Quid novi?

La Secchia Rapita 09-2


La Secchia Rapitadi Alessandro Tassoni        42De l'isola partissi in questo dire,e ne lo scudo suo Tognon fu letto.Dopo costui si vider compariredue cavalier di generoso aspettoche 'l giostratore andarono a ferirel'un dopo l'altro con sembiante effetto:rupper le lance ne l'argento terso,e l'uno e l'altro si trovò riverso.        43Restar gli scudi, e Paolo e Sagramorone gli orli impressi. Indi a giostrar si mossesovra un corsier di pel tra bigio e moroun cavalier con piume bianche e rossee sopravesta di teletta d'ororicamata a troncon di perle grosse,ch'una mano di paggi intorno aveavestiti a superbissima livrea.        44Questi era un cavalier non piú nomato,figlio d'un romanesco ingannatoreche pria fu rigattier, poi s'era datoin Campo Merlo a far l'agricoltore,e 'l grano e le misure avea falsatotanto che divenuto era signore;e per aggiugner gloria al figlio altiero,quivi dianzi il mandò per venturiero.        45Costui se 'n venía gonfio come un vento,teso ch'un pal di dietro aver parea:fu conosciuto a l'armi e al guarnimentoe a la superba sua ricca livrea.Potrei rassomigliarlo a piú di centodi non forse inegual prosopopea;ma toccherei un mal vecchio decrepito,e la zerbineria farebbe strepito.        46Ninfeggiò prima e passeggiò pian piano,poi maneggiò il destriero a terra a terra;in fin che si ridusse in capo al pianodove s'avea da incominciar la guerra.Ecco la tromba; ecco con l'asta in manovien l'uno e l'altro, e fa tremar la terra:risonarono i lidi a le percosse;né a quell'incontro alcun di lor si mosse.        47Fu il primo cavalier ch'in sella stettecontra il campion mantenitor costui:e ben maravigliar fe' piú di setteche non credean giammai questo di lui.Il cavalier de l'isola ristettepensoso un poco, e favellò co' sui,indi a le mosse ritornando, fôrolance piú sode appresentate loro.        48Ma come l'altre si fiaccaro e ferosalire i tronchi a salutar le stelle:piegossi l'uno e l'altro cavalieroe fur per traboccar giú de le selle.Perdé le staffe il romanesco altiero,e vide l'armi sue gittar fiammelle;ma rinfrancossi al suon ch'intorno udivadel nome suo da l'una e l'altra riva.        49Come si gonfia a l'Euro in un momentoil Mar Tirreno, e sbalza e fortuneggia,cosí il cor di costui si gonfia al ventodel populare applauso, e ne folleggia:va tronfio e pettoruto, e bada intentoa i saluti, a gli sguardi, e paoneggia;e fatta c'ha di sé pomposa mostra,nuova lancia richiede e nuova giostra.        50Fremean Perinto e Periteo di sdegnoche durasse costui tanto in arcione;quando diede la tromba il terzo segnoda la parte che guarda il padiglione,poser le lance i cavalieri a segno,e venner furiosi al paragone:ma ne l'elmo colpito, il romanesco,finalmente caddé su l'erba al fresco.        51Di terra si levò tutto arrabbiato;trasse la spada e sbudellò il destriero,come fosse il meschin del suo peccato,de la caduta sua l'autor primiero:indi al guerrier de l'isola voltato,- Ti sarà, disse, d'aspettar mestiero,ch'uno scudo i' ti dia d'altro lavoro;ché questo i' nol darei per un tesoro. -        52Sorrise il giostratore, e disse: - Questoteco giostrando ho vinto, e questo voglio.Il mio val piú del tuo, né saria onestoche ti volessi anch'io cambiare il foglio. -Rispose il romanesco: - I' ti protestoche lo difenderò sí come i' soglio. -E tratto il brando, al solito costumesi scosse il suol, ma non si spense il lume.        53E un asinello uscí, che due stivaliper orecchie e una trippa avea per coda;con l'orecchie fería colpi mortali,e la coda inzuppata era di broda:terribil voce avea, calci mortali,la pelle d'un diamante era piú soda;e sempre che ferir potea d'appresso,balestrava col cul pallotte a lesso.        54Parean polpette cotte ne l'inchiostro,e appestavano un miglio di lontano.Titta di Cola s'affrontò col mostro,(che tal nomossi il cavalier romano),e gli fu d'altro che di perle e d'ostroricamato il vestito a piena mano.Egli del brando a quella bestia mena,a segna il pelo ove lo coglie a pena.        55L'asino un par di calci gli appresenta,indi mena la coda agile e presta;apre a un tempo la canna, e lo sgomentaco i ragli che tremar fan la foresta;sbatte l'orecchie, e di ferir non lentaor le spalle, or i fianchi, ora la testa;volta la poppa e tuona, e a l'improvisofulmina, e a fresco gli dipinge il viso.        56Il buon roman, che la tempesta sente,getta lo scudo ed a fuggir si pone:rise il mantenitor dirottamente,e tornò in su le mosse al padiglione.Ma già la notte il carro a l'occidentevolgea, né compariva altro campione:ond'ei si chiuse ne la tenda, e 'n tantodieron principio i galli al primo canto.        