Quid novi?

La Secchia Rapita 08-2


La Secchia Rapitadi Alessandro Tassoni        34A questa Apollo già fe' privilegiche rimanesse incontro al tempo intatta,e che la fama sua con vari fregieterna fosse in mille carmi fatta:onde i sepolcri de' superbi regivince di gloria un'insepolta gatta.Ugon su l'armi e ne la sopravesteun pardo d'oro e 'l campo avea celeste.        35La squadra di Vicenza ultima guidaNaimiero Gualdi, a la sembianza fuoreamico d'Ezzelin che se ne fida,ma non risponde a la sembianza il core.Quel campo non avea scorta piú fida,d'ogni bellica frode era inventore;ma facea 'l goffo, e si tenea col Papa,e ne la finta insegna avea una rapa.        36Egli era un uom d'anni cinquantadui,dotto e faceto e con le guance asciutte,solito sempre a dar la baia altrui,ché sapea tutti i motti di Margutte.Gran turba di villani avea con luicon occhi stralunati e ciere brutte,ch'armati di balestre e ronche e scalenati a posta parean per far del male.        37Valmarana, Arcugnan, Pilla e Fimone,Sacco e Spianzana guida; ove le chiomede la Betia cantò su 'l BachiglioneBegotto e 'l volto e l'acerbette pome,e dove la sampogna di Menonefe' risonar de la Tietta il nome;e Montecchio e la Gualda, Olmo e Cornetto,e trenta ville e piú di quel distretto.        38Dopo l'ultime squadre il cavalieroche dovea comandar, solo venivasovra un baio corsier macchiato a nero,con armi di color di fiamma viva;ondeggiava su l'elmo il gran cimiero,pompeggiando il caval se stesso giva,e avea dietro e dinanzi e d'ambo i latiGreci per guardia e Saracini armati.        39Mentre s'armano questi a la vendettadel famoso figliol di Federico,l'un campo e l'altro su 'l Panaro aspettache stanco si ritiri il suo nemico.Quinci e quindi si veglia; e a la vedettastanno continue guardie a l'uso anticocon archi e balestroni a canto a gli arginiche scopano del fiume i nudi margini.        40L'architetto maggior mastro Pasquinofe' molte botti empier di maccheroni,altre di biscottelli, altre di vino,e ne formò ripari e bastioni;onde i soldati sempre a capo chinostavano a custodir le guarnigioni,fin ch'a trattar del fin de le contesefuron per dieci dí l'armi sospese.        41Ed ecco comparir due ambasciatori,l'un con la veste lunga e incappucciato,e l'altro in su le grazie e in su gli amoricon la spada e 'l pugnal tutto attillato:il primo è del Collegio e de' Signori,e 'l dottor Marescotti è nominato;il secondo di Rodi è cavaliero,di Casa Barzellin, detto frà Piero.        42Questi venían per ritentar se v'erapartito alcun di racquistar la Secchia,avendo udito già per cosa verache 'l Tiranno Ezzelin l'armi apparecchia.Furo onorati e si fermâr la sera,né trattar piú de la proposta vecchia;ma di cambiar la Secchia in que' baroni,eccetto il Re, ch'essi tenean prigioni.        43Il Potta, che 'l disegno a' cenni intese,rispose lor ch'era miglior riguardofinir tutte le liti e le contese,e barattar la Secchia col Re sardo,e 'l Duca di Cremona e 'l Gorzanesecol signor di Faenza e con Ricciardo:e in questo si mostrò sí risoluto,che d'ogn'altro parlar fece rifiuto.        44Gli ambasciatori, a' quali era prescrittoquanto dovean trattar, spediro un messo,ch'andò dal campo a la città dirittoa ragguagliarne il Reggimento stesso:e in tanto il figlio di Rangone invittoe 'l buon Manfredi, a cui fu ciò commesso,condussero a veder le lor trincieregli ambasciatori, e l'ordinate schiere.        45Menârgli a spasso poi dove alloggiateRenoppia le sue donne avea in disparte,non quelle tutte, che con lei passateerano pria, ma la piú nobil parte.Stavano a' lor ricami intente armateimitando Minerva in ogni parte:ma lasciar gli aghi e fêr venir in tantoil cieco Scarpinel con l'arpa e 'l canto.        46Questi in diverse lingue era eloquente,e sapeva in ciascuna a l'improvisocompor versi e cantar sí dolcemente,ch'avrebbe un cor di Faraon conquiso.L'arpa al canto accordò subitamente;e poiché fu d'intorno ogn'un assiso,col moto de la man ceffi alternandoincominciò cosí tenoreggiando.        47- Dormiva Endimion tra l'erbe e i fioristanco dal faticar del lungo giorno,e mentre l'aura e 'l ciel gli estivi ardorigli gían temprando e amoreggiando intorno,quivi discesi i pargoletti Amorigli avean discinta la faretra e 'l corno,ch'a i chiusi lumi e a lo splendor del visofu loro di veder Cupído aviso.        