Quid novi?

Il Dittamondo (5-21)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO QUINTOCAPITOLO XXILa novitá de’ volti, ch’io vedea,diletto m’era; e nondimen temenza de’ feri denti alan, mirando, avea: perché, quando venia in lor presenza, digrignavano il ceffo, come i cani 5 a l’uom, del qual non hanno conoscenza. Passato per li poggi e per li piani di questa gente, un’altra ne trovai di vita e di natura molto strani. "O cara spene mia, diss’io, che m’hai 10 guidato in queste strane regioni, dimmi chi son costor, s’a mente l’hai". "Agriofagi li nomo e, se ragioni di lor, dir puoi che quei cibi, ch’essi hanno, pantere sono e carne di leoni 15 (cosí rispuose) e loro signor fanno colui c’ha solo un occhio ne la testa e dietro a lui e a le sue leggi vanno". Fra me pensai allora e dissi: "Questa gente fa come lupa in sua lussuria, 20 che ’l piú cattivo, quando dorme, desta". Poi il domandai se fanno altrui ingiuria. Rispuose: "No, se per alcuno oltraggio, sí come avièn, non fosson messi in furia". Cercato noi quel paese selvaggio 25 e visto ch’altro da notar non v’era, Solin si mosse e prese il suo viaggio. Sempre da la sinistra il Nilo ci era ed era da la destra un ricco fiume, lo qual porta oro per la sua rivera. 30 Non molto lungi al cerchio, ove il gran lume si truova, da poi che la sera vene, gente trovammo con fiero costume. "Qui, mi disse Solino, ir si convene col cuor sospeso e con gli occhi accorti 35 a’ piè mirarsi, a voler far bene. Gli Antropofagi son questi c’hai scorti, tanto crudeli e di sí triste foggi, che mangiano de l’uomo i corpi morti". "Per Dio!, diss’io, fuggiam tosto quei poggi 40 e, se t’incresce sí che non possi ire, quanto tu puoi fa che a me t’appoggi". Un poco rise, udendomi ciò dire; poi disse: "Non temer, ché giá qui fui e senza danno mi seppi partire". 45 A l’atto e al parlar, ch’io vidi in lui, pensai fra me: Se pericol ci fosse, non riderebbe, come fa, costui. Poi seguitò: "Quel ch’a ciò dir mi mosse si è che fanno una e altra cava, 50 dove uom riman talora in carne e in osse". Dato le spalle a quella gente prava, noi ci trovammo giunti in su lo stremo, dove il grande ocean le piagge lava. Gente trovammo qui, dove noi semo, 55 misera tanto ne l’aspetto, ch’io fra me, per la pietá, ancor ne gemo. Ahi quanto ha bene da lodare Iddio colui, che ’n buon paese e degno nascia, ed esser suo col cuore e col disio! 60 Questa gente, ch’io dico, il corpo fascia da lo bellico in giú di frondi c’hanno e l’altra parte tutta nuda lascia. Lo piú del tempo come bestie vanno in quattro pie’; di locuste e di grilli 65 la vita loro i miseri fanno. Non san che casamenti sian né villi; tane e spilonche sono i loro alberghi; or qua or lá ciascun par che vacilli. Dietro Atalante e Morocco hanno i terghi; 70 gli ultimi questi sono nel ponente, neri a vedere come corbi o merghi. Io dimandai Solino: "Questa gente come si noma? E contami ancora se cosa da notar ci ha piú niente". 75 "Artabatici, mi rispuose allora, nomati sono e per questo diritto niente piú, che sia da dir, dimora. Ma vienne omai, ch’assai di loro è ditto". E qui si volse in verso il mezzogiorno 80 per quel cammin, ch’è dal sol secco e fritto. Sol rena e acqua ci parea d’intorno: e ’n questo modo camminammo tanto, che in Etiopia entrammo da quel corno. Vero è che noi ci lasciammo da canto 85 li Pamfagi, Dodani e piú molti altri, che andarli a ritrovar sarebbe un pianto. "Qui si convien passare accorti e scaltri, disse Solin, ché ci ha diversi popoli ch’a’ lor son crudi e via peggiori in altri. 90E fa che quel ch’è bello in fra te copoli".