Quid novi?

Della Casa (app.2)


6.Ben veggio, donna, omai che più non sonoSdegni amorosi quei ch' al mio desireOltraggio fanno; ma son sdegni ed ire,Di ch'io tremo qualor più ne ragiono.Ecco il lampo apparir; già s'ode il tuono,E'I folgore discende,Che l'atra nube fende;Nè difesa per me trovo o perdono.Anzi di alzar la vistaPiù non ardisco in quell'altero ciglio,Che fredda gelosia turba e contrista;Ma sol chiedendo vo pace e consiglio;E lagrimando il giorno,La notte a' miei penfier' tristi ritorno.Come tosto, o me misero e infelice,Due diversi vapori al cielo ascesiDel vostro ardente core, e quivi accesi,An mia speranza svelta da radice?Per cui là dove io mi vivea felice,Or son condotto a tale,Che morte è minor male,Se'l vero dir di mia sventura lice:Che trovandomi privoDe l'amor vostro, in via più gravi peneChe qualsivoglia alma perduta io vivo;Ch' io son vivo al desio, morto a la spene;Nè colpa mi condanna,Ma quell' error che 'l veder vostro appanna;Ch' io non volsi già mai pur un sol guardoIn parte ove non foste o vera o fintaDal pensier mio, da cui siete dipinta,Anzi viva formata ovunque io sguardo;E se bene a seguirvi ebbi il pie tardo,Questi ratto vi giunse,Nè da voi si disgiunse;Ch' è più veloce assai che damma o pardo,Così vi fosse datoPoterlo udire, e ragionar con lui,Ch'or vi direbbe il mio doglioso stato:Quanto cangiato son da quel ch'io fui:Poich' a torto mi veggioScacciato del mio antico amato seggio.Son queste le parole dolci umaneChe m'innalzar' sovra di me tant'alto,Ch'acceso avrian un freddo e duro smalto.Ahi promesse d'amor come son vane!Non sia già mai, dicea, ch'io m'allontaneDel tuo valore un punto:Quello strale che ha puntoLo cor ad ambo noi, quel Io risane.O perduti guadagni!Mostro d'inferno, ministro di doglia,Che di Cocito ove t'attuffi e bagniPartendo, entrasti in così bella spoglia!Ma voi, perchè la viaSì tosto apriste a la nemica mia?Qual chi col ciel sereno in piana stradaCammina il giorno, e per verde campagna;Se poi si trova innanzi erta montagna,Ove convien che poi la notte vada;Salir non può, nè rimaner gli aggrada:Ma paventoso stassi,Mirando i duri passi,Onde a lui par che già trabocchi e cada:Tal avend'io col raggioDe'bei vostri occhj assai felice corsoIl mal per me d'Amor piano viaggio;Or privo di sì chiaro almo soccorso,Di non poter mi doglioL' aspro monte passar del vostro orgoglio.Dogliomi ancor ch'io non ritrovo albergoU'si ricovri il mio desire ardente;E par che morte ognor mi s' appresente,Se per tornar pur mi rivolgo a tergo.Così di amaro pianto il viso aspergo:Così gir oltre il piedeLasso non può, nè riede:Così tristi pensier' nel petto albergo:E da la dura pietraOdo uscir voce minacciosa e feraDel vostro cor, che gelosia v' impetra:Del tuo sereno dì giunta è la sera.Ond' io m'agghiaccio qualeChi sente colpo al fianco aspro e mortale.Se sì grand' ali AmoreTi darà, che tu giunger possa innanzi,Canzon, a la mia donna; dille: il coreDel fedel vostro onde partii pur dianzi,Umil vi chiede aita,In cui poco lasciai spirto di vita.Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 3387.Caro, se 'n terren vostro alligna Amore,sterpalo, mentr'è ancor tenera verga;né soffrir che distenda i rami ed erga;che sono i pomi suoi pianto e dolore;anzi ove Cauro trema, e spunta fuoregelo che i monti e le campagne asperga;ove il dì monta in sella, ov'egli alberga,ove cavalca in compagnia de l'ore;e credo ancor su nel bell'orto eterno,ove si gode per purgate gentid'altro diletto, che di piume o rezzo;e giù nel ventre de la terra interno,ov'è 'l pastor de gli scabbiosi armenti;e la puzza d'Amor venuta, e 'l lezzo.Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 345