Quid novi?

Rime del Berni 27-34


27Prefazione al commento del capitolo della primieraVo' avete a saper, buone persone,che costui c'ha composto questa cosanon è persona punto ambiziosaet ha dirieto la riputazione:l'aveva fatta a sua satisfazione,non come questi autor di versi e prosa,che, per far la memoria lor famosa,voglion andar in stampa a procissione.Ma perché ogniun gli rompeva la testa,ogniun la domandava e la volevaet a lui non piaceva questa festa,veniva questo e quello e gli diceva:"O tu mi da' quel libro, o tu me 'l presta",e se gliel dava, mai non lo rendeva,ond'ei che s'avedevach'al fin n'arebbe fatti pochi avanzi,deliberò levarsi ogniun dinanzi;e venutogli innanziun che di stampar opere lavora,disse: "Stampatemi questo in mal'ora".Così l'ha dato fuora,e voi che n'avevate tanta fregaandatevi per esso alla bottega.28Contro l'essergli dati a forza versi e carmiEran già i versi a i poeti rubaticome or si ruban le cose tra noi,onde Vergilio, per salvar i suoi,compose quei dua distichi abbozzati.A me quei d'altri son per forza dati,e dicon: "Tu gli arai, vuoi o non vuoi";sì che, poeti, io son da più che voi,dappoi che io son vestito e voi spogliati.Ma voi di versi restavate ignudi,poi quegli Augusti e Mecenati e Varivi facevan le tonache di scudi.A me son date frasche, a voi danari;voi studiate, et io pago li studiie fo che un altro alle mie spese impari.Non son di questi avaridi nome né di gloria di poeta:vorrei più presto aver oro o moneta;e la gente facetami vuol pur impiastrar di versi e carmi,come se io fusse di razza di marmi.Non posso ripararmi:come si vede fuor qualche sonetto,il Berni l'ha composto a suo dispetto;e fanvi su un sguazzettodi chiose e sensi, che rineghi il cielose Luter fa più stracci del vangelo.Io non ebbi mai peloche pur pensasse a ciò, non che 'l facessi;e pur lo feci, ancor che non volessi.In Ovidio non lessimai che gli uomini avessen tanto ardiredi mutarsi in cornette, in pive, in lire,e fussin fatti diread uso di trombetta veniziano,che ha dietro un che gli legge il bando piano.Aspetto a mano a manoche, perch'io dica a suo modo, il comunemi pigli e leghi e dìame della fune.29Sonetto di Papa ChimentePuò far il ciel però, papa Chimenti,ciò è papa castron, papa balordo,che tu sie diventato cieco e sordoet abbi persi tutti i sentimenti?Non vedi tu, non odi o non sentiche costor voglion teco far l'accordoper ischiacciarte il capo come al tordoco i lor prefati antichi trattamenti?Egli è universale oppenioneche sotto queste carezze et amoriei ti daran la pace di Marcone.Ma so ben io, gli Iacopi e' Vettori,Filippo, Baccio, Zanobi e Simone,e' compagni di corte e cimatori,vogliono e lor lavoripoter mandare alle fiere e a' mercatie non fanno per lor questi soldati.Voi, domini imbarcati,Renzo, Andrea d'Oria e Conte di Gaiazzo,vi menarete tutti quanti il cazzo;il papa andrà a solazzoil sabbato alla vigna o a Belvederee sguazzarà che sarà un piacere.Voi starete a vedere:che è e che non è, una mattinaci sarà fatto a tutti una schiavina.30Al sonetto del Bembo [...] contraffà la parodiaNé navi né cavalli o schiere armate,che si son mosse così giustamente,posson ancor la misera e dolenteItalia e Roma porre in libertate.S'è speso tanto ch'è una pietate,e spenderassi e spendesi sovente:mi par ch'abbiamo un desiderio ardentedi parer pazzi alla futura etate.Onde al vulgo ancor io m'ascondo e celo;non leggo e scrivo sempre e 'n mal soggiornoperdendo l'ore, spendo e non guadagno.Cosa grata non ho dentro o d'intorno,testimon m'è colui che regge il cielo;di me sol, non d'altrui mi dolgo e lagno.31Sonetto alla sua donnaChiome d'argento fino, irte e attortesenz'arte intorno ad un bel viso d'oro;fronte crespa, u' mirando io mi scoloro,dove