Quid novi?

Il Dittamondo (5-26)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO QUINTOCAPITOLO XXVIPer la gran neve e per la nebbia strana, chiuso e nascoso il suo corpo nutrica l’orso, l’unghia succiando, ne la tana. E cosí, nel gran verno, la formica si ciba di quel grano, ne la grotta, 5 c’ha trito e acquistato con fatica. Similemente dico la marmotta, cui il maschio suo per avarizia caccia, poi c’ha la schiena ben pelata e rotta, fa nuova tana e tanto si procaccia, 10 che ritruova il suo cibo, e quivi posa in fin che sopra terra sta la ghiaccia. E la serpe, che fu sí velenosa nel sol del Cancro, sotto terra vive, mutando spoglia, e fuori uscir non osa. 15 E i pesci, che pasciano per le rive nel dolce tempo, ne’ pelaghi vanno per le gran cave e per le conche prive. E quasi tutte quelle piante, c’hanno atto di vita, son per lor natura 20 chiuse e rastrette e come morte stanno. E i marinari, che con gran rancura cercâr la state i luoghi marini, ciascun guarda ora il tempo e ha paura. Per questo modo ancora i pellegrini, 25 che ne la primavera giano a torno, in tutto hanno lasciato i lor cammini. E io sol sono, che la notte e ’l giorno dietro a Solin pellegrinando vado, essendo il sole al fin di Capricorno. 30 O tu che leggi, al quale utili bado che siano i versi miei, asempro prendi se puoi; non perder tempo in alcun grado, ch’io voglio ben che noti e che m’intendi, ché l’uom ch’è pigro non fará mai bene, 35 ché ’l vizio è tristo e tristizia n’attendi. E imagina che quanto il mondo tene, non è paese piú scuro né reo che quello, onde andar or ne convene. Un’isola è, che la noman Moreo, 40 presso al Nilo, in verso l’oriente, lungo lo qual Solino il cammin feo. Di sopra questa confina una gente, la quale udio che son detti Macrobi, grande del corpo, bella e intendente. 45 Ignudi vanno tutti e senza robi; legano i membri, adornan di metalli, d’oro e di pietre riccamente adobi. Qui mi disse Solin: "Non vo’ che falli, ma ’l ver ne porti di costor, da poi 50 che se’ giunto a veder li loro stalli. La vita han lunga il doppio piú di noi; amano equitá, aman ragione quanto altra gente che tu sappia ancoi". Un lago vidi in quella regione, 55 del quale ancor la natura m’aperse, come nel libro suo la scrive e pone. Apresso ancor mi disse e mi scoperse come lá presso li Popiti sono, genti bestiali, crudeli e diverse. 60 Gustan la carne, quando aver ne pono, dico de l’uom, per denari o per forza: che qui non è pietade né perdono. E io a lui: "S’alcuno non mi sforza, non passo lá; d’altro fa che m’avise, ch’io non darei, per vederle, una scorza". Un poco me guardando, in fra sé rise; poi disse: "Ben hai detto, fuggiam queste". E per altro cammino allor si mise. Noi trovammo deserti e gran foreste e luoghi solitari e pien di rabbia dico di mostri e di altre tempeste. Come l’uccel, che cerca per la gabbia d’uscirne fuori, cercavamo ognora, sempre appressando in verso il sen d’Arabbia. 75 Per quelli stremi di levante, allora, trovammo genti con sí strani volti, che a imaginarli me ne segno ancora. Io ne vidi in una parte molti senza naso, la faccia tutta piana, 80 che, noi mirando, ridean come stolti. E vidivi, passato quelle tana, un’altra gente, la quale, a guardarla, piú mi parea salvatica e strana. Questi han per bocca un foro e mai non parla; 85 vivon di quel che la terra produce, ché fatica non hanno a seminarla. E pria che Tolomeo fosse lor duce, la maggior parte, per quello ch’i’ udio, non conosceano fuoco né sua luce, 90e come bestie seguiano il disio.