Quid novi?

Rime del Berni 59-61


59Sonetto del BerniaNon vadin più pellegrini o romeila quaresima a Roma alle stazzoni,giù per le scale sante ginocchioni,pigliando l'indulgenzie e i giubilei;né contemplando li archi e' colisei,e' ponti, li acquedutti e' settezzonii,e la torre ove stette in doi cestoniVergilio, spenzolato da colei.Se vanno là per fede o per desiodi cose vecchie, vengan qui a diritto,ché l'uno e l'altro mostrerò lor io.Se la fede è canuta, come è scritto,io ho mia madre e due zie e un zio,che son la fede d'intaglio e di gitto:paion gli dèi d'Egitto,che son de gli altri dèi suoceri e nonnee fôrno inanzi a Deucalionne.Gli omeghi e l'ipsilonnehan più proporzion ne' capi loroe più misura che non han costoro.Io li stimo un tesoroe mostrerògli a chi gli vuol vedereper anticaglie naturali e vere.L'altre non sono intiere:a qual manca la testa, a qual le mani;son morte e paion state in man de' cani.Questi son vivi e sanie dicon che non voglion mai morire:la morte chiama et ei la lascian dire.Dunque chi s'ha a chiariredell'immortalità di vita eterna,venga a Firenze nella mia taverna.60Capitolo a Messer Baccio Cavalcanti sopra la gita di NizzaQuesta è per avisarvi, Baccio mio,se voi andate alla prefata Nizza,che, con vostra licenza, vengo anch'io.La mi fece venir da prima stizza,parendomi una cosa impertinente;or pur la fantasia mi vi si rizza,ché mi risolvo meco finalmenteche posso e debbo anch'io capocchio andaredove va tanta e sì leggiadra gente.Sa che cosa è galea, che cosa è mare;sa ch'e pidocchi e de' cimici il puzzom'hanno la coratella a sgangherare,perch'io non ho lo stomaco di struzzo,ma di grillo, di mosca e di farfalla:non ha 'l mondo il più ladro stomacuzzo.Lasso! che pur pensava di scampallae ne feci ogni sforzo con l'amico,messivi 'l capo e l'una e l'altra spalla;con questo virtuoso putto, dico,che sto con lui come dir a credenza,mangia 'l suo pane e non me l'affatico.Volevo far che mi desse licenza,lasciandomi per bestia a casa, et eglimi smentì per la gola in mia presenzae disse: "Pìgliati un de' miei cappegli;mettiti una casacca alla turchesca,co' botton sin in terra e con gli ucchiegli".Io che son più caduco che una pesca,più tenero di schiena assai ch'un gallo,son del foco d'amor stoppin et esca,risposi a lui: "Sonate pur, ch'io ballo:se non basta ir a Nizza, andiamo a Nisa,dove fu Bacco su tigri a cavallo".Faremo dunque una bella divisae ce n'andrem cantando come pazziper la riviera di Siena e di Pisa.Io mi propongo fra gli altri solazziuno sfoggiato, che sarete voi,col qual è forza ch'a Nizza si sguazzi.Voi conoscete gli asini da' buoi,sète là moncugino e monsignoree converrà che raccogliate noi.Alla fe', Baccio, che 'l vostro favoremi fa in gran parte piacer questa gita,perché già fuste in Francia ambasciatore!Un'altra cosa ancor forte m'invita,ch'io ho sentito dir che c'è la peste,e questa è quella che mi dà la vita.Io vi voglio ir, s'io dovess'ir in ceste:credo sappiate quanto la mi piaccia,se quel ch'i' scrissi già di lei leggeste.Qui ogniun si provede e si procacciale cose necessarie alla galea,pensando che diman vela si faccia;ma 'l solleon s'ha messo la giorneae par che gli osti l'abbin salariatoa sciugar bocche perché 'l vin si bea:vo' dir che tutto agosto fia passatoinanzi forse che noi c'imbarchiamo,se 'l mondo in tutto non è spiritato.E se gli è anche adesso, adesso andiamo;andiam, di grazia, adesso adesso, via;di grazia, questa voglia ci caviamo.Io spero nella Vergine Maria,se Barbarossa non è un babbuasso,che ci porterà tutti in Barberia.Oh, che ladro piacer, che dolce spasso,veder a' remi, vestito di sacco,un qualche abbate od altro prete grasso!Credete che guarrebbe dello stracco,dello svogliato e de mill'altri mali:fu certo un galantuom quel Ghin di Tacco.Io l'ho già detto a parecchi officialie prelati miei amici: "Abbiate cura,ché 'n quei paesi là si fa co' pali".Et essi a me: "Noi non abbiam