gran diserti e salvatiche lande. Una isola è in questo luogo strano, ch’è ditta Gauleon, onde Gaulei si noman quanti in questa parte stano. 60 In essa alcun serpente, saper dèi, viver non può, e sia di qual vuol sorte, né li scorpioni, c’han toschi sí rei. E piú ancor: se di lá terra porte in altra parte, tanto è lor contrara, 65 che a l’una sorte e a l’altra dá la morte". E poi che la mia vista fu ben chiara de l’esser loro, in vèr colui mi trassi che dentro al mio pensier col suo ripara. Io volea dire; ed el: "Tu vuoi ch’io lassi 70 questa contrada e cerchi altro paese". "Vero è, diss’io, ché indarno omai qui stassi". Qui non fu piú, se non che la via prese pur a ponente, da la man sinestra, in verso il mar, come il cammin discese. 75 Non mi parve che fosse piú silvestra la gente ch’i’ trovai nel mar di Sizia, che quella che qui vidi a la campestra. "O luce mia, se puoi, qui mi indizia chi son costoro, in queste parti strane, 80 che fun creati in tanta tristizia: vedi c’han muso e labbra di cane; d’andar lor presso m’è una paura; per Dio!, fuggiamo in tutto le lor tane". Ed ello a me: "Figliuolo, or t’assicura e non temere che ti faccian male; vienmi pur dietro e quanto vuoi pon cura: questa gente ti dico ch’ella è tale e ne la vita lor tanto cattiva, che di far danno altrui poco lor cale". 90 E io a lui: "A ciò ch’altrui lo scriva, dimmi il lor nome e con lievi prologhi passa pur oltre e quanto puoi li schiva". "Di qua, diss’el, si chiaman Cenomologhi".