Quid novi?

La Secchia Rapita 02-2


La Secchia Rapitadi Alessandro Tassoni        34Ma la Dea de le biade e 'l Dio del vinovenner congiunti e ragionando insieme;Nettun si fe' portar da quel delfinoche fra l'onde del ciel notar non teme:nudo, algoso e fangoso era il meschino,di che la madre ne sospira e geme,ed accusa il fratel di poco amoreche lo tratti cosí da pescatore.        35Non comparve la vergine Dianache levata per tempo era ita al boscoa lavare il bucato a una fontanane le maremme del paese Tosco;e non tornò, che già la tramontanagirava il carro suo per l'aer fosco;venne sua madre a far la scusa in fretta,lavorando su i ferri una calzetta.        36Non intervenne men Giunon Lucina,che 'l capo allora si volea lavare;Menippo, sovrastante a la cucinadi Giove, andò le Parche ad iscusareche facevano il pan quella mattina,indi avean molta stoppa da filare;Sileno cantinier restò di fuoriper inacquare il vin de' servidori.        37De la reggia del ciel s'apron le porte,stridon le spranghe e i chiavistelli d'oro;passan gli Dei da la superba cortene la sala real del Concistoro:quivi sottratte a i fulmini di mortesplendon le ricche mura e i fregi loro;vi perde il vanto suo qual piú lucentee piú pregiata gemma ha l'Oriente.        38Posti a seder ne' bei stellati palchii sommi eroi de' fortunati regni,ecco i tamburi a un tempo e gli oricalchide l'apparir del Re diedero segni.Cento fra paggi e camerieri e scalchiveníeno, e poscia i proceri piú degni;e dopo questi Alcide con la mazza,capitan de la guardia de la piazza.        39E come quel ch'ancor de la pazzianon era ben guarito intieramente,per allargare innanzi al Re la viamenava quella mazza fra la gente;ch'un imbriaco svizzero paría,di quei che con villan modo insolentesogliono innanzi 'l Papa il dí di festaromper a chi le braccia, a chi la testa.        40Col cappello di Giove e con gli occhialiseguiva indi Mercurio, e in man teneauna borsaccia, dove de' mortalile suppliche e l'inchieste ei raccogliea;dispensavale poscia a due pitaliche ne' suoi gabinetti il Padre avea,dove con molta attenzion e curatenea due volte il giorno segnatura.        41Venne al fin Giove in abito realecon quelle stelle c'han trovate in testa,e su le spalle un manto imperialeche soleva portar quand'era festa;lo scettro in forma avea di pastoralee sotto il manto una pomposa vestadonatagli dal popol Sericano,e Ganimede avea la coda in mano.        42A l'apparir del Re surse repenteda i seggi eterni l'immortal Senato,e chinò il capo umíle e riverentefin che nel trono eccelso ei fu locato.Gli sedea la Fortuna in eminenteloco a sinistra, ed a la destra il Fato;la Morte e 'l Tempo gli facean predella,e mostravan d'aver la cacarella.        43Girò lo sguardo intorno, onde serenosi fe' l'aer e 'l ciel, tacquero i venti,e la terra si scosse e l'ampio senode l'oceano a' suoi divini accenti.Ei cominciò dal dí che fu ripienodi topi il mondo e di ranocchi spenti,e narrò le battaglie ad una ad unache ne' campi seguîr poi de la luna.        44- Or, disse, una maggior se n'apparecchiatra quei del Sipa e la città del Potta:sapete ch'è tra lor ruggine vecchiae che piú volte s'han la testa rotta;ma nuova gara or sopra d'una Secchiahan messa in campo; e se non è interrotta,l'Italia e 'l mondo sottosopra veggio:intorno a ciò vostro consiglio chieggio. -        45Qui tacque Giove, e 'l guardo a un tempo affissenel padre suo, che gli sedea secondo.Sorrise il vecchio, e tirò un peto, e disse:- Potta, i' credea che ruinasse il mondo.Che importa a noi se guerra, liti e risseturban là giú quel miserabil fondo?E se gli uomini son lieti o turbati?Io gli vorrei veder tutti impiccati. -        46Marte a quella risposta alzando il ciglio- O buon vecchio, gridò, son teco anch'io;che importa a questo eterno alto consigliose stato è colà giú turbato o rio?Chi è nato a perigliar, viva in periglio:viva e goda nel ciel chi è nato Dio.Io, se la Diva mia nol mi disdice,l'una e l'altra città farò infelice.        47Sazierà doppia strage il mio furore,di corpi morti inalzerò montagne;farò laghi di sangue e di sudore,e tutte inonderò quelle campagne. -- Cavalier, disse Palla, il tuo valoresan cantar fin le trippe e le lasagne,sí che indarno ti studi e t'argomentidi farlo or noto a le celesti menti.        48Ma s'hai desio di qualche degna impresa,facciam cosí: va' tu co i Gemignani,ch'io sarò de' Petroni a la difesa,e ti verrò a incontrar là su que' piani.Bologna sempre fu a' miei studi intesa;onde tenermi a cintola le manior non debbo per lei. Tu meco scendise palma di valor, se gloria attendi. -        49A quel parlar si levò Febo e disse:- Vergine bella, i' verrò teco anch'ioin favor di Bologna, ove ognor vissel'antico studio de le Muse e mio. -Bacco, che in Citerea le luci fissesempre tenute avea con gran desio- Cosí dunque, rispose in volto irato,fia il popol mio da tutti abbandonato?        