Quid novi?

Il Trecentonovelle 31-33


Il Trecentonovelledi Franco SacchettiNOVELLA  XXXIDue ambasciadori di Casentino sono mandati al vescovo Guido d'Arezzo; dimenticano ciò che è stato commesso, e quello che 'l vescovo dice loro, e come tornati hanno grande onore per aver ben fatto. Se lo passato ambasciadore ampliava il suo dire, o la sua rettorica per bere il vino, in questa mostrerrò come due ambasciadori per lo bere d'un buon vino, come che non fossono di gran memoria, ma quella cotanta che aveano quasi perderono.Quando il vescovo Guido signoreggiava Arezzo, si creò per li Comuni di Casentino due ambasciadori, per mandare a lui addomandando certe cose. Ed essendo fatta loro la commessione di quello che aveano a narrare, una sera al tardi ebbono il comandamento di essere mossi la mattina. Di che tornati la sera a casa loro, acconciarono loro bisacce, e la mattina si mossono per andare al loro viaggio imposto. Ed essendo camminati parecchie miglia, disse l'uno all'altro:- Hai tu a mente la commessione che ci fu fatta?Rispose l'altro che non gliene ricordava.Disse l'altro:- O io stava a tua fidanza.E quelli rispose:- E io stava alla tua.L'un guata l'altro, dicendo:- Noi abbiàn pur ben fatto! O come faremo?Dice l'uno:- Or ecco, noi saremo tosto a desinare all'albergo, e là ci ristrigneremo insieme, non potrà essere che non ci torni la memoria.Disse l'altro:- Ben di' -; e cavalcando e trasognando pervennono a terza all'albergo dove doveano desinare, e pensando e ripensando, insino che furono per andare a tavola, giammai non se ne poterono ricordare.Andati a desinare, essendo a mensa, fu dato loro d'uno finissimo vino. Gli ambasciadori, a cui piacea piú il vino che avere tenuta a mente la commessione, si comincia ad attaccare al vetro; e béi e ribei, cionca e ricionca, quando ebbono desinato, non che si ricordassino della loro ambasciata ma e' non sapeano dove si fossono, e andarono a dormire. Dormito che ebbono una pezza, si destaron tutti intronati. Disse l'uno all'altro:- Ricorditi tu ancora del fatto nostro?Disse l'altro:- Non so io; a me ricorda che 'l vino dell'oste è il migliore vino che io beessi mai; e poi ch'io desinai, non mi sono mai risentito, se non ora; e ora appena so dove io mi sia.Disse l'altro:- Altrettale te la dico; ben, come faremo? che diremo?Brievemente disse l'uno:- Stiànci qui tutto dí oggi; e istanotte (ché sai che la notte assottiglia il pensiero) non potrà essere che non ce ne ricordi.E accordaronsi a questo; e ivi stettono tutto quel giorno, ritrovandosi spesso co' loro pensieri nella Torre a Vinacciano. La sera essendo a cena e adoperandosi piú il vetro che 'l legname, cenato che ebbono, appena intendea l'uno l'altro. Andaronsi al letto, e tutta notte russorono come porci. La mattina levatisi, disse l'uno:- Che faremo?Rispose l'altro:- Mal che Dio ci dia, ché poi che istanotte non m'è ricordato d'alcuna cosa, non penso me ne ricordi mai.Disse l'altro:- Alle guagnele, che noi bene stiamo, che io non so quello che si sia, o se fosse quel vino, o altro, che mai non dormi' cosí fiso, sanza potermi mai destare, come io ho dormito istanotte in questo albergo.- Che diavol vuol dir questo? - disse l'altro. -Saliamo a cavallo, e andiamo con Dio; forse tra via pur ce ne ricorderemo.E cosí si partirono, dicendo per la via spesso l'uno all'altro:- Ricorditi tu?E l'altro dice:- No, io.