Quid novi?

Il Dittamondo (6-05)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO SESTOCAPITOLO V"Veduto hai ben sí come per li stremidi tutto l’abitato son le gentimostruose e d’intelletti scemi.Alte montagne e piene di spaventi, oscure valli truovi e folte selvi 5 con salvatiche fiere e gran serpenti. E quanto piú da queste ti divelvi e vien ne l’abitato, piú si trova dimestica la terra e con men belvi. Dunque questo paese, lo qual cova 10 quasi nel mezzo d’ogni regione, de’ far, quanto alcun altro, buona prova. Ma nota ancor via piú viva ragione: che Dio elesse questo santo loco per sé e per le prime sue persone. 15 Questa è la terra che in ombra di foco, com’io t’ho detto, a Moisé promise; a mente l’hai, ben so, ch’ancora è poco. Ma vienne omai e farai che t’avise del ver con l’occhio, che fa il cuore esperto". 20 E, cosí detto, nel cammin si mise. Poi, come quel che ben sapea per certo l’animo mio, in vèr Ierusalem mi trasse per sentier chiaro e aperto. "S’io piú vivessi che Matusalem, 25 dissi io, meritar non ti potrei farmi vedere Elia o vuoi Salem. Ma se in tutto appagar vuoi gli occhi miei, menami dove io veggia il Sepolco, prima che in altra parte drizzi i piei". Lucea il sole ed era il tempo dolco come si vede ne la primavera, e rose e fior parean per ogni solco, quando quel caro padre, con cui era, in vèr settentrion mi trasse, al monte 35 Golgota, dove in tutto avea la spera. Se Egeria o Ciane diventaron fonte, maraviglia non m’è, perché due fiumi mi si converson gli occhi de la fronte, per gran dolor, quando mostrato fumi 40 dove fu in croce il nostro Pellicano, quel dí che scurò il sol con tutti i lumi. Ma poi ch’io fui, non molto lontano, dentro al Sepolco, ove fu soppellito, dicendo, aggiunsi l’una a l’altra mano: 45 "O somma luce, o Padre infinito, a Te l’anima mia raccomando, sí che sia degna al fin del tuo bel sito". Appena cosí detto avea, quando un Saracin mi disse: "Oltra va’ tosto; 50 qui non si prega e piange dimorando". Pur io, che ’n tutto avea lo cuor disposto a dire e a finir lo prego mio, come l’avea ne l’animo proposto, aggiunsi: "Fammi tanta grazia, ch’io 55 torni a riveder quel bel paese d’Italia, dico, dov’è il mio disio". E ’l Turcomanno ancora a dir mi prese: "Qui non s’alberga; per l’altro uscio passa," con volto tal, che sol l’atto m’offese. 60 Co’ passi lunghi e con la testa bassa oltra passai e dissi: "Ecco vergogna del Cristian, che il Saracin qui lassa". Poi al Pastor mi volsi per rampogna: "E tu ti stai, che se’ Vicar di Cristo, 65 co’ frati tuoi a ’ngrassar la carogna". Similemente dissi a quel sofisto, che sta in Buemme a piantar vigne e fichi e che non cura di sí caro acquisto: "Che fai? Perché non segui i primi antichi 70 o i Cesari romani e ché non segui dico gli Otti, Curradi e Federichi? A che pur tieni questo impero in triegui? E se non hai il cuor d’esserne Augusto, ché nol rifiuti o ché non ti dilegui?" 75 Cosí dicendo, quel savio vetusto col quale io era, mi disse: "Che fai, che mormorando vai cosí combusto?" Rispuosi: "Io ho disdegno e onta assai a pensar ch’esto loco degno e santo 80 governi il Saracin, come visto hai. Ancora mosse il mormorare il pianto, ch’i’ veggio il Cristian con quei due gladii, che lassò Cristo, non curarne un quanto". "Noi non andrem, mi disse, mille stadii, 85 che ’l re di Cipri disperato in tutto, dico se ’l Ciel non tramuta i suoi radii, si partirá con dolore e con lutto da questi due, da’ baroni e da’ re, e fará, d’un bel, gioco sconcio e brutto, 90per mostrar vero e guadagnar per sé".