50La città ch'ognor vive in feste e cantifra maschere e tornei per onorarmi,ch'ha si dolce liquor, vedrà fra tantitravagli suoi qui neghittoso starmi?Bella madre d'Amor, che co' sembiantipuoi far vinta cader la forza e l'armi,tu meco scendi: ch'io farò a costorodi stoppa rimaner la barba d'oro. -        51Sfavillò Citerea con un sorrisoche dicea: - Bacia, bacia, anima accesa -e gli diede col ciglio a un tempo aviso.che sarebbe ita seco a quell'impresa.Marte, che 'n lei tenea lo sguardo fisoavido di litigio e di contesa,vedendo ch'ella avea d'andar desio,disse: - A la fè, che vo' venir anch'io.        52Gite voi altri pur dove v'aggrada,ch'io vo' seguir de la mia Diva i passi;dove ella volge il piè, convien ch'io vada,e quei di voi ch'ella abbandona, lassi.Per lei combatte questa invitta spadae questa destra; ed or per lei vedrassiil Panaro gonfiarsi, e in atto stranoportar soccorso al Po di sangue umano. -        53Sorrise Palla, ma con occhio biecorimirollo Vulcan ch'era in disparte;e disse: - Empio sicario, adunque mecocomune il letto avrai per ricrearte?E Giove stesso accorderassi teconel vituperio di sua figlia a parte?Per Stige, ch'io non so chi mi s'arrestach'io non ti do di questo in su la testa. -        54E strignendo un martel ch'al fianco avea,sollevò il braccio, e di menar fece atto.La manopola allor ch'in man tenealanciògli Marte, e balzò in piedi rattosgangherato gridando: - Anima rea,t'insegnerò ben io di starti quatto. -Giove che vide accesa una battaglia,stese lo scettro e disse: - Olà, canaglia!        55Dove credete star? giuro a Maconech'io vi gastigherò di tanto ardire;venga il fulmine tosto. - E l'Aquiloneil fulmine arrecògli in questo dire.Vulcan tratto a' suoi piedi in ginocchionechiedea mercede e intiepidiva l'irelagrimando i suoi casi e l'empia sorte,ma piú l'infedeltà de la consorte.        56Citerea, che si vide a mal partito,per una porticella di nascostoda lo sdegno del padre e del marito,mentre questi piagnea, s'involò tosto:e dietro a lei senza aspettar invitocorsero il Dio de l'armi e 'l Dio del mosto;ella in terra con lor prese la via,e in mezzo a lor dormí su l'osteria.        57Gli abbracciamenti, i baci e i colpi lietitace la casta Musa e vergognosa;da la congiunzion di que' pianetiritorce il plettro e di cantar non osa:mormora sol fra sé detti segreti,ch'al fuggir de la notte umida ombrosafatto avean Marte e 'l giovane tebanotrenta volte cornuto il dio Vulcano.        58L'oste di Castelfranco un gran pollaiocon uova fresche avea quanto la rena;ne bebbero i due amanti un centinaio,che smidollata si sentian la schiena:ma la Diva ne volle solo un paio,che d'altro forse avea la pancia piena.La Diva, per non dar di sé sospetto,presa la forma avea d'un giovinetto.        59Di candido ermesin tutto trinciatosopra seta vermiglia, era vestita,con un colletto bianco profumato,calzetta bianca e cinta colorita:di bianco il piè leggiadro era calzato;non si potea veder piú bella vita;un pugnaletto d'or cingeva al fianco,e nel cappello un pennacchietto bianco.        60Ma l'oste ch'era guercio e Bolognese,tanto peggio stimò ne' suoi concettiquando corcarsi in terzo egli compresel'amoroso garzon fra tanti letti.Sgombrarono gli Dei tosto il paese,che di colui conobbero i sospetti,temendo che 'l fellon con falso indizionon gli accusasse quivi al Malefizio.        61A Modana passâr quella mattina,e ritrovâr che vi si fea gran festa:un palio di teletta cremesinacorreasi a fiori d'or tutta contesta.Vedendo quella gente pellegrina,ognuno a gara ne facea richiesta;e molti li tenean per recitantivenuti a preparar comedie inanti.        62Dicean che Marte il Capitan Cardone,e Bacco esser dovea l'innamorato,e quel vago leggiadro e bel garzoneesser a far da donna ammaestrato.Cosí alle volte ancor fuor di ragionesi tocca il punto; e molti han profetatoche si credean di favellare a caso:la sorte ed il saper stanno in un vaso.        63Poscia che passeggiata a parte a parteebber gli Dei quella città fetente,e ben considerato il sito e l'artedel guerreggiare e 'l cor di quella gente,a un'osteria si trassero in dispartech'avea un trebbian di Dio dolce e rodente,e con capponi e starne e quel buon vinocenaron tutti e tre da paladino.        64Mentre questi godean, da l'altro cantoPallade e Febo eran discesi in terra;e concitando gían Bologna intantoe le città de la Romagna in guerra.Quanto è dal Reno al Rubicone, e quantotra 'l monte e 'l mar quivi s'estende e serra,s'unisce con Bologna e s'apparecchiadi gir con l'armi a racquistar la Secchia.        65L'intesero gli amanti, e a la difesaprepararono anch'essi i lor vassalli:Bacco chiamò i Tedeschi a quell'impresa,e andò fin in Germania ad invitalli.Essi quand'ebber la sua voglia intesa,in un momento armar fanti e cavalli,benedicendo ottobre e San Martino,e sperando notar tutti nel vino.        66Marte restò in Italia a prepararela milizia di Parma e di Cremona;Venere disse che volea tentaredi far venir un Re quivi in persona;e passando dov'Arno ha foce in mare,si fe' da le Nereidi a la Gorgonaportar, e quindi a l'isola de' Sardiricca di cacio e d'uomini bugiardi.