48Sventolando il bel crine a l'aura scioltoricadea su le guancie in nembo d'oro;v'accorrean gli Amoretti, e dal bel voltoquinci e quindi il partían con le man loro;e de' fiori onde intorno avean raccoltopieno il grembo, tessean vago lavoro,a la fronte ghirlanda, al piè gentilee a le braccia catene, e al sen monile.        49E talor pareggiando a l'amorosabocca o peonia o anemone vermiglio,e a la pulita guancia o giglio o rosa,la peonia perdea, la rosa e 'l giglio.Taceano il vento e l'onda, e da l'erbosapiaggia non si sentía mover bisbiglio;l'aria e l'acqua e la terra in varie formeparean tacendo dire: «Ecco, Amor dorme».        50Qual ne' celesti campi, ove il gran toros'infiamma a i rai di luminose stelle,sogliono sfavillar con chioma d'orole figliole d'Atlante, alme sorelle;ch'a la maggiore e piú gentil di lorobrillando intorno stan l'altre men belle:tal in mezzo agli Amori Endimioneparea tra l'erbe e i fior de la stagione.        51Quando la bella Dea del primo cielotutta cinta de' rai del morto sole,a la scena del mondo aprendo il velole campagne mirò tacite e sole;e sparsa la rugiada e scosso il gielodal lembo sovra l'erbe e le viole,a caso il guardo in quella piaggia stese,e vaga di veder dal ciel discese.        52Sparvero i pargoletti a l'apparirede la Dea spaventati; ed ella, quandovide il giovane sol quivi dormire,ritenne il passo e si fermò guardando.L'onestà virginal frenò l'ardire:e ne gli atti sospesa e vergognando,avea già per tornare il piè rivolto;ma richiamata fu da quel bel volto.        53Sentí per gli occhi al cor passarsi un focoche d'un dolce desio l'alma conquise:givasi avicinando a poco a poco,tanto ch'al fianco del garzon s'assise;e di que' vaghi fior, ch'avean per giocogli Amoretti intrecciati in mille guise,s'incoronò la fronte e adornò il seno,che tutti fur per lei fiamma e veleno.        54Trassero i fior la man, la mano i bacia le guance, a le labbra, a gli occhi, al petto,che s'impresser sí vivi e sí tenaci,che si destò smarrito il giovinetto.Al folgorar de le divine facitutto tremò di riverente affetto;e ad atterrarsi già ratto surgea,s'ella non l'abbracciava e nol tenea.        55Anima bella, disse, e dormigliosa,che paventi? che miri? I' son la Lunach'a dormir teco in questa piaggia erbosaamor, necessità guida e fortuna.Tu non ti conturbar, siedi e riposa;e nel silenzio de la notte brunapensa occultar l'ardor ch'io ti rivelo,o d'isperimentar l'ira del cielo.        56O pupilla del mondo, in cui la facedel sol s'impronta, pastorello indegnoson io, disse il garzon: ma se ti piacetrarmi per grazia fuor del mortal segno,vivi sicura di mia fé verace;e questo bianco vel te ne sia pegno,ch'a mia madre Calice Etlio già diedemio padre, in segno anch'ei de la sua fede.        57Cosí dicendo, un vel candido schietto,che di gigli di perle era fregiato,e 'l tergo in un gli circondava e 'l pettogiú da la spalla destra al manco lato,porse in dono a la Dea, ch'ogni rispettogià spinto avea del cor tutto infiammato,e come fior che langue allor ch'aggiacciasi lasciava cader ne le sue braccia.        58Vite cosí non tien legato e strettol'infecondo marito olmo ramoso,né con sí forte e sí tenace affettostrigne l'edera torta il pino ombroso;come strigneansi l'uno a l'altro pettogli amanti accesi di desio amoroso:saettavan le lingue in tanto il coredi dolci punte, che temprava Amore.        59Cosí mentre vezzosi atti e paroleguardi, baci, sospiri e abbracciamentifacean dolcezze inusitate e solea gli amanti gustar lieti e contenti;levò la diva l'uno e l'altro sole,accusando le stelle e gli elementi,poiché con tanti e con sí lunghi erroriseguite avea le fiere e non gli amori.        60Misera me, dicea, quant'error presiquel dí ch'io presi l'arco e 'l bosco entrai!quant'anni poscia ho consumati e spesi,che di ricoverar non spero mai!o passi erranti e vani e male intesi,come al vento vi sparsi e vi gettai!quant'era meglio questi frutti corre,ch'a rischio il piè dietro a le belve porre!        61Or conosco il mio fallo, e farne ammendavorrei poter; ma il ciel non me 'l consente:restami sol che del futuro i' prendapensier, di cui mai piú non sia dolente.Però l'aria, la terra e 'l mare intendaquel che di terminar già fisso ho in mente,e la legge, ch'io fo, duri col solesovra me stessa e la femminea prole.        