Quid novi?

Rime del Berni 19-26


Rime di Francesco Berni19A MONSIGNOR AGNOLO DIVIZIGRIDANDO LA SUA INNOCENZAPoiché da voi, signor, m'è pur vietatoche dir le vere mie ragion non possa,per consumarmi le midolle e l'ossa,con questo novo strazio e non usato,finché spirto avrò in corpo e alma e fiato,finché questa mia lingua averà possa,griderò sola, in qualche speco o fossa,la mia innocenzia e più l'altrui peccato.E forse ch'avverrà quello ch'avvennedella zampogna di chi vide Mida,che sonò poi quel ch'egli ascoso tenne.L'innocenzia, signor, troppo in sé fida,troppo è veloce a metter ale e penne,e quanto più la chiude altri più grida.20SONETTO AL DIVIZIOMONSIGNOR ANGELO DIVIZI DA BIBBIENADivizio mio, io son dove il mar bagnala riva a cui il Battista il nome misee quella donna che fu già di Anchisenon mica scaglia ma bona compagna.Qui non si sa che sia Francia né Spagna,né lor rapine ben o mal divise;se non che chi al lor giogo si summisegrattisi 'l cul, s'adesso in van si lagna.Fra sterpi e sassi e villan rozzi e fieri,pulci, pidocchi e cimici a furore,men vo a sollazzo per aspri sentieri;ma pur Roma ho scolpita in mezzo il cuoree con gli antichi mei pochi pensieriMarte ho nella brachetta e in culo Amore.21MANDO FATTO IN ABRUZZICONTRO AMORE DISPETTOSOAmor, io te ne incaco,se tu non mi sai far altri favori,perch'io ti servo, che tenermi fuori.Può far Domenedio che tu consentiche una tua cosa siamandata nell'Abruzzo a far quitanzee diventar fattor d'una badiain mezzo a certe gentiche son nemiche delle buone usanze?Or s'a queste speranzesta tutto il resto de' tuoi servitori,per nostra Donna, Amor, tu me snamori.22SONETTO SOPRA LA BARBA DI DOMENICO D'ANCONAQual fia già mai così crudel personache non pianghi a caldi occhi e spron battuti,impiendo il ciel di pianti e di sternuti,la barba di Domenico d'Ancona?Qual cosa fia già mai sì bella e buonache invidia o tempo o morte in mal non muti,o chi contra di lor fia che l'aiuti,poi che la man d'un uom non li perdona?Or hai dato, barbier, l'ultimo crolload una barba la più singulareche mai fusse descritta o in verso o in prosa;almen gli avessi tu tagliato il collo,più tosto che guastar sì bella cosa,che si saria potuta imbalsimaree fra le cose rareponer sopra ad un uscio in prospettiva,per mantener l'imagine sua diva.Ma pur almen si scrivaquesta disgrazia di color oscuro,ad uso d'epitafio, in qualche muro:"Ahi, caso orrendo e duro!Ghiace qui delle barbe la corona,che fu già di Domenico d'Ancona".23SONETTO DI SER CECCOSer Cecco non può star senza la cortee la corte non può senza ser Cecco;e ser Cecco ha bisogno della cortee la corte ha bisogno de ser Cecco.Chi vol saper che cosa sia ser Ceccopensi e contempli che cosa è la corte:questo ser Cecco somiglia la cortee questa corte somiglia ser Cecco.E tanto tempo viverà la cortequanto sarà la vita di ser Cecco,perché è tutt'uno ser Cecco e la corte.Quando un riscontra per la via ser Ceccopensi di riscontrar anco la corte,perché ambi dui son la corte e ser Cecco.Dio ci guardi ser Cecco,che se mor per disgrazia della corte,è ruvinato ser Cecco e la corte.Ma da poi la sua morte,arassi almen questa consolazione,che nel suo loco rimarrà Trifone.24PER CLEMENTE VIIUn papato composto di rispetti,di considerazioni e di discorsi,di pur, di poi, di ma, di se, di forsi,de pur assai parole senza effetti;di pensier, di consigli, di concetti,di conietture magre per apporsi,d'intrattenerti, pur che non si sborsi,con audienze, risposte e bei detti;di pie' di piombo e di neutralità,di pazienza, di dimostrazionedi fede, di speranza e carità;d'innocenzia, di buona intenzione,ch'è quasi come dir semplicità,per non li dar altra interpretazione.Sia con sopportazione,lo dirò pur, vedrete che pian pianofarà canonizzar papa Adriano.25ALLA MARCHESA DI PESCARAQUANDO PER LA MORTE DEL MARCHESEDICEVA VOLER MORIREDunque, se 'l cielo invidioso ed empioil sol onde si fea 'l secol giocondon'ha tolto e messo quel valore al fondo,a cui devea sacrarsi più d'un tempio,voi, che di lui rimasa un vivo esempiosète fra noi e quasi un sol secondo,volete in tutto tòr la luce al mondo,faccendo di voi stessa acerbo scempio?Deh, se punto vi cal de' danni nostri,donna gentil, stringete in mano il freno,ch'avete sì lasciato a i dolor vostri;tenete vivo quel lume serenoche n'è rimaso, e fate che si mostrial guasto mondo e di tenebre pieno.26SONETTO SOPRA LA MULA DELL'ALCIONIOQuella mula sbiadata, damaschina,vestita d'alto e basso ricamato,che l'Alcionio, poeta laureato,ebbe in commenda a vita masculina;che gli scusa cavallo e concubina,sì bene altrui la lingua dà per lato,e rifarebbe ogni letto sfoggiato,tanta lana si trova in su la schina;et ha un par di natiche sì strettee sì bene spianate che la parestata nel torchio come le berrette;quella che per soperchio digiunaretra l'anime celesti benedettecom'un corpo diafano traspare;per grazia singulare,al suo padron, il dì di Befanìa,annunziò il malan che Dio gli dia,e disse che sariavestito tutto quanto un dì da state,id est arebbe delle bastonate,da non so che brigate,che, per guarirlo del maligno bene,gli volean far un impiastro alle rene.Ma il matto da catene,pensando al paracimeno duale,non intese il pronostico fatale;e per modo un cornialemisurò et un sorbo et un querciuolo,che parve stat'un anno al legnaiuolo.A me n'incresce soloche se Pierin Carnasecchi l'intende,no 'l terrà come prima uom da facende;e faransi leggendech'a dì tanti di maggio l'Alcioniofu bastonato come santo Antonio.Io gli son testimonio:se da qui inanzi non muta natura,e' non gli sarà fatto più paura.