- Né io.Giunsono a questo modo in Arezzo, e andorono all'albergo; dove spesso tirandosi da parte, con le mani alle gote, in una camera, non poterono mai ricordarsene. Dice l'uno, quasi alla disperata:- Andiamo, Dio ci aiuti.Dice l'altro:- O che diremo, che non sappiamo che?Rispose quelli:- Qui non dee rimanere la cosa.Misonsi alla ventura, e andorono al vescovo; e giugnendo dove era, feciono la reverenzia, e in quella si stavano senza venire ad altro. Il vescovo, come uomo che era da molto, si levò e andò verso costoro, e pigliandoli per la mano, disse:- Voi siate li ben venuti, figliuoli miei; che novelle avete voi?L'uno guata l'altro:- Di' tu.- Di' tu.E nessuno dicea. Alla fine disse l'uno:- Messer lo vescovo, noi siamo mandati ambasciadori dinanzi alla vostra signoria da quelli vostri servidori di Casentino, ed eglino che ci mandano, e noi che siamo mandati, siamo uomeni assai materiali; e ci feciono la commessione da sera in fretta; come che la cosa sia, o e' non ce la seppono dire, o noi non l'abbiamo saputa intendere. Preghianvi teneramente che quelli Comuni e uomeni vi siano raccomandati, che morti siano egli a ghiadi che ci mandorono, e noi che ci venimmo.Il vescovo saggio mise loro la mano in su le spalle, e disse:- Or andate, e dite a quelli miei figliuoli, che ogni cosa che mi sia possibile nel loro bene, sempre intendo di fare. E perché da quinci innanzi non si diano spesa in mandare ambasciadori, ognora che vogliono alcuna cosa, mi scrivino, e io per lettera risponderò loro.E cosí pigliando commiato, si partirono.Ed essendo nel cammino, disse l'uno all'altro:- Guardiamo che e' non c'intervenga al tornare, come all'andare.Disse l'altro:- O che abbiamo noi a tenere a mente?Disse l'altro:- E però si vuol pensare, però che noi averemo a dire quello che noi esponemmo, e quello che ci fu risposto. Però che s'e' nostri di Casentino sapessono come dimenticammo la loro commessione, e tornassimo dinanzi da loro come smemorati, non che ci mandassono mai per ambasciadori, ma mai offizio non ci darebbono.Disse l'altro, che era piú malizioso:- Lascia questo pensiero a me. Io dirò che sposto che avemo l'ambasciata dinanzi al vescovo, che egli graziosamente in tutto e per tutto s'offerse essere sempre presto a ogni loro bene, e per maggiore amore disse che per meno spesa ogni volta che avessono bisogno di lui, per loro pace e riposo scrivessero una semplice lettera, e lasciassono stare le 'mbasciate.Disse l'altro:- Tu hai ben pensato; cavalchiamo pur forte, che giunghiamo a buon'ora al vino che tu sai.E cosí spronando, giunsono all'albergo, e giunto un fante loro alla staffa, non domandorono dell'oste, né come avea da desinare, ma alla prima parola domandorono quello che era di quel vino.Disse il fante:- Migliore che mai.E quivi s'armorono la seconda volta non meno della prima, e innanzi che si partissono, però che molti muscioni erano del paese tratti, il vino venne al basso, e levossi la botte. Gli ambasciadori dolenti di ciò la levorono anco ellino, e giunsono a chi gli avea mandati, tenendo meglio a mente la bugia che aveano composta che non feciono la verità di prima, dicendo che dinanzi al vescovo aveano fatto cosí bella aringhiera, e dando ad intendere che l'uno fosse stato Tulio e l'altro Quintiliano, e' furono molto commendati, e da indi innanzi ebbono molti officii, che le piú volte erano o sindachi, o massai.Oh quanto interviene spesso, e non pur de' pari di questi omicciatti, ma de' molto maggiori di loro, che sono tutto dí mandati per ambasciadori, che delle cose che avvengono hanno a fare quello che 'l Soldano in Francia; e scrivono e dicono che per dí e per notte mai non hanno posato, ma sempre con grande sollecitudine hanno adoperato, e tutta è stata loro fattura; che attagliono e intervengono, ed eglino seranno molte volte con quel sentimento che un ceppo; e fiano commendati da chi gli ha mandati, e premiati con grandissimi officii e con