Quid novi?

La Secchia Rapita 10-1


La Secchia Rapitadi Alessandro TassoniCANTO DECIMO ARGOMENTOA Napoli se 'n va la Dea d'amore,e 'l principe Manfredi a l'armi accende.Al conte di Culagna infiamma il coreRenoppia, che di lui gioco si prende.E d'uccider la moglie entra in umorecon veleno, e sé stesso incauto offende.Fugge la moglie al campo, e si procacciad'amante, e fagli al fin le corna in faccia        1Il carro de la Notte era già fuoradel cerchio che divide Africa e Spagna,e non dormiva e non posava ancorail glorioso conte di Culagna.Va tra sé rivolgendo ad ora ad oracon quant'onore in campo egli rimagna,poiché mercé di sua felice stellal'incantato guerrier tratto ha di sella.        2Quindi pensando a la cagion che spintoMelindo avea su 'l favoloso legno,pargli non pur del ricco scudo vinto,ma de la bella donna esser piú degno.Gli somministra il naturale istintoe la ragion del suo elevato ingegno,che poiché 'l campo il cavalier gli cede,d'ogn'onor, d'ogni premio il lascia erede.        3E su questo pensier vaneggia in guisa,che di Renoppia già si finge amante,e le bellezze sue fra sé divisacupidamente, e n'arde in un istante.Or ne' begli occhi suoi tutto s'affisa,or ne gli atti leggiadri, or nel sembiante;e come lusingando il va la speme,or gioisce, or sospira, or brama, or teme.        4Moglie giovane e bella ei possedea,ma ogni pensier di lei se n'è fuggito;e in questo nuovo amor s'interna e beatanto, che pargli il ciel toccar col dito.Cosí la carne già ch'in bocca aveasu 'l fiume il can d'Esopo, un dí schernitolasciò cader nel fuggitivo umore,per prender l'ombra sua ch'era maggiore.        5Tutta la notte andò girando il contele piume, senza mai prender riposo;e Febo già con l'infiammata fronterimovendo dal ciel l'aer ombroso,colta l'Aurora avea su l'orizonteignuda in braccio al suo Titon geloso;ond'ella rossa in volto, alzando il pettocon la camicia in man fuggia del letto.        6Quand'il conte levato anch'egli mossecolà dove Renoppia era attendata,cantando a l'improviso a note grossesopra una chitariglia discordata:e giudicando che la lingua fossedi gran momento a intenerir l'amata,s'affaticava in trovar voci elettedi quelle che i Toscan chiamano prette.        7- O, diceva, bellor de l'universo,ben meritata ho vostra beninanza;ché 'l prode battaglier cadde riverso,e perdé l'amorosa e la burbanza.Già l'ariento del palvese tersonon mi brocciò a pugnar per desianza;ma di vostra parvenza il bel chiarore,sol per vittoriare il vostro quore. -        8Cosí cantava il conte innamoratoa lei che del suo amor fra sé ridea.Ma Venere fra tanto in altro latole campagne del mar lieta scorrea:un mirabil legnetto apparecchiatoa la foce de l'Arno in fretta avea;e movea quindi a la riviera amenade la real città de la Sirena,        9per incitar il Principe novellodi Taranto ad armar gente da guerra,e liberar di prigionia il fratelloche chiuso sta ne la nemica terra.Entra ne l'onda il vascelletto snello,spiega la vela un miglio o due da terra;siede in poppa la Dea, chiusa d'un veloazzurro e d'oro a gli uomini ed al cielo.        10Capraia adietro e la Gorgona lassa,e prende in giro a la sinistra l'onda;quinci Livorno, e quindi l'Elba passad'ampie vene di ferro ognor feconda;la distrutta Faleria in parte bassavede, e Piombino in su la manca sponda,dov'oggi il mare adombra il monte e 'l pianol'aquila del gran re de l'Oceàno.        11Tremolavano i rai del sol nascentesovra l'onde del mar purpuree e d'oro;e in veste di zaffiro il ciel ridentespecchiar parea le sue bellezze in loro:d'Africa i venti fieri e d'Orientede le fatiche lor prendean ristoro;e co' sospiri suoi soavi e lietisol Zefiro increspava il lembo a Teti.        12Al trapassar de la beltà divinala Fortuna d'amor passa e s'asconde.L'ondeggiar de la placida marinabaciando va l'inargentate sponde.Ardon d'amore i pesci, e la vicinaspiaggia languisce invidiando a l'onde;e stanno gli amoretti ignudi intentia la vela, al governo, a i remi, a i venti.        13Quinci e quindi i delfini a schiere a schierefanno la scorta al bel legnetto adorno;e le ninfe del mar pronte e leggierecorron danzando e festeggiando intorno.Vede l'Umbrone ove sboccando ei pèree l'isola del Giglio a mezzogiorno;e in dirupata e ruinosa sedemonte Argentaro in mezzo a l'onde vede.        14Quindi s'allarga in su la destra mano,e lascia il porto d'Ercole a mancina;vede Civitavecchia, e di lontanobiancheggiar tutto il lido e la marina.Giaceva allora il porto di Traianolacero e guasto in misera ruina;strugge il tempo le torri e i marmi solvee le machine eccelse in poca polve.        15Già la foce del Tebro era non lunge,quando si risvegliò Libecchio altieroche 'n Libia regna, e dove al lido giunge,travalca sopra il mar superbo e fiero:vede l'argentea vela, e come il pungeun temerario suo vano pensiero,vola a saper che porti il vago legno,e intende ch'è la Dea del terzo regno.        