Quid novi?

Rime del Berni 57-58


57Al Cardinale Ippolito De' MediciS'i' avessi l'ingegno del Burchiello,io vi farei volentieri un sonetto,ché non ebbi già mai tema e subiettopiù dolce, più piacevol né più bello.Signor mio caro, io mi trovo in bordello,anzi troviànci, per parlar più retto:come tante lamprede in un tocchetto,impantanati siam fin al cervello.L'acqua e 'l fango, i facchini e i marinarici hanno posto l'assedio alle calcagna,gridando tutti: "Dateci danari!".L'oste ci fa una cera grifagnae debbe dir fra sé: "Frate' miei cari,chi perde in questo mondo e chi guadagna:all'uscir della ragna,di settimana renderan gli uccelli".E facci vezzi come a suoi fratelli.Vengon questi e poi quellie dicon che la rotta sarà presaqua intorno a san Vincenzio o santa Agnesa;che noi l'abbiamo intesapiù presto sotto a mangiarci lo strame,ch'andare inanzi a morirci di famea quello albergo infameche degnamente è detto Malalbergo;ond'io per stizza più carta non vergo.58Capitolo al Cardinale [Ippolito] De' MediciNon crediate però, signor, ch'io tacciadi voi, perch'io non v'ami e non v'adori,ma temo che 'l mio dir non vi dispiaccia.Io ho un certo stil da muratoridi queste case, qua, di Lombardia,che non van troppo in sù co i lor lavori:compongo a una certa foggia mia,che, se volete pur ch'io ve lo dica,me l'ha insegnato la poltroneria.Non bisogna parlarmi di fatica,ché, come dice el cotal della Peste,quella è la vera mia mortal nemica.Mi è stato detto mo' che voi vorresteun stil più alto, un più lodato inchiostro,che cantasse de Pilade e d'Oreste;come sarebbe, verbigrazia, il vostro,unico stil o singular o raro,che vince il vecchio non che 'l tempo nostro.Quello è ben ch'a ragion tegniate caro,però ch'ogni bottega non ne vende:ne sète, a dir el ver, pur troppo avaro.Io ho sentito dir tante faccendedella traduzion di quel secondolibro ove Troia misera s'incende,che bramo averla più che mezzo il mondo:hòvelo detto e voi non rispondete,ond'anch'io taccio e più non vi rispondo.Ma, per tornar al stil che voi volete,dico ch'anch'io volentier il torreie n'ho più voglia che voi non credete;ma far rider le genti non vorrei,come sarebbe se 'l vostro Gradassoleggessi greco in catedra a gli ebrei;quel vostro veramente degno spasso,che mi par esser proprio il suo pedante,quando a parlargli mi chino sì basso.Provai un tratto a scrivere elegantein prosa e in versi e fecine parecchiet ebbi voglia anch'io d'esser gigante,ma messer Cinzio mi tirò gli orecchie disse: "Bernia, fa' pur dell'Anguille,ché questo è il proprio umor dove tu pecchi;arte non è da te cantar d'Achille:ad un pastor poveretto tuo pariconvien far versi da boschi e da ville".Ma lasciate ch'io abbia anch'io denari,non fia più pecoraio ma cittadino,e metterò gli unquanco a mano e' guari;com'ha fatto un non so chi mio vicino,che veste d'oro e più non degna il pannoe dassi del messer e del divino.Farò versi di voi che fumarannoe non vorrò che me n'abbiate grado,che s'io non dirò il ver, serà mio danno;lascierò stare el vostro parentadoe' vostri papi e 'l vostro cappel rossoe l'altre cose grande ov'io non bado;a voi vogl'io, signor, saltare addosso,voi sol per mio suggetto e tema avere,delle vostre virtù dir quant'io posso.I' non v'accoppiarò come le peree come l'ova fresche e come i frati,nelle mie filastrocche e tantafere;ma farò sol per voi versi appartati,né metterovvi con uno a dozzina,perché d'un nome siate ambo chiamati;e dirò prima de quella divinaindole vostra e del beato giornoche ne promette sì bella mattina;dirò del vostro ingegno, al qual è intornoinfinito giudicio e discrezione,cose che raro unite si trovorno;onde lo studio delle cose buonee le composizioni escon sovente,che fan perder la scrima a chi compone.Né tacerò da che largo torrentela liberalità vostra si spanda,e dirò molto e pur sarà niente.Questo è quel fiume che pur or si mandafuora e quel mar che crescerà sì forteche il mondo allagherà da ogni banda.Non so se son ancor le genti accorteper la novella età, ma tempo ancoraverrà, ch'aprir farà le chiuse porte.E se le stelle che 'l vil popol ora(dico Ascanio, San Giorgio) onora e cole,oscura e fa sparir la vostra aurora,che spererem che debbia far il sole?Beato chi udirà dopo mill'annidi questa profezia pur le parole.Dirò di quel valor che mette i vannie potria far la spada e il pastoraleancora un dì rifare i nostri danni,e far tacere allor quelle cicale,certi capocchi satrapi ignoranti,che la vostra virtù commenton male;genti che non san ben da quali e quantispiriti generosi accompagnatol'altr'ier voleste a gli altri andare inanti;dico oltre a quei che sempre avete allato,ché tutta Italia con molta prontezzav'arìa di là dal mondo seguitato.Questo vi fece romper la cavezzae della legazion tutti i legacci,tanto da gentil cor gloria s'apprezza!Portovvi in Ungheria fuor de' covacci,sì che voi sol voleste passar Vienna,voi sol de' Turchi vedeste i mostacci.Questa è la storia che qui sol s'accenna,la lettera è minuta che si nota,da poi s'estenderà con altra penna;e mentre il ferro a temprarla s'arruota,serbate questo schizzo per un pegno,fin ch'io lo colorisca e lo riscuota:che se voi sète di tela e di legnoe di biacca per man di Tiziano,spero anch'io, s'io ne sarò mai degno,di darvi qualche cosa di mia mano.