Quid novi?

La Secchia Rapita 06-2


La Secchia Rapitadi Alessandro Tassoni        38Da mille lance il Re percosso e cintoe da mille spuntoni e mille dardi,tutto è molle di sangue, e mezzo estintoha il famoso drappel di que' gagliardi.Tognon rimproccia i suoi da l'ira vinto,e grida: - Ah feccia d'uomini codardi,sí vilmente morir, scannaminestre?Che vi sia dato il pan con le balestre! -        39Sospinse il rampognar di quell'altieroognuno incontro al Re, cui sol restatovivo de' suoi nel gran periglio è il fieroLeupoldo conte di Nebrona a lato:morto da cento lance il buon destrierosotto il Re cadde, ed egli in piè balzatofulmina e uccide di due colpi orrendiPetronio ed Andalò de' Carisendi.        40Berto Gallucci e 'l Gobbo de la Liragli sono sopra, e l'uno e l'altro il fiede;ma il generoso cor non si ritira,ben che sieno a cavallo, ed egli a piede.Il conte che si volge e 'n terra il mira,balza di sella e 'l suo caval gli cede;ed ei, perché rimonti il suo signore,rimansi a piedi, e 'n mezzo a l'armi muore.        41Il Re prende la briglia e salir tenta,ma lo distorna il Gobbo e gliel contende;egli una punta al fianco gli appresenta,e con la gobba al pian morto lo stende.Tognon smonta fra tanto, e al Re s'avventadietro a le spalle, e ne le braccia il prende,e Pasotto Fantucci e Francalossoe Berto e Zagarin gli sono addosso.        42Il Re si scuote, e a un tempo il ferro caccianel ventre a Zagarin che gli è a rimpetto,ma non può svilupparsi da le bracciadi Tognon che gli cinge i fianchi e 'l petto;ed ecco Periteo giugne e l'abbracciasubito anch'egli, e 'l tien serrato e stretto;ei l'uno e l'altro or tira, or alza, or spigne,ma da' legami lor non si discigne.        43Qual fiero toro, a cui di funi ignotecinto fu il corno e 'l piè da cauta mano,muggisce, sbuffa, si contorce e scuote,urta, si lancia e si dibatte in vano;e quando al fin de' lacci uscir non puote,cader si lascia afflitto e stanco al piano:tal l'indomito Re, poiché compresed'affaticarsi indarno, al fin si rese.        44Fu drizzato il carroccio, e fu rimessoin sedia il Podestà tutto infangato;non si trovò il robon, ma gli fu messoin dosso una corazza da soldato;le calze rosse a brache avea, col fessodietro, e dinanzi un braghetton frappato,e una squarcina in man larga una spanna,parea il bargel di Caifàs e d'Anna.        45Ei gridava in Bresciano: - Innanz, innanzi;che l'è rott'ol nemig, valent soldati:feghe sbità la schitta a tucch sti Lanzimaledetti da Dé, scommunegati. -Cosí dicendo, già vedea gli avanzidel destro corno andar qua e là sbandati,e raggirarsi per que' campi aprichicercando di salvar la pancia ai fichi:        46però che 'l buon Perinto avea già rottiTedeschi e Sardi e Garfagnini e Corsie gli altri ch'al bottin fallace, indottida mal cauta speranza, erano corsi.I Tedeschi, del vino ingordi e ghiotti,dietro a certi barili eran trascorsi,che ne credeano far dolce rapina;e in cambio di verdea trovâr tonnina.        47Al primo suon de la nemica pestail popolo del mar le spalle diede;si restrinse il tedesco e fece testa;in dubbio il Garfagnin sospese il piede:ma la cavalleria giugne e calpestacon impeto e furor la gente a piede;né la picca tedesca o l'alabardaferma i cavalli armati o li ritarda.        48A Corrado Roncolfo, il capocacciadel Re che facea a gli altri animo e scudo,sovragiugne Perinto, e ne la facciamette per visiera il ferro crudo.A Guglielmo Sterlin, nato in Alsaccia,tronca d'un man rovescio il collo ignudo,e Ridolfo d'Augusta e Giorgio d'Asciaferiti di due punte in terra lascia.        49Un giovinetto fier nato su 'l Reno,su 'l Panaro nudrito, Ernesto detto,che col bel viso e col guardo serenopotea infiammar qual piú gelato petto,vedendo i suoi che già le spalle aviénovolte a fuggir, da generoso affettoe da nobil desío di gloria mossoun destriero african gli spinse addosso.        