Quid novi?

Mariotto Davanzati 26-30


XXVINon tien Minos in Dite alma sì riacondannata in alcun de' nove giri,sì carca e 'mportunata di martiriper giugner morte al suo buon penter pria,ch'i' non la invidi, e parmi ch'ella siafra rose, gigli, carbonchi e zaffiriverso di me, che, dove io pensi o miri,veggo colei, ch'a lagrimar ne 'nvia.Ella sol per mio strazio al mondo nacque,gelida, cruda, disdegnosa e fera,che volto non cangiò giammai, né voglia.Certo più non disira i pomi e l'acqueel misero compagno di Megera,che io fo morte, per uscir di doglia.XXVIIDel ciel discese un falcon pellegrinosol per far del mio core al mondo prede,e, quel ghermito nel suo destro piede,sen volò presto in sun un alto pino.Sembra la piuma sua argento fino;ivi si sta, e per chiamar non riede,né pianger valmi o dimandar merzede;né difender si può da tal destino,Onde gli spirti miei, che del lor ducesi veggon privi e soli in carcer tetro,priegan pur l'alma che 'l lor duol raccorte.Ella già per tornarsi all'alta lucepiù volte è mossa, e poi ritorna indietro:tant'è iniqua e disforme la mia sorte!XXVIIIQual mirabile fato il terzo cielomosse a mostrar di sé sì alte prove,care fra noi, maravigliose e nove?Né comprender si può pel greve velo,se non solo io, ché, come un sottil teloaguta vista passa e scorge altrove.Amor, che gli occhi sua sì dolce muove,mi mostra quel che ridir non saprêlo;e veggo quanto al mondo è d'onestatecon divine bellezze aggiunte insieme,col parlare amoroso e 'l vago sguardo.Poi veggo l'arco e le saette oratelocar sì nelle parti mia supreme,ch'i temo, bramo, spero, aghiaccio e ardo.XXIXLo stato mio è sì dubbioso e fosco,e di scuri pensier l'alma è sì 'ngombra,ch'i' fermo e passi spesso, e 'l core adombra,perché né me né altri ancor conosco.Né mai per fame uscì lupo di bosco,come è carco di sdegno el petto; sgombralevasi a volo, e io rimango un'ombra:e' si pasce di speme, e io di tosco.L'alma, per ritornare onde ella venne,dal corpo stanca già prende comiato;egli, smarrito, sì né no risponde.Taccia Medea e l'africane penne,ché nessun siccom'io malmeritatoné fu, né è, né fia in terra o 'n onde.XXXO per me lieto e fortunoso giorno,al qual simil giammai il cielo aperse!La divina stagione e le diversefeste ti fêr di doppio sole addorno.Nel sacro tempio, libero soggiornofe', mentre che 'n pan Giove si converse;ma, poi che 'l fin di quel per me si scerse,men gi', e 'l sangue al cor s'acolse intorno.Come del suo futuro accorto e saggios'armò, né valse contro alle faville,che sopra al varco accese Amor con tempre,sull'ora sesta el dì terzo di maggio,nel quatrocento trentasei e mille,ch'i' arsi e ardo, e bramo d'arder sempre.