57Il dí seguente il giostrator si stettenel padiglione, e non fe' mostra alcuna;ma poi ch'usciro i gufi e le civettesu per gli tetti a salutar la luna,a suon di trombe con nov'armi eletteanch'egli fe' vedersi in veste bruna:bruno il cimiero e bruno il guarnimento,ma bianco era il destrier piú che l'argento.        58E i paggi, che servian per candelieri,dove dianzi parean de la Guinea,parean scesi dal cielo angeli veri,e come i visi ancor cangiâr livrea.Tutti comparver con vestiti neriin calze a tagli; onde a veder correacon voglia ingorda la milizia Toscatirata dal favor de l'aria fosca.        59E 'l giovine Averardo, il qual non s'erafin allor visto appresentarsi in mostra,fu il primo a comparir su la rivierae 'l primo a uscir di sella in quella giostra.Diede lo scudo e alzossi la visiera,e si fermò nella fiorita chiostraa ragionar co' paggi e a fare inchiestadel nome del guerriero e di sua gesta.        60Da molti lumi intanto accompagnata,de l'isola era uscita una donzellain abito stranier candido ornata,e di maniere accorte e 'n viso bella:e venne ove Renoppia era attendata,con due scudieri e con due paggi in sella,e gli acquistati scudi appresentolle,e in nome del guerrier poscia narrolle:        61che la fama l'avea del suo valore,quel dí ch'armata in su la riva corsee l'esercito ostil già vincitoresostenne, e mise la vittoria in forse,quivi condotto a far sol per suo amorela bella giostra e in avventura a porse;onde chiedea che non s'avesse a sdegnoche gli scaldasse il cor foco sí degno.        62Vergognosa Renoppia e sdegnosetta:- Ruffianella mia, disse, a l'aria, a i ventimeco il vostro guerrier l'arti sue getta,ch'io non fui vaga mai d'incantamenti.Ma voi che siete bella e giovinetta,e che con lui vi state a lumi spenti,perché lasciate voi che i premi vostriv'escan di mano e che per altra giostri? -        63- Serva son io, rispose la donzella,e troppa per me fôra alta mercede;possiede il mio signor terre e castella,né inchinerebbe a la mia sorte il piede. -Renoppia allora, astuta come bella:- Se questo è, soggiungea, fategli fedech'io mi chiamo ubbligata a quel valore,che mostra con la lancia in farmi onore.        64E se ben forse avrei piú caro avutoch'in soccorso de' nostri a vero martecon l'armi per mio amor fosse venutosenza apparecchio alcun di magic'arte;pur l'affetto gradisco e lo saluto:e questa gli darete da mia parte. -E di seno, a quel dir, senza intervallosi trasse una crocetta di cristallo,        65dov'era un dente di san Gemignano,e Papa Onorio l'avea benedetta,e finse porla a la donzella in mano,che la desse al guerrier de l'isoletta:ma quella sparve come un sogno vanoal subito toccar de la crocetta,e sparvero con lei paggi e scudieri,e rimasero sol gli scudi veri.        66Lesse i nomi Renoppia, e quelli resech'esser trovò de' cavalieri amici;gli altri di ritener consiglio presecome spoglie e trofei de' suoi nemici.Intanto il giostrator seguía sue impresecon gli usati successi ognor felici:quand'un guerriero ignoto in veste giallaal ponte capitò su una cavalla.        67La lancia lunga piú d'ogn'altra aveadue palmi, e una pantera in su l'elmetto:ma sospeso venía sí che pareach'andasse a quell'impresa al suo dispetto.Sonâr le trombe, e 'l suon che gli altri feadentro brillar, fe' in lui contrario effetto:corre, ma sembra a i timidi atti fuoreportato dal destrier, non già dal core.        68Pur si ristrigne ne gli arcioni, e abbassala lancia in su la resta, e gli occhi serrain arrivando, e i denti strigne, e passacome chi va sol per vergogna in guerra:e a quell'incontro l'inimico lassa,con maraviglia de' due campi in terra.Allor tutta s'udí quella rivieragridar: - Viva il campion de la pantera. -        69Ed ei maravigliando al suon rivoltovide l'emulo suo giacer