altri guiderdoni perché li piú si partono dal vero e spezialmente quando per essere loro creduto se ne veggiono seguire vantaggio.NOVELLA XXXIIUno frate predicatore in una terra toscana, di quaresima predicando, veggendo che a lui udire non andava persona, truova modo con dire che mostrerrà che l'usura non è peccato, che fa concorrere molta gente a lui e abbandonare gli altri. Meglio seppe comporre una sua favola uno frate, del quale parlerò in questo capitolo, che non seppono comporre la loro gli ambasciadori di Casentino. Però che in una terra delle grandi di Toscana, predicandosi nel tempo di quaresima, come è d'usanza, in piú luoghi, uno frate predicatore veggendo che agli altri che predicavono, come spesso interviene, andava molta gente, e a lui quasi non andava persona, disse uno mercoledí mattina in pergamo:- Signori, egli è buona pezza che io ho veduto tutti gli teologhi e predicatori in un grande errore; e questo è ch'egli hanno predicato che 'l prestare sia usura e grandissimo peccato, e che tutti i prestatori vanno a dannazione. E io per quello che io posso comprendere, e che io ho trovato, ho veduto che 'l prestare non è peccato. E acciò che voi non crediate che io dica da beffe, o che io faccia stremi argomenti di loica, io vi dico ch'egli è tutto il contrario di questo, ch'egli hanno sempre predicato. E perché non crediate che io dica favole, perché la materia è grande, se io averò il tempo, io ne predicherò domenica mattina; e se io non avesse il tempo, un altro dí che mi venga a taglio, sí che ne anderete contenti, e fuori d'ogni errore.La gente udendo questo, chi mormora di qua, e chi borboglia di là. Finita la predica, escono della chiesa; la boce va qua e là; ciascuno pensa: "Che vuol dire questo?" Gli prestatori stanno lieti, e gli accattatori tristi; e tale non avea prestato, che comincia a prestare. Chi dice: "Costui dee essere un valentissimo uomo"; e chi dice che dee essere una pecora; questo non si disse mai piú.E in brieve tutta la terra aspettava la domenica mattina, la quale, venuta che fu, come li popoli son sempre vaghi di cose nuove, tutti corsono a pigliare luogo, e gli altri predicatori poterono predicare alle panche. Costui avea prima gli uditori sí radi che dall'uno all'altro avea parecchie braccia; ora v'erano sí stretti che affogava l'un l'altro; e questo era quello che elli avea desiderato. Giugnendo il frate in pergamo, e detta l'Avemaria, per non guastare la sua predicazione, propuose sopra l'Evangelio, e disse:- Io dirò prima certe cose morali; poi dirò la storia dell'Evangelio; e ultimamente alcune parti a nostro ammaestramento, come la materia richiede, e dopo questo dirò dell'usura, come io vi promisi di dire.E predicando per grande spazio questo valentre frate, mise gran tempo su le parti dell'Evangelio; e venendo a quella dell'usura, era molto tarda l'ora, però che era passata terza, e ciò avea fatto in prova per tranquillare la gente. Di che disse:- Signori, questo Evangelio mi ha ingannato in questa mattina, però che egli è di grande sustanzia, e la midolla sua è profonda, come avete udito, e sono per questo sí trascorso oltre che in questa mattina non avrei tempo di dire quello che io v'ho promesso; ma abbiate pazienzia, ché in queste mattine che verranno non serà sí lungo il predicare; e quando mi vedrò il tempo, io ve ne predicherò, che mi pare mill'anni, per trarvi di questo errore.E cosí gli pasceo d'oggi in domane insino all'altra domenica, nella quale concorse maggior populo che prima. Essendo salito in pergamo e avendo predicato, disse:- Signori, io so che la cagione che tanta moltitudine è qui è solo per udire quello che