62Io stabilisco che non copra il cielo,ch'io governo, mai piú femmina bella(eccetto alcune poche ch'io mi celoche fien di me maggiori e d'ogni stella),che sopporti con casto e puro zelofinir la vita sua d'amor ribella,e che stia intatta di sí dolce affetto,se non mentitamente o al suo dispetto. -        63Volea l'orbo seguir, come dolentetornò la diva a la sua bella sfera:se non che lo mirò di sdegno ardenteRenoppia, e in voce minacciosa e altera,- Accecato de gli occhi e de la mente,brutta effigie, gli disse, anima nera,va', canta a le puttane infame e sciocchequeste tue vergognose filastrocche.        64E se vuoi ch'io t'ascolti e che il tuo cantoritrovi adito piú per queste porte,cantami di Zenobia il pregio e 'l vantoo di Lucrezia l'onorata morte. -Il cieco allor stette sospeso alquanto;poscia in tuono di guerra assai piú fortel'amor di Sesto e gli empii spirti ardentiincominciò a cantar con questi accenti:        65- Il Re superbo de' romani eroia la regia di Turno il campo avea,e con fanti e cavalli e servi e buoidi trinciere e di fosse ei la cingea.Eran con lui tutti i figlioli suoi:e quivi si mangiava e si beveacon gusto tal, che 'l dí di san Martinobebbero in sette un carratel di vino.        66Finito il vin, nacque fra lor contesachi avesse moglie piú pudica a lato:e perch'ognun volea per la difesacombatter de la sua ne lo steccato,per diffinir la strana lite accesa,di consenso commun fu terminatodi montar su le poste allora allora,e andarsene a chiarir senza dimora.        67Non s'usavano allor staffe né selle:e quei signor con tanto vino in testacorrendo a lume di minute stelle,ebbero a rimaner per la foresta.Chi perdé il valigino e le pianelle,chi stracciò per le fratte la pretesta,chi rese il vino per diversi spilli,e chi arrivò facendo billi billi.        68Era con lor Tarquino Collatinoche la moglie Lucrezia avea a Collazia:ei non era fratel, ma consobrinoe lor parente di cognome e grazia.Tutti in corte smontâr su 'l Palatinoe le mogli trovâr, per lor disgrazia,che foco in culo avean piú ch'un Luciferoe stavano ballando a suon di piffero.        69Fecero una moresca a mostaccionila piú gentil che mai s'udisse in corte;e trovate al camin starne e capponi,verso Collazia ne portâr due sporte.giunti colà, di spranghe e di stangonid'ogni parte trovar chiuse le porte;e bussaron piú volte a l'aer bruno,prima che desse lor risposta alcuno.        70Una schiavetta al fine in capo a un'oraaffacciatasi a certe balestriere,e spinto un muso di lucerta fuora,disse: Chi bussa là? Non c'è messere.C'è pur, rispose il Collatino allora,venite a basso e vel farem vedere.Riconobbero i servi a quelle vociil padrone, e ad aprir corser veloci.        71Lucrezia venne in sala ad incontrarlocon la conocchia senza servidori;tutta lieta venía per abbracciarlo,ma vedendo con lui tanti signori,trasse il pennecchio, ché volea occultarlo,e dipinse il bel volto in que' colorich'abbelliscon la rosa, e fe' chiamarele donne sue che stavano a filare.        72Di consenso comun la regia prolediede il vanto a costei di pudicizia.Dormiron quivi, e a lo spuntar del soleritornarono al campo e a la milizia.Ma la bella sembianza e le parolerimasero nel cor pien di nequiziadel fiero Sesto, un de' fratelli regi,e le caste maniere e gli atti egregi.        73Onde il dí quinto ripassando il montetornò a Collazia sol, là dov'ella era;e giunto a l'imbrunir de l'orizonte,disse ch'ivi alloggiar volea la sera.La bella donna, non pensando a l'ontech'ei preparava, gli fe' lieta ciera;la notte il traditor saltò del letto,e a la camera sua corse in farsetto.        74E la porta gittò mezzo spezzata,entrando col pugnal ne la man destra:quivi una vecchia, che dormía corcatain un letto di vinco e di ginestra,incominciò a gridar da spiritata,ond'ei la fe' balzar per la finestra;ed a Lucrezia che facea schiamazzodisse: Mettiti giuso, o ch'io t'ammazzo.        75A questo dir chinò Renoppia bellaprestamente la man con leggiadria,e si trasse di piede una pianella;ma l'orbo fu avvisato, e fuggí via.S'alzaron que' signor ridendo, ed ellagli ringraziò di tanta cortesia,e con maniera signorile e accortagli andò ad accompagnar fino a la porta.