Quid novi?

Della Casa 07: rime


XXXILe bionde chiome, ov'anco intrica e prendeAmor quest'alma, a lui fidata ancella,ferro recide, e sempre ver' me fellae scarsa man quel sì dolce oro offende.Né di tanto splendor priva, m'incendecon men cocente o men chiara facellal'alma mia luce; e fa sì come stellache con l'ardente crin fiammeggia e splende,né, quello estinto, men riluce poi,né men co' i propri rai nuda le nottiper lo sereno ciel arde e sfavilla.Non è franco il mio cor, lasso, interrottii saldi e infiammati lacci suoi:né de l'incendio mio spenta è favilla.Le Rime secondo la stampa del 1558Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 31 (pag. 16)Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 279XXXIIArsi; e non pur la verde stagion frescadi quest'anno mio breve, Amor, ti diedi,ma del maturo tempo anco gran parte:libertà cheggio, e tu m'assali e fiedi,com'uom ch'anzi 'l suo dì del carcer esca;né prego valmi, o fuga, o forza, od arte.Deh qual sarà per me secura parte?qual folta selva in alpe, o scoglio in ondachiuso fia, che m'asconda?e da quelle armi, ch'io pavento e tremo,de la mia vita affidi almen l'estremo?Ben debb'io paventar quelle crude armiche mille volte il cor m'hanno reciso,né contra lor fin qui trovato ho schermoaltro che tosto pallido e conquisocon roca voce umil vinto chiamarmi.Or che la chioma ho varia, e 'l fianco infermo,cercando vo selvaggio loco ed ermo,ov'io ricovri, fuor de la tua mano:ché 'l più seguirti è vano,né fra la turba tua pronta e leggerazoppo cursore omai vittoria spera.Ma, lasso me, per le deserte arene,per questo paludoso instabil campo,hanno i ministri tuoi trovato il calle;ch'i' riconosco di tua face il lampoe 'l suon de l'arco, ch'a piagar mi vène:né l'onda valmi, o 'l giel di questa valle,né 'l segno è duro, né l'arcier mai falle.Ma perch'età cangiando, ogni valorecosì smarrito ha 'l corecom'erba sua virtù per tempo perde,secca è la speme, e 'l desio solo è verde.Rigido già di bella donna aspettopregar tremando e lacrimando volli,e talor ritrovai ruvida bendavoglie e pensier coprir sì dolci e molli,che la tema e 'l dolor volsi in diletto.Or chi sarà che mia ragion difenda?o i miei sospiri intempestivi intenda?Roca è la voce, e quell'ardire è spento;e agghiacciarsi sentoe pigro farsi ogni mio senso interno,com'angue suole in fredda piaggia il verno.Rendimi il vigor mio, che gli anni avaritosto m'han tolto, e quella antica forzache mi fea pronto, e questi capei tinginel color primo, che di fuor la scorzacome vinto è quel dentro non dichiari;e atto a guerra far mi forma e fingi,e poi tra le tue schiere mi sospingi,ch'io no 'l recuso, e 'l non poter m'è duolo.Or nel tuo forte stuoloche face più guerrer debile e veglio?Libero farmi il tuo fôra e 'l mio meglio.Le nubi e 'l gielo e queste nevi solede la mia vita, Amor, da me non hai,e questa al foco tuo contraria bruma:né grave esser ti dee, che frale omailungi da te con l'ali sciolte i' vole.Però che augello ancor d'inferma piumaa quella tua, che in un pasce e consuma,esca fui preso: e ben dee viver francoantico servo stancosuo tempo estremo almen là dove siacortese e mansueta signoria.Ma perché Amor consiglio non apprezza,segui pur mia vaghezza,breve canzone, e a madonna avanteporta i sospiri di canuto amante.Le Rime secondo la stampa del 1558Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Canzone 1 (pag. 32)Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 280Note:Parla il Bembo con molta lode di questa canzone in una lettera a Girolamo Quirini. Si vede scritta in età matura. E quand'anche ciò non si dicesse dall'autore in più luoghi, si farebbe palese per la continua perfezione dello stile e del verseggiare.St. 1, v. 2. Anno breve è detto per vita; come "dì" nello stesso significato.St. 2, v. 7; e st. 3, v. 1-2. Selvaggio loco devesi intendere per inabitato. Paludoso instabil campo, ec, fa credere al Quattromani che il poeta voglia qui parlare di Murano ove abitava; al Menagio sembra con queste parole descritta Venezia, ed è forse meglio, dacchè accenna subito dopo al suo innamoramento. O che forse la Cammilletta era di quell'isola, ciò che non sappiamo. Potrebbero studiarsi a questo fine i primi quattro versi della strofa quarta.St. 3, v. 7. Falle per falla. Solite licenze domandate dalla rima. Ma questa è notabile, usandosi cambiare più volentieri l'ultima vocale nei congiuntivi che negl'indicativi. Il Tasso però nel sonetto Quel d'eterna beltà raggio lucente (quarantesimo degli amorosi ) ha nell' ultimo verso vole per vola.