piú volte v'ho detto, cioè del prestare. Di che io mi vi scuso, ché io sono stato un poco riscaldato di febbre; e pertanto m'abbiate stamane per iscusato; ma il tal dí venite, e se Dio mi farà grazia, ve ne predicherò.E ora facendo una scusa, e ora un'altra, tutta Quaresima fece venire gente a sé, tenendoli sospesi insino a domenica d'olivo. Allora disse:- Io vi ho promesso tante volte di dire la tal cosa che io non voglio trapassare questa mattina che io non vi dica ciò che io v'ho promesso. Voi sapete, signori, che la carità è accetta a Dio, quanta altra virtú che sia, o piú. E la carità non è altro che sovvenire al prossimo, e 'l prestare è sovvenimento; adunque, dico che 'l prestare si può fare, e ch'egli è licito; e ancora piú, che chi presta, merita. Ma dove sta il peccato, e dove è? Il peccato è nel riscuotere; e però il prestare, e non riscuotere, non che sia peccato, ma egli è grandissima mercè, ed essere accetto a Dio. E ancora dico piú che 'l riscuotere si può fare con modo, che non che sia peccato, ma è grandissima carità. Verbigrazia, uno presta a un altro fiorini cento, riscuote a certo dí li fiorini cento, e non piú; questo prestare e questo riscuotere è licito, e molto piace a Dio, e ancora piacerebbe piú, se per via d'amore o di carità non si riscotessono, ma liberamente si lasciassono al debitore. Sicché avete che l'usura sta nel riscuotere piú che la vera sorta, però che 'l peccato nel tenimento non sta ne' fiorini cento, ma sta in quello che si dà piú che la vera sorta; e questa piccola quantità fa perdere tutta la carità che serebbe ne' fiorini cento, e ancora il servigio e bene che averebbe fatto al buon uomo che gli accattoe, e torna in cosa inlicita e di restituzione. E però conchiudendo, fratelli miei, io vi dico e affermo che 'l prestare non è peccato, ma il gran peccato è il riscuotere oltre la vera sorta; e con questo ve ne andate, e gagliardamente prestate, ché sicuramente potete prestare per lo modo che ho predicato; e guardatevi di riscuotere, e cosí facendo serete figliuoli del vostro padre, qui in coelis est. E fece la confessione, la quale non fu né intesa né udita per lo grande mormorío e bisbigliare che vi era; e chi facea grandissime risa, dicendo:- Questi ce n'ha ben fatto una, e tutta quaresima ci siamo venuti per udire questa predica, e istamane ci venimmo che non era dí. Deh morto sie egli a ghiado, che dee essere uno ciurmatore.Chi stiamazza di qua e chi di là, piú giorni per la terra non si disse altro. Questo frate poté essere uno valentre uomo, però che egli avea mostrato, o voluto mostrare al populo, quanto era leggiero, e che correano piú tosto alle frasche e alle cose nuove che a quelle della Santa Scrittura; e ancora andavano volentieri a udire chi dicesse cose secondo gli appetiti loro.Corse a questa predica prestatori, e chi avea voglia di prestare; e questi rimasono scherniti come meritavano; come ch'egli hanno preso tanto del campo che da loro hanno fatto un concetto, che Dio non veggia e non intenda, e hanno battezzata l'usura in diversi nomi, come dono di tempo, merito, interesso, cambio, civanza, baroccolo, ritrangola e molti altri nomi: le quali cose sono grandissimo errore, però che l'usura sta nell'opera e non nel nome.NOVELLA XXXIIILo vescovo Marino scomunica messer Dolcibene, e ricomunicandolo poi, dando della mazzuola troppo forte, messer Dolcibene si leva, e cacciandolsi sotto, gli dà di molte busse. Come il frate predicatore nella passata novella fece scherne di un gran populo, cosí in questa parve che messer Dolcibene volesse fare la vendetta contra un vescovo.Essendo adunque costui arrivato in una terra de' Malatesti