50Perinto il colpo del garzone attende,e a l'arrivar ch'ei fa cala un fendente.il destrier, che di scherma non s'intende,s'arretra come il suon del ferro sente;a l'estremo del collo il brando scende;cade in terra il meschin morto repente.Ernesto, che mancarsi il destrier mira,balza in piedi di sdegno acceso e d'ira,        51e d'una punta ne la coscia il fiede.Volge Perinto e 'l ferro a un tempo abbassa;ma ei si ritira, e de l'antico pieded'un olmo si fa scudo e 'l campo lassa;quei l'incalza fremendo ed egli cede,e va girando e fugge e torna e passa.Cosí corre a la pianta e si difendeil ramarro che 'l bracco a seguir prende.        52Jaconía capitan de' Soraggini,ch'amava Ernesto piú de la sua vita,poi che gli occhi rivolse a i rai divinionde l'anima accesa era invaghita,e 'l vide star su gli ultimi confini,corse precipitoso a dargli aítaabbandonando i suoi, che mal condottiin fuga se ne gían sbandati e rotti.        53In arrivando il ritrovò piagatonel destro fianco e da la doglia vinto;spinse il destrier d'un salto, 'l brando alzatosu la fronte a due man ferí Perinto;e se non che quell'elmo era tempratoper man del saggio Argon, l'avrebbe estinto,ma di sé tolto e di cader in forseportato dal destrier qua e là trascorse.        54Al garzon Jaconía rivolto allora- Ernesto, gli dicea, la nostra genterotta si fugge, e noi facciam dimora,e perdiamo la vita inutilmente.Deh non voler che cada insieme a un'oramia viva speme e tua beltà innocente. -- Vattene, rispond'ei, ché 'l destrier miovendicar voglio o qui morire anch'io. -        55- O fanciul troppo ardito e poco accorto(soggiunge Jaconía) mira che questache ci costrigne a ritirarne in porto,è piú ch'a te non par fiera tempesta;ma se l'affanno d'un destrier già mortoe la vendetta sua quivi t'arresta,prenditi in dono il mio. - Né piú s'estese;ma gli porse la briglia, e giú discese.        56Quegli 'l ricusa, ed egli pur s'affrettache 'l prenda; e mentre i prieghi orna e rinforza,ecco torna Perinto a la vendetta,e fere Jaconía di tutta forza.Con quel furor che vien dal ciel saetta,passa il brando crudel la ferrea scorzadel grave scudo e la corazza forte,e lascia Jaconía ferito a morte.        57Cadde il misero in terra, e quasi a un puntopoco lungi da lui cadde Perinto,cui, passato nel petto e nel cor punto,restò il cavallo a quell'incontro estinto.Al suo vantaggio allor non bada puntoErnesto, e corre da la rabbia vintoa mezza spada a disperata guerrapoi che l'amico suo vede per terra.        58Ernesto di due colpi in su l'elmettocon tanta forza il cavalier percosse,che ribattendo su l'arcion col pettosovra il morto destrier tutto piegosse.Lo sguardo allor drizzando al giovinettosu le ginocchia Jaconía levosse,e disse: - Ah non voler perir tu ancora,lascia ch'io sol per la tua vita mora. -        59E dicea il ver, s'un ostinato corefosse stato del ver punto capace:surse Perinto e strinse con furorela spada contro il giovinetto audace;Jaconía con quell'ultimo vigoreche gli somministrò l'alma fugace,per impedire il colpo al ferro crudo,lanciò contra Perinto il proprio scudo.        60Ma quello sforzo aprí la piaga, e sparsel'alma col sangue, e certo fu peccato;ch'amico piú fedel non potea darse,e non bevea giammai vino inacquato.Lo scudo ch'ei lanciò venne a incontrarsenel braccio che spingea Perinto iratoe nel volto e nel petto e ne la mano,e gli fe' rimaner quel colpo vano.        61Ma che pro, se 'l garzon non si ritira,e nuova fiamma al vecchio incendio aggiugne?Colpi raddoppia a colpi, e a ferir miradove s'apre la piastra e si congiugne.Perinto avvampa di disdegno e d'ira,e d'una punta a mezzo il ventre il giugne;la panciera d'Ettòr, ch'era incantata,non gli avrebbe la vita allor salvata.        