spunta i suoi strali Amor e Morte;occhi di perle vaghi, luci torteda ogni obietto diseguale a loro;ciglie di neve e quelle, ond'io m'accoro,dita e man dolcemente grosse e corte;labra di latte, bocca ampia celeste;denti d'ebeno rari e pellegrini;inaudita ineffabile armonia;costumi alteri e gravi: a voi, diviniservi d'Amor, palese fo che questeson le bellezze della donna mia.32Contra Pietro AretinoTu ne dirai e farai tante e tante,lingua fracida, marcia, senza sale,che al fin si troverà pur un pugnalemeglior di quel d'Achille e più calzante.Il papa è papa e tu sei un furfante,nodrito del pan d'altri e del dir male;hai un pie' in bordello e l'altro in ospitale,storpiataccio, ignorante e arrogante.Giovan Mateo e gli altri che gli ha appresso,che per grazia de Dio son vivi e sani,ti metteran ancor un dì in un cesso.Boia, scorgi i costumi tuoi ruffianie se pur vòi cianciar, di' di te stesso:guàrdati il petto, la testa e le mani.Ma tu fai come i cani,che, dà pur lor mazzate se tu sai,come l'han scosse, son più bei che mai.Vergognati oramai,prosontuoso, porco, mostro infame,idol del vituperio e della fame,ché un monte di letamet'aspetta, manegoldo, sprimacciato,perché tu moia a tue sorelle allato;quelle due, sciagurato,c'hai nel bordel d'Arezzo a grand'onore,a gambettar: "Che fa lo mio amore?"Di quelle, traditore,dovevi far le frottole e novellee non del Sanga che non ha sorelle.Queste saranno quelleche mal vivendo ti faran le spese,e 'l lor, non quel di Mantova, marchese;ch'ormai ogni paesehai amorbato, ogni omo, ogni animale:il ciel, Iddio, il diavol ti vol male.Quelle veste ducale,o ducali, acattate e furfantate,che ti piangon in dosso sventurate,a suon di bastonateti seran tolte, avanti che tu moia,dal reverendo padre messer boia;che l'anima di noiamediante un bel capestro caverattie per maggior favor poi squarteratti;e quei tuoi leccapiattibardassonacci, paggi da taverna,ti canteran il requiem eterna.Or vivi e ti governa;ben che un pugnale, un cesso, o ver un nodoti faranno star queto in ogni modo.33Sonetto al Signor D'ArminiEmpio signor, che della robba altruilieto ti vai godendo e del sudore,venir ti possa un cancaro nel cuore,che ti porti di peso a i regni bui.E venir possa un cancaro a coluiche di quella città ti fé signore;e se gli è altri che ti dia favore,possa venir un cancaro anche a lui.Ch'io ho voglia de dir, se fusse Cristoche consentisse a tanta villania,non potrebb'esser che non fusse un tristo.Or tiènla, col malan che Dio te dia,quella e ciò che tu hai di mal acquisto,che un dì mi renderai la robba mia.34Sonetto in descrizion d'una badiaSignor, io ho trovato una badia,che par la dea della destruzione:templum pacis o quel di Salomonea petto a lei par una signoria.Per mezzo della chiesa e' v'è una via,dove ne van le bestie e le persone;le navi urtano in scoglio e il galeonesi consuma per far lor compagnia.Dove non va la strada son certi ortid'ortica e d'una malva singulareche son buon a tener lubrichi e morti.Chi volesse de calici parlareo de croci, averebbe mille torti:non che tovaglie, non vi è pur altare.Il campanil mi pareun pezzo di fragmento d'acquedotto,sdruscito, fesso, scassinato e rotto.Le campane son sottoun tettuccio, apiccate per la gola,che mai non s'odon dir una parola.La casa è una scuolada scrima perfettissima e da ballo,che mai non vi si mette piede in fallo;netta come un cristallo,leggiadra, scarca, snella e pellegrina,che par che l'abbi preso medicina.Ogni stanza è cantina,camera, sala, tinello e spedale;ma sopra tutto stalla naturale.E` donna universaleet ha la robba sua pro indivisa,allegra, che la crepa delle risa:in somma è fatta in guisache tanto è star di dentro quanto fuori.Ahi, preti scelerati e traditori!