Quid novi?

Il Dittamondo (5-28)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO QUINTOCAPITOLO XXVIIIO mondo, tu ci tieni a denti secchilo piú del tempo, dandoci speranza:e, con questo, si muore o tu c’invecchi. Oh, quanto è folle qual prende baldanza, Fortuna, ne’ tuoi ben, che sempre giri 5 la rota e dái e tolli a l’uom possanza! Sí come senza spin non cogli o miri rosa, cosí non è mortal diletto senza fatica, pensieri e sospiri. Signor non fu giá mai senza sospetto 10 di sé o di suo stato; e s’altri è meno, vive in temenza, sé come suggetto. Dunque, che si dee far, se ’l mondo è pieno di vanitá, di lusinghe e di pene, e che dolce non ci è, senza veleno? 15 Dessi fermare l’anima e la spene del tutto in Colui, ch’è sommo bono, fuggendo i vizi e operando il bene. Ed io, che ’n sí lontana parte sono e tra gente sí dispettosa e vile, 20 ricovero a Lui per grazia e perdono: e, quanto posso, divoto e umile Lo prego che m’aiuti nel cammino e ch’io mi truovi, al fin, del suo ovile. Cosí dicea fra me, quando Solino 25 indi si mosse e prese la sua via per un sentier boscoso e pellegrino. Come andavamo, gente acerba e ria trovammo assai di lungi da coloro dei quali ragionò la scorta mia. 30 "Figliuol, diss’ello, sappi che costoro adoran li demoni de lo’nferno e qui è tutta la speranza loro. Fra questi, un’altra novitá dicerno, la qual voglio che noti, sí mi piace, 35 se mai avièn che ne tinghi quaderno. Dico, qual prende sposa, ch’ella giace le prime notti con quanti ella vole e ciò ch’a lei diletta in tutto face. Dopo questo, il marito a sé la tole, 40 lo qual vuol poi che sempre a lui si tegna pudica e casta in fatti e in parole". "Certo, diss’io, lo demonio l’insegna, a cui son dati, cosí trista legge; ma di cui fie il figlio, s’ella impregna?" 45 "Colui, per cui ella si guida e regge, lo tien per suo e come vuol si vada né altri nol castiga né ’l corregge. Angile detti son per la contrada". "Angili no, diss’io, ma dimoni 50 e, se piacer mi vuoi, tieni altra strada". Allor si mosse, senza piú sermoni, e con gran passi tanto gimmo avanti, ch’uscimmo fuori de le lor regioni. In questa parte sono i Gamfasanti, 55 che negan le battaglie a lor podere: solo la pace piace a tutti quanti. In fra costoro non può rimanere né abitare alcuno forestieri; fuggon commercia a tutto lor sapere. 60 Non per dritto cammin, ma per sentieri andavam sempre in verso l’oriente, ché di strade miglior non han pensieri. Noi trovammo, cercando, un’altra gente: questi son quei che dipinti veggiamo 65 bestial del corpo e ciechi de la mente. "Oh, diss’io vèr Solin, seme d’Adamo, tanto natura di qua ti trasforma, ch’a pena mostri frutto del suo ramo!" Ond’ello a me: "Figliuol, prendi la forma 70 de’ modi e de gli aspetti e oltra passa e, secondo che gli hai, li poni in norma. Da questa gente tanto vile e bassa noi ci vedremo in breve disciolti: Egipani li noma e star li lassa. 75 Diretro da costor son quelli stolti Satiri, c’han men legge che le serpi, strani a veder di costumi e di volti". Poi trovammo, passati boschi e sterpi, gli Imantopodi e questi, quando vanno, 80 portan le gambe e corron come serpi. Partiti noi da lor, con grave affanno giungemmo al fin di Libia e d’Etiopia, dove i Farusi, che fun d’Ercol, stanno. Qui mi disse Solin: "Quanto s’appropia 85 a l’Africa per traverso e per lungo, tu n’hai del tutto, sí com’io, la copia. Quivi niente scemo né aggiungo; ma, perché siam tra l’Oceano e ’l Nilo, piú del passare innanzi non ti pungo: 90 però ch’andando, come andiamo, a filo, noi daremmo del becco nel mar Rosso: e ciò sarebbe fuor d’ogni mio stilo". E io: "A la tua posta mi son mosso; quel cammin prendi che ti par piú destro, ché qui miglior consiglio dar non posso". Allor prese la via di vèr sinestro e, giunti in su la riva del bel fiume, trovammovi una barca col maestro,che ne passò di lá per quelle schiume. 100