disteso:onde di sé per allegrezza toltofermossi a riguardar tutto sospeso.Ma l'abbattuto, a l'infiammato voltomostrando il cor di fiero sdegno acceso,ratto risorse, e con un piè percossela terra e 'ntorno il pian tutto si scosse:        70e s'estinsero i lumi, e 'l padiglionesparve fra tuoni e lampi in un baleno,e l'isoletta diventò un barconecolmo di stabbio, di fascine e fieno;né rimasero in esso altre personedi tante, onde pur dianzi era ripieno,che 'l cavalier vittorioso e un nanoch'avea uno scudo e una lanterna in mano.        71E lo scudo porgendo al cavaliere- Questo è il premio, dicea, del vincitoretratto da la colonna, e in tuo poterelasciato al dipartir dal mio signore;che per ragion di cortesia ti chereche, come l'hai de l'alto tuo valore,cosí ti piaccia ancor farlo avisatodel nome e de la patria onde se' nato. -        72Ringalluzzossi il cavaliero e al nanorispose: - Al tuo signor riferir puoiche la mia stirpe vien dal lito ispano,ed è famosa oltre i confini eoi.Quel Don Chisotto in armi sí sovrano,principe de gli erranti e de gli eroi,generò di straniera inclita madredon Flegetonte il bel, che fu mio padre.        73Questi in Italia poscia ebbe domínoe si fe' in ogni parte memorando;solo a la gloria sua mancò Turpinoche scrivesse di lui come d'Orlando:eroe non l'agguagliò né paladino,e sol cedé al valor di questo brando;e perché cosa occulta non rimagna,digli ch'io sono il conte di Culagna.        74Ma poi ch'ho soddisfatto al tuo desíoe t'ho dato di me notizia intera,resta ch'ancor tu soddisfaccia al mioin dirmi il nome e la sua stirpe vera. -Rispose il nano: - Informerotti anch'iodi quel che brami, usciam de la rivieraché tanti cavalier che colà vedibramano anch'essi quel che tu mi chiedi. -        75Giunser del fiume in su la destra spondadove molti guerrier facean soggiorno;che, subito che 'l nano uscí de l'onda,gli furon tutti a interrogarlo intorno.Egli che lingua avea pronta e faconda,fermando il piede: - A voi, disse, ritornoper sodisfare a la comune voglia:state or a udir, né alcun di me si doglia.        76Poi che de la città cacciati forogli Aigoni dal furor de' Ghibellini,e 'l conte di Vallestra capo lorouscí con gli altri anch'ei fuor de' confini,trovò per arte magica un tesoro,e fe' ne' monti al suo castel viciniuna grotta incantata, ove gran partedel tempo stassi esercitando l'arte.        77Quivi un figliol di tenerella etatech'unico egli ha, detto Melindo, e' tiene;le cui maniere nobili e lodatedestan nel vecchio padre amor e spene.Questi, uditi i costumi e la beltatee 'l valor che mostrò su queste areneuna donzella in questo proprio loco,arse per lei d'inestinguibil foco;        78e con prieghi e sospir dal padre ottennedi comparire a far qui di sé mostra;onde su l'isoletta in campo vennearmato a mantener la bella giostra.Ma il timoroso vecchio, a cui sovvennel'età ineguale a la possanza vostra,fece un incanto ch'esser perditoreper forza non potea né per valore.        79Fu l'incanto ch'ei fe' con tal riguardoche non potea cader Melindo a terra,se non venía un guerrier tanto codardoche non trovasse paragone in terra;e quanto piú l'incontro era gagliardo,tanto meglio il fanciul vincea la guerra;come il ferir del fulmine che spezzacon piú furor dov'è maggior durezza.        80L'aste, il cavallo e l'armi onde guernitoera il fanciul, tutte incantate avea:e chi traea la spada era spedito,ché de l'isola a forza uscir dovea.Il cambiar lancia era miglior partito;ma non per questo il cavalier vincea,se non era di forza e di valorepiú d'ogn'altro a Melindo inferiore. -        81Qui tacque il nano: e 'n giubilo fu voltode gli abbattuti il mal concetto sdegno.Ma il conte di Culagna increspò il volto,e ritirando il passo e d'ira pregnotrasse la spada, e a quel piccin rivoltoche di timore alcun non facea segno- Tu menti, disse, menzognier villano,e te lo manterrò con questa in mano.        82Tu vorresti macchiar la mia vittoria;ma non la macchierai, brutto scrignuto,ché già nota per tutto è la mia gloria,né scusa ha il tuo signor vinto e abbattuto. -Non volle il Nano entrar seco in istoria;ma fatto a que' signori umil saluto,al conte che seguiva il suo costumerispose: - Buona notte - e spense il lume.