Quid novi?

Il Dittamondo (5-22)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO QUINTOCAPITOLO XXIIQuanto è maggior la cosa e piú affannoper acquistarla soffrir si convene;e quanto ha l’uom piú cuor, men li fa danno. Pensa come Alessandro con gran pene acquistò il mondo e quanto al nobil core parve leggeri e poco tanto bene; e pensa quanto Glauco pescatore s’affaticava e, se prendeva un pesce, rimanea stanco e teneasi signore. Dunque, se per valor del cuor l’uom cresce in fama, non temer, ma prendi ardire e fatti forte, quanto piú t’incresce. Questo cammino, onde ora dobbiam ire, è tanto grave, pauroso e oscuro, quanto alcun altro, ch’io sapessi dire". Cosí quel mio maestro caro e puro mi disse; e io a lui: "Va pure innanzi, ché me vedrai qual diamante duro. Ben penso che di’ questo, perché dianzi mostrai d’aver paura di coloro, dov’io dissi: "Per Dio, che qui non stanzi! –". Non mi rispuose né fe’ piú dimoro; prese la strada dritta in vèr levante, che giá cercato avea di foro in foro. Grande il paese e sonvi genti tante, che pare un formicaio e, se ben vidi, poveri alberghi v’hanno per sembiante. "Tutta Etiopia in due parti dividi, disse il mio sol: l’una è questa in ponente; l’altra suso in levante par s’annidi. Tra l’una e l’altra non abita gente; sí v’è la terra rigida e selvaggia, ch’a la vita de l’uom non vale niente". Cosí parlando, trovammo le piaggia del Negro, un grande e nobile fiume, 35 che bagna l’Etiopo e che l’assaggia. Vero è che, per natura e per costume, questo col Nilo un’acqua si crede: e tal lo troverai in alcun volume. Io vedea per tutto andare a piede 40 uomini e femine e stare in brigata, come fra noi le mondane si vede. Mentre io mirava, disse Solin: "Guata questa gente bestiale e senza legge come al piacer di Venere s’è data. 45 E sappi che di quante se ne legge, non truovi schiatta di questa piú vile: niun conosce il padre, ben ch’el vegge. E per natura il mondo ha questo stile: che ne’ piú stremi i men nobili pone 50 e per lo dritto suo i piú gentile. Al gran calor, che ’l sole qui dispone, Etiopi funno primamente ditti, secondo che alcun vuole e propone. Sotto il cardin meridian son fitti: 55 assai ci sono i quali, spesse volti, lo sol biasteman, sí da lui son fritti. Piú popoli diversi, e bestial molti, si ponno annoverare in questa parte e genti nude, per le piagge sciolti. 60 Poco si curan di scienza o d’arte; la terra han buona e bestiame assai, oro e gemme quanto in altra parte. Truovi ove funno, s’al mezzodí vai, Antipodes da presso a l’oceano, 65 di cui i poeti parlâr come sai". Cosí cercando il paese lontano e ragionando, giungemmo a un lago ch’assai mi parve di natura strano. "Non si vuol esser di quest’acqua vago, 70 disse Solin, per sete che l’uom abbia, perché quella d’Acon non fa piú smago: però che chi ne bee o ello arrabbia o che dal sonno egli è si forte preso, che come morto il portaresti in gabbia". 75 Di lá partiti, io andava sospeso tra quelle genti e davami lagno di veder quel ch’io vengo a dir testeso. Pensa, lettor, se mai fosti in Bisagno o in Poncevere, nel tempo del Gemini, 80 per festa, ch’uom non cerchi alcun guadagno, e veduto hai donne, donzelle e femini coi volti lor piú neri assai che mora e i denti come neve, che ’l ciel semini, tali eran quei di questi ch’io dico ora: 85 e cosí degli azzurri e verdi scuri, sí come quivi, non vedesti ancora. Barba non hanno o poca i piú maturi; le labbra grosse dico e i nasi corti; crespi i capelli e ne la vista oscuri. 90 Assai dei corpi lor son duri e forti, freddi del cuore e vil quanto coniglia e ne l’atto de l’armi poco scorti. Se di guardarli m’era maraviglia, minor non parea lor di veder noi: 95 ridean fra lor, rivolte a noi le ciglia,e l’uno a l’altro n’additava poi.