16Onde orgoglioso, e come invidia il muove,a Zefiro si volge e grida: - O resta,o io ti caccierò nel centro dovenon ardirai mai piú d'alzar la testa.A te la figlia del superno Giovenon tocca di condur: mia cura è questa,va' tu a condur le rondini al passaggio,e a far innamorar gli asini il maggio. -        17Zefiro, ch'assalito a l'improvisoda l'emulo maggior quivi si mira,ne manda in fretta al suo fratello aviso,che su l'Alpi dormiva, e 'l piè ritira:corre Aquilon, tutto turbato in viso,ch'ode l'insulto, e freme di tant'irache fa i tetti cader, gli arbori svelle,e la rena del mar caccia a le stelle.        18Libecchio che venir muggiando insiemei due fratelli di lontano vede,si prepara a l'assalto, e già non temedel nemico furor, né il campo cede:tutte raguna le sue forze estreme,e dal lido african sciogliendo il piede,chiama in aiuto anch'ei di sua follíaSirocco regnator de la Soria.        19Vien Sirocco veloce, onde s'accendeuna fiera battaglia in mezzo a l'onde.Si turba il ciel, si turba l'aria, e stendedensa tela di nubi e 'l sol nasconde:fremono i venti e 'l mar con voci orrende,risonano percosse ambe le sponde:e par che muova a' suoi fratelli guerral'ondoso scotitor de l'ampia terra.        20Si spezzano le nubi e foco n'esceche scorre i campi del celeste regno:il foco e l'aria e l'acqua e 'l ciel si mesce;non han piú gli elementi ordine o segno;s'odono orrendi tuoni, ognor piú crescede' fieri venti il furibondo sdegno,increspa e inlividisce il mar la facciae l'alza contra il ciel che lo minaccia.        21Già s'ascondeva d'Ostia il lido basso,e 'l Porto d'Anzio di lontan surgea,quando sentí il romor, vide il fracassoche 'l ciel turbava e 'l mar, la bella Dea:vide fuggirsi a frettoloso passole Ninfe dal furor de la marea;onde tutta sdegnosa aperse il veloe dimostrò le sue bellezze al cielo.        22E minacciando le tempeste algentie le procelle e i turbini sonanti,cacciò del ciel le nubi, e gli elementitranquillò co' begli occhi e co' sembianti.Corsero tutti ad inchinarla i ventia le minacce sue cheti e tremanti;ella in Libecchio sol le luci affisse,e mordendosi il dito irata disse:        23- Moro, can, senza legge e senza fede,t'insegnerò, con queste tue contese,come si tratta meco e si procede,e ti farò tornare in tuo paese. -Quel s'inginocchia e bacia il divin piedechiede perdon de l'impensate offese;e fa partendo in Africa passaggio:segue la navicella il suo viaggio.        24Le donne di Nettun vede su 'l litoin gonna rossa e col turbante in testa:rade il porto d'Astura, ove traditofu Corradin ne la sua fuga mesta:or l'esempio crudele ha Dio punitoché la terra distrutta e inculta resta;quindi Monte Circello orrido apparecol capo in cielo e con le piante in mare.        25S'avanza, e rimaner quinci in dispartevede Ponzia diserta e Palmarola,che furon già de la città di Marteprigioni illustri in parte occulta e sola.Varie torri su 'l lido erano sparte:la vaga prora le trascorre e vola;e passa Terracina, e di lontanovede Gaeta a la sinistra mano.        26Lascia Gaeta, e su per l'onda corretanto ch'arriva a Procida e la rade,indi giugne a Puzzòlo, e via trascorre,Puzzòlo che di solfo ha le contrade;quindi s'andava in Nisida a raccorre,e a Napoli scopría l'alta beltade:onde dal porto suo parea inchinarela Regina del mar, la Dea del mare.        27Da Nisida la Dea spedisce un messoal principe Manfredi, e 'n terra scende;e cangia volto, e 'l bel sembiante espressode la contessa di Caserta prende.Il principe e costei d'un padre stessonacquero, se la fama il vero intende,ma di madri diverse, e fur nudritiper alcun tempo in differenti liti.        28Condotti in corte poi fanciulli ancorane l'albergo real crebbero insiemesenza riguardo, in fin che venne l'orache 'l fior di nostra età spunta col seme;erano gli anni quasi uguali, e allorade l'uno e l'altro le bellezze estreme;onde il fraterno amor, non so dir come,strano incendio divenne e cangiò nome.        29Sospettonne osservando i gesti e i visiil padre, e maritò la giovinetta:ma i corpi fur, non gli animi divisi,e restò l'alma in servitú ristretta.Or che vede venir con lieti avisiManfredi il messaggier da l'isoletta,cuopre la poppa d'una navicella,e solo e chiuso va da la sorella.        30Trovolla a piè d'una distrutta ròcca,che passeggiava in un giardino ameno.Subito scende; e, come Amore il toccacorre e l'abbraccia e la si strigne al seno,e la bacia ne gli occhi e ne la bocca,e da la Dea d'amor tanto velenocon que' baci rapisce e tanto foco,che tutto avvampa e non ritrova loco.        31Volea iterar gli abbracciamenti e i baci,ma con la bella man la Dea s'oppose,e respignendo l'avide e mordacilabbia, si tinse di color di rose.- Frenate, signor mio, le mani audacie le voglie, dicea, libidinose;ché non son questi a gli andamenti, a i cennibaci fraterni, e udite perch'io venni. -        32Il principe ristette: ed ella, poiche d'Enzio il fiero caso ebbe narrato,ch'estinto il fior de' cavalieri suoiprigioniero pugnando era restato,le lagrime asciugando: - Or, disse, a voiche mio padre in sua vece ha qui lasciato,tocca mostrar, s'in voi non mente il sangue,che la destra di Svevia ancor non langue.