in Romagna, uno vescovo Marino, o per eccesso commesso per lui, o per averne diletto, l'avea scomunicato o fatto vista. E di ciò avendone piú di que' signori gran diletto, questo vescovo, non volendolo ricomunicare, il tenea accannato, ed elli avea gran bisogno di ritornare a Firenze, e cercava la ricomunica. Avvenne che alcuno de' signori, come aveano ordinato, li disse:- Io ho tanto fatto col vescovo che ti ricomunicherà; fa' che tu sia domattina nella cotal chiesa, ed elli farà verso te quello che fia da fare.Ed elli disse di farlo.E 'l signore, che avea ordinato che 'l vescovo gli desse che gli dolesse, andò anco là la mattina, e non parea suo fatto, standosi nel coro. E messer Dolcibene giunse nel detto luogo per accozzarsi con lui. E in quell'ora era entrato il vescovo in una cappella, e aspettava che l'amico andasse a lui, e 'l signore disse a messer Dolcibene:- Il vescovo è là: va', spàcciati.Ed elli cosí andò; e giunto che fu nel luogo dinanzi dal vescovo, ponendosi inginocchione; e 'l vescovo, che avea un buono camato in mano, fatta che gli ebbe la confessione sopra il capo, disse:- Di', Miserere mei Deus secundum magnam misericordiam tuam. E quelli dicendolo piú volte, come si fa; e 'l vescovo menando la bacchetta che parea che facesse una sua vendetta; come dice: "Di', Miserere mei Deus secundum magnam misericordiam tuam "; e mena la mazza; e messer Dolcibene si leva, e pigliando il vescovo, e dicendo a un tratto: "Et secundum magnam multitudinem pugnorum "; e darli, e cacciarselo sotto, fu tutt'uno.E quando gli ha dato quanto volle, corre nel grembo del signore, che era presso, e tutto avea veduto. La famiglia del vescovo correndogli drieto per pigliarlo, il signore mostrandosi turbato disse:- Menatelo a casa mia, ché questa punizione voglio fare io.E questo disse per consolare il vescovo e levarlo dalle sua mani. Mandatone messer Dolcibene preso, e 'l signore si accostò al vescovo, dicendo:- Come sta questa cosa?E 'l vescovo rispose:- Per Corpus Christi, quod cacavit eum Sathana. E cosí forbottato il vescovo si tornò al vescovado, e messer Dolcibene stette rimbucato piú dí. E in fine il signore diede ad intendere al vescovo che gli avea fatto dare tanta colla che forse mai non serebbe sano delle braccia; e feceli mettere uno sciugatoio al collo, e allenzare il braccio; e 'l vescovo per questo parea tutto aumiliato. E forse in capo d'otto dí messer Dolcibene, avvisandone il signore, e dovendo dire il vescovo una messa piana, essendo alla chiesa il signore da parte, andò alla detta messa quasi in sul celebrare, e fattosi innanzi quanto poteo, prendendo il vescovo il corpo di Cristo, e messer Dolcibene esce:- Né mica disse istamane cotestui il paternostro di san Giuliano.Il vescovo, sentendo questo diavolo ivi, e udendo il motto, avendo il calice nelle mani, gli venne sí fatte risa, che fu presso che 'l calice non gli cadde di mano. E detta la messa, che già messer Dolcibene s'era partito col signore, gli perdonò quella medesima mattina, e fu poi sí grande suo amico che appena il vescovo sapea vivere sanza lui. E 'l signore vidde andare questo fatto come egli avea voglia, e rimase contento.E cosí una pensa il ghiotto, un'altra il tavernaio. Il vescovo s'avvisò di mazzicare, e non fece ragione d'essere ingoffato, come avete udito. E forse, perché fosse vescovo, avea bisogno di disciplina, come messer Dolcibene. E non si dee ancora, né da beffa, né da dovero, aspreggiare uno peccatore, quando viene a contrizione, però che nelle cose sacre non si vuole scherzare; ché per menare la bacchetta oltre al debito modo, n'acquistò un bene gli sta che mai non gli venne meno.