(Carrer, cit., pag. 314)XXXIIIBen veggo io, Tiziano, in forme novel'idolo mio, che i begli occhi apre e girain vostre vive carte, e parla e spiraveracemente, e i dolci membri move;e piacemi che 'l cor doppio ritroveil suo conforto, ove talor sospira,e mentre che l'un volto e l'altro mira,brama il vero trovar, né sa ben dove.Ma io come potrò l'interna parteformar giamai di questa altera imago,oscuro fabro a sì chiara opra eletto?Tu Febo (poi ch'Amor men rende vago),reggi il mio stil, che tanto alto subiettofia somma gloria a la tua nobil arte.Le Rime secondo la stampa del 1558Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 32 (pag. 17)Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 284Note:Lisabetta Quirini fu gentildonna famosa per bellezza, o che tale la tramandarono alla posterità il pennello di Giovan Bellini e di Tiziano, e i panegirici degli innamorati. Era sorella a Girolamo Quirini, grande amico del Casa, che gli confidava i suoi amorazzi colla Cammilletta. Messer Girolamo, a cui non piaceva la ignobile tresca, volle trovargli cosa più fine di sua mano (Lettere al Gualteruzzi, X), e il condusse a far visita alla sorella. Marcantonio Flamminio aveva sviato il Casa da quella conoscenza, sotto spezie di carità; carità di volpe, perchè anche il Flamminio viveva innamorato di Madonna. Coloriva di onestà la sua gelosia, "ricordando con quanta gravità convenga stare un Legato, e che non sta bene a tor le innamorate al prossimo"; ma monsignore faceva il sordo (ut supra, IV). Si mise nella buona grazia di Madonna, vendicandosi del poco leale consigliero (ut supra, XVI); e prese ristoro nella conversazione di lei dalle controversie con Sebastiano Venier sopra le immunità ecclesiastiche, e dalle polemiche vergeriane. La cantò idolo suo, dipinta da Tiziano; come dipinta dal Bellino era stata cantata dal Bembo: e le due poesie stanno in ragione della fama de' due pittori. Il ritratto del Tiziano, ricordato dal Vasari ad una col sonetto del Casa (Vita di Tiziano), trovavasi in Roma, per testimonianza del Menagio, e una copia in Venezia appresso i Padovani pittori. Il sonetto del Bembo pel quadro del Bellino comincia: O immagine mia celeste e pura. Altro ne fece il Bembo sullo stesso argomento: Son questi que'begli occhi, ec.: e il Casa pure continuò con quell'altro: Son queste, Amor, le vaghe trecce bionde, XXXIII della nostra raccolta; e non avrebbe cessato, se più gravi studj non lo avessero costretto a far tregua con le Muse e con Tiziano. (Lettere al Gualteruzzi, XXV). Ora vengo, ch'è tempo, ai sonetti. Fu censurato dal Menagio nel v. 5 del primo il doppio messo a lato al cuore per modo da lasciar dubitare che ne sia l' aggettivo: il Menagio ha ragione, ed è uno degl'innumerabili esempi dell' avvertenza che aver si vuole nella collocazione delle parole in una lingua, com'è la nostra, che, distinguendo i casi cogli articoli, non soffre molte costruzioni naturalissime alla latina. Noto nel secondo il "breve carta", in luogo di breve tela o simile, che si legge nel primo verso della prima terzina: i commentatori ne tacciono.(Carrer, cit., pag. 305)XXXIVSon queste, Amor, le vaghe trecce bionde,tra fresche rose e puro latte sparte,ch'i' prender bramo, e far vendetta in partede le piaghe ch'i' porto aspre e profonde?È questo quel bel ciglio, in cui s'ascondechi le mie voglie, com'ei vuol, comparte?Son questi gli occhi, onde 'l tuo stral si parte?né con tal forza uscir potrebbe altronde.Deh chi 'l bel volto in breve carta ha chiuso?cui lo mio stil ritrarre indarno prova:né in ciò me sol, ma l'arte inseme accuso.Stiamo a veder la meraviglia nova,che 'n Adria il mar produce, e l'antico usodi partorir celesti Dee rinova.Le Rime secondo la stampa del 1558Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 33 (pag.17)Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 285XXXVL'altero nido, ov'io sì lieto albergofuor d'ira e di discordia acerba e ria,che la mia dolce terra alma natiae Roma dal penser parto e dispergo;mentr'io colore a le mie carte aspergocaduco, e temo estinto in breve fia,e con lo stil ch'a i buon tempi fioriapoco da terra mi sollevo ed ergo,meco di voi si gloria: ed è ben degno,poi che sì chiare e onorate palmela voce vostra a le sue lodi accrebbe.Sola per cui tanto d'Apollo calme,sacro cigno sublime, che sarebbeoggi altramente d'ogni pregio indegno.Le Rime secondo la stampa del 1558Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 34 (pag. 18)Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 286Note:Risponde a un sonetto del Bembo, che incomincia: Casa, le cui virtuti han chiaro albergo. Spira da questo sonetto l'alta stima in cui il Bembo era tenuto dal Casa, che l'imitò frequentissimamente, e sempre imitandolo il migliorava. Asperger colore alle carte è frase leggiadra e insolita, quando direbbesi ordinariamente, e secondo l'autorità de'dizionarj, aspergere di colore le carte. La voce vostra (v. 11.), allude alle poesie del Bembo: potrebbe anche stare per la lingua, di cui il prelato veneziano fu assai benemerito.(Carrer, cit., pag. 307)