Quid novi?

Della Casa 06: sonetti


XXVIMentre fra valli paludose e imeritengon me larve turbate e mostri,che tra le gemme, lasso, e l'auro e gli ostricopron venen che 'l cor mi roda e lime;ov'orma di virtù raro s'imprime,per sentier novi, a nullo ancor dimostri,qual chi seco d'onor contenda e giostriten vai tu sciolto a le spedite cime.Onde m'assal vergogna e duol, qualoramembrando vo com'a non degna retecol vulgo caddi, e converrà ch'io mora.Felice te, che spento hai la tua sete!Meco non Febo, ma dolor dimora,cui sola pò lavar l'onda di Lete.Le Rime secondo la stampa del 1558Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 26 (pag. 14)Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 274Note:Anche questo al Cappello; ed è risposta per le rime, come usavano i poeti d' un tempo, e qualche volta anche quelli del nostro. Il sonetto del Cappello comincia: Casa gentil, che con si colte rime.(Carrer, cit., pag. 304)XXVIIGioia e mercede, e non ira e tormento,principio son de le mie risse nove,e con pietate Amor guerra mi move:che com'è più tranquillo, i' più 'l pavento.Ma sì speranza in me ragione ha spentoe sì tolte mi son l'armi ond'io provedifesa far, ch'io bramo in me rinovel'acerbo imperio suo, non pur consento.Mansueto odio spero e pregion piada signor crudo e fero, a cui pur dianzicon tal desio cercai ribello farmi.O penser folle! e te, Venezia mia,ne 'ncolpo, ch'a nemico aspro dinanzie d'ardire e di schermo mi disarmi.Le Rime secondo la stampa del 1558Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 27 (pag. 14)Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 275Note:Quando il Casa compose questo sonetto era nunzio in Venezia, mandatovi da Paolo III; ed innamorò di certa Cammilletta. Il seguente e l' altro hanno Io stesso soggetto. È questa la seconda fiamma accesa al cuore del poeta; però chiama la sua nuova galanteria prigione seconda.(Carrer, cit., pag. 304)XXVIIICerto ben son quei due begli occhi degnionde non schifi il cor piaga profonda,e quella treccia inanellata e bionda,ove al laccio cader l'alma non sdegni.Altri due lustri e più nel mio cor regnie mi conduca a la prigion secondaAmor, che i passi miei sempre circondaco' i più pericolosi suoi ritegni;poi che sì dolce è 'l colpo ond'i' languisco,sì leggiadra la rete ond'i' son preso,sì 'l novo carcer mio diporto e festa.Benedetta colei che m'have offeso,e 'l mare, e l'onda, in cui nacque il mio riscosecuro, e la tranquilla mia tempesta.Le Rime secondo la stampa del 1558Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 28 (pag. 15)Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 276Note:V. 5. Altri due lustri e più, ec. Vedi il sonetto XX, ove canta di essere contento di vivere servo d' amore sette anni e sette; e se vogliamo trovare corrispondenza colla storia dell'Isacide, bisogna anche aggiugnere con differita mercede fino a quel lungo termine. Sembra che la sua prima passione, probabilmente per la Orsina, fosse durata oltre ai dieci anni. Di questa seconda parmi non dovesse superbire il poeta gran fatto, s'è quella di cui parla a Girolamo Quirino come d' un amorazzo (vedi la decima delle Lettere al Gualteruzzi). Gli anni concorderebbero, e questi sonetti sarebbero stati scritti nel 1544, o indi a poco. Dall'amorazzo ebbe un figlio, e il chiamò Quirino, in memoria di Lisabelta Quirini e di M. Girolamo, persone da lui amate e stimate, come spiega l'indulgentissimo annotatore delle prefate Lettere al Gualteruzzi. Di madonna Lisabetta Quirini vedi più innanzi.(Carrer, cit., pag. 304)XXIXSoccorri, Amor, al mio novo periglio,ché 'n riposo e 'n piacer, travaglio e guai,e 'n somma cortesia morte trovai,né vagliono al mio scampo armi o consiglio.D'un lieto sguardo e d'un sereno ciglio,cui par nel regno tuo luce non hai,a te mi doglio, ch'ivi entro ti stai,e d'un bel viso candido e vermiglio.E de' leggiadri membri anco mi lagno,eguali a quei che contrastar ignudivider le selve fortunate d'Ida.Da questi con pietate acerbi e crudinemici (poi ch'ancor non mi scompagnoda le tue schiere) tu, che pòi, m'affida.Le Rime secondo la stampa del 1558Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 29 (pag. 15)Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 277XXXLe chiome d'or, ch'Amor solea mostrarmiper meraviglia fiammeggiar sovented'intorno al foco mio puro, cocente(e ben avrà vigor cenere farmi),son tronche, ahi lasso: o fera mano e armicrude, e o levi mie catene e lente!Deh come il signor mio soffre e consentedel suo lacciuol più forte altri il disarmi?Qual chiuso in orto suol purpureo fiore,cui l'aura dolce, e 'l sol tepido, e 'l riocorrente nutre, aprir tra l'erba fresca;tale, e più vago ancora, il crin vid'io,che solo esser devea laccio al mio core:non già ch'io, rotto lui, del carcer esca.Le Rime secondo la stampa del 1558Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 30 (pag. 16)Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 278Note:Non so se scritto per la Quirini, ma crederei che fosse piuttosto per la Cammilletta soprannotata. Si paragoni a quello dell'Ariosto sopra lo stesso soggetto a pag. 93 della nostra raccolta. La prima terzina è pasta catulliana. E si questo, che il seguente, ebbero lodi grandissime e meritamente, essendo bellissimi in ogni parte. Dai commentatori si citano parecchie poesie per chiome recise. Chi non sa dell' elegia di Callimaco e dell'ode di Anacreonte pei capelli fatti radere dal tiranno Policrate al giovine Smerdia? (Eliano, Storia Varia, lib. IX, cap. 3). Nel VII libro degli Epigrammi greci si ha d'una chioma che un geloso fece tagliare all' innamorato. Peggior fatto si narra dal Guicciardini, sul fine del lib. VI, d'Ippolito, cardinale, da Este, che fece cavar gli occhi a Giulio suo fratello carnale, perchè concorrenti nel suo amore. Nei versi 7-8 sono ricordati que' del Petrarca, p. I, s. 176: Ma tu come il consenti, o sommo Padre, Che del tuo caro dono altri ne spoglie?E vedi anche il primo dell' Ariosto.(Carrer, cit., pag. 305)