62Cade Ernesto morendo in su la piaga,e chiama Jaconía che nulla sente;esce un rivo di sangue e si dilaga,s'oscura de' begli occhi il dí lucente:l'anima sciolta disdegnosa e vagadietro a l'amico suo vola repente.Salta Perinto in su 'l destrier che trova,e 'l volge a ricercar battaglia nuova.        63Né già ritorna ove fuggir vedeaquei ch'ingannò la fiorentina preda,ché vittoria stimò vile e plebeacacciar gente che fugga e 'l campo ceda:ma, dove in mezzo la battaglia ardea,contra 'l Potta sen va, come se 'l credabere in un sorso, e la città sua tuttane' sterquilinî suoi lasciar distrutta.        64Guido scontrò, che de la pugna uscivacon mezza spada e una ferita in testa,e a medicarsi al padiglion se 'n givaper man del suo barbier mastro Tempesta.Indi trovò, che 'l suo signor seguivamessa in terror la ravignana gesta:le si fe' incontro, e con superbo grido:- Tornate, disse, indietro, o ch'io v'uccido. -        65Ed a l'alfier che 'l rimirava fiso,senza altro moto far, come chi sdegna,fulminò d'un man dritto a mezzo 'l viso- Cosí, dicendo, d'ubbidir s'insegna. -Riman colui del fiero colpo ucciso,ed egli di sua man spiega l'insegna.Alzano i Ravignani allor le grida,e 'l seguono animosi ove gli guida.        66Il Potta, che tornar vede la schierache dianzi fuor de la battaglia usciva,rivolto a Tomasin ch'a lato gli era:- Per vita, gli dicea, de la tua diva,ad incontrar va' tu quella bandiera,che se 'n riede a la pugna onde fuggiva,e mostra il tuo valor, spiega i tuoi vanticontra quei malandrin scorticasanti. -        67Nulla risponde, e contra i RavennatiTomasin a quel dir, strigne gli spronicon una compagnia di scapigliati,dediti al gioco e a far volar piccioni,che triganieri fur cognominati,nemici natural de' bacchettoni,gente che 'l ciel avea posto in oblio,e l'appetito sol tenea per Dio.        68Con questi il Gorzanese ardito e francoratto si mosse, e al primo incontro ucciseGaspar Lunardi e Desiderio Bianco,e a Lamberto Raspon l'elmo divise:quando Perinto lo ferí per fiancocon l'asta de l'insegna, e in modo arrisefortuna al suo valor, ch'in terra cade,e restò prigionier fra mille spade.        69Perduto il capitan, l'impeto allentala gente sua che 'l disvantaggio vede,ma non fugge però né si sgomenta,e torna in ordinanza in dietro il piede.Perinto, poi ch'a Ostasio da Polenta,che tra' primi il seguía, l'insegna diede,Jotatan con la spada in terra mettee Barbante figliol di Mazzasette.        70Ma intanto il Potta, udito il caso fierodi Tomasino, e quel che piú gli dolse,del Re de' Sardi rotto e prigioniero,santa Nafissa a bestemmiar si volse,e montato su un'erta col destriero,pur novella speranza anco raccolse:ché le bandiere de' nemici spartevide fuggir de la sinistra parte.        71E di vederne il fin già risolutoscendea da l'alto, e raccendeva l'ire,quando un gigante orribile e cornutogli apparve e l'atterrí con questo dire:- Che pensi? ogn'ardimento è qui perduto:pensa di ritirarti o di morire.ecco ti svelo i lumi, or tu rimirade la terra e del ciel lo sforzo e l'ira.        72Vedi là guerreggiar l'empia Bellonatinta di sangue incontro a le tue schiere,vedi il superbo figlio di Latonaquanti coll'arco suo ne fa cadere,Marte, ch'in tuo favor pugna, abbandonastanco e sudato omai le tue bandiere.Tu a raccolta le chiama, e le conservada lo sdegno di Febo e di Minerva. -        73Qui tacque il fero mostro, e in un momento,come sparisce il sogno a l'ammalato,ritirò il pede e si converse in vento,e 'l Potta di stupor lasciò ingombrato.Bacco era questi a generar spaventoin quella forma orribile cangiatoche combattuto avea col dio di Cinto,e si partía de la battaglia vinto;        74e giva a ricercar nuovo partito,perché non fosse il popol suo disfatto.Rimase il Potta attonito e smarrito,e si fe' il segno de la croce un tratto,ch'un demonio il credé, fuor di Cocitoa spaventarlo in quella forma tratto:stette sospeso un poco, indi fe' quantodescritto fia da me ne l'altro canto.Fine Canto sesto