paura;se non ci è fatto altro mal che cotesto,lo terrem per guadagno e per ventura;anzi per un piacer simile a questoandremo a posta fatta in Tremisenne,sì che quel s'ha da far faccisi presto".Mentre scrivevo questo, mi sovennedel Molza nostro, che mi disse un trattoun detto di costor molto solenne:fu un che disse: "Molza, io son sì matto,che vorrei trasformarmi in una vigna,per aver pali e mutarli ogni tratto.Natura ad alcun mai non fu matrigna:guarda quel ch'Aristotel ne' Problemiscrive di questa cosa"; e parte ghigna.Rispose il Molza: "Adunque mano a' remi;ogniun si metta dietro un buon temoneet andiam via, ch'anch'io trovar vorre'mia così gloriosa impalazione".Post scritta. Io ho saputo che voi sètecol cardinal Salviati a Passignanoet indi al Pin con esso andar volete.Me l'ha detto in palazzo un cortegianoche sa le cose et è de' Carnesecchie secretario e le tocca con mano.Questo nel cor m'ha messo cento stecchi,per la dolce memoria di quel giornoche mi dice: "Meschin, tu pur invecchi".Col desiderio a quel paese tornodove facemmo tante fanciullezzenel fior de gli anni più fresco e adorno.Vostra madre mi fé tante carezze!Oh che luogo da monachi è quel Pino,id est da genti agiate e mal avezze!Arete lì quel cardinal divino,al qual vo' ben, non come cardinalené perch'abbia 'l rocchetto o 'l capuccino,ché gli vorrei per quel più presto male,ma perché intendo che gli ha discrezionee fa de' virtuosi capitale.Seco il Fondulo sarà di ragione,che par le quattro tempora in astratto,ma è più dotto poi che Cicerone:dice le cose, che non par suo fatto,sa greco, sa ebraico; ma ioso che lo conoscete e son un matto.Salutatel di grazia in nome mio;e seco un altro, Alessandro Ricorda,ch'è un cert'omaccin di quei di Dio:dico che con ogniun presto s'accorda,massimamente a giucar a primieranon aspettò già mai tratto di corda.Quando gli date uno spicchio di peraa tavola, così per cortesia,ditegli da mia parte: "Buona sera".Mi raccomando a vostra signoria.61Sonetto in descrizion dell'Arcivescovo di FirenzeChi vuol veder quantunque pò naturain far una fantastica befana,un'ombra, un sogno, una febbre quartana,un model secco di qualche figura,anzi pur il model della paura,una lanterna viva in forma umana,una mummia appiccata a tramontana,legga per cortesia questa scrittura.A questo modo è fatto un cristianoche non è contadin né cittadinoe non sa s'e' sia in poggio o s'e' sia in piano.Credo che sia nepote de Longino;come gli è visto fuor, rincara il grano,alla più trista, ogni volta un carlino.Ha in dosso un gonnellinodi tela ricamata da magnani,a toppe e spranghe messe co i trapàni.Per amor de' tafaniporta a traverso al collo uno straccalequadro, come da vescovo un grembiale,et un certo cotaledi romagnolo, allacciato alle schienecon una stringa rossa che lo tiene.Ma quanto calza beneuna brachetta accattata a pigione,che par a punto un naso di montone!Non faria la ragionedi quante stringhe al giorno ha il suo muletto,un abachista, in cento anni, perfetto.Nemico del confettoe de gli arrosti e della peverada,come de' birri un assassin di strada,è oppenion ch'e' vadadel corpo l'anno quattro tratti solie faccia paternostri e fusaioli.Fugge da' ceraioli,acciò che non lo vendan per un boto,tant'è sottil, leggieri, giallo e vòto.Comunque il Buonarrotodipinge la quaresima e la fame,dicon che vuol ritrar questo carcame;con un cappel di stame,che porta dì e notte come i bravi,e dieci mazzi a cintola di chiavi,che venticinque schiavico i ferri a' pie' non fan tanto romoree trenta sagristani et un priore.Va per ambasciatoreogn'anno dell'aringhe a mezzo maggio,contra a' capretti, a l'ova et al formaggio,e perch'è gran viaggio,ha sempre sotto il braccio un mezzo paneche ha un giubbon di sette sorti lane:quel rode come un cane,poi giù pel gorgozzuol gli dà la spintacon tre o quattro sorsi d'acqua tinta.Or eccovi dipintauna figura arabica, un'arpia,un om fuggito dalla notomia.