Quid novi?

La Secchia Rapita 11-1


La Secchia Rapitadi Alessandro TassoniCANTO UNDECIMO ARGOMENTOIl conte di Culagna entra in furore,e sfida a duellar Titta prigione.Ma, sciolto che lo vede, ci perde il core,e cerca di fuggir dal paragone.Vi si conduce al fine: e perditoreun nastro rosso il fa de la tenzone.De la vittoria sua spande la nuovaTitta, e pentito poi se ne ritrova.        1Poiché la fama al fin con mille provemostrò l'infamie sue scoperte al conte,e gli fece veder come si trovecon la corona d'Atteone in fronte,contra la moglie irato in forme nuovesi volse a vendicar l'ingiurie e l'onte;e per farla morir con vituperiol'accusò di veleno e d'adulterio.        2Per tutto il campo allor si fe' palesequel ch'era prima occulto o almeno in forse.La donna francamente si difese,e le querele in lui tutte ritorse;e fe' rider ognun quando s'intesecom'ella seppe al suo periglio opporse,e d'inganno pagar l'ingannatore,ch'ebbe poscia a cacar l'anima e 'l core.        3Il conte, che si vede andar fallatocontra la moglie il suo primier disegno,pensa di vendicarsi in altro lato,e volge contra Titta ogni suo sdegno.sa che per ritrovarsi imprigionato,per forza ha da tener le mani a segno.lo chiama traditor solennementee aggiugne che se 'l nega, ei se ne mente;        4e che gliel proverà con lancia e spadain chiuso campo a publico duello;e perché la disfida attorno vada,la fa stampar distinta in un cartello;e vantasi d'aver trovata stradada non potere in qual si voglia appellod'abbattimento o giusto o temerariosottoporsi al mentir de l'avversario.        5Ma gli amici di Titta avendo intesala disfida, s'uniro in suo favore;e feron sí che la sua causa presae terminata fu senza rigore:anzi, perch'ei serviva in quella impresacontra Bologna e 'l Papa suo signore,fu scarcerato come ghibellinosenza fargli pagar pur un quattrino.        6Sciolto ch'ei fu, rivolse ogni pensieroa la battaglia pronto e risoluto;preparò l'armi e preparò il destriero,né consiglio aspettò, né chiese aiuto.Poco avanti da Roma un cavalieronel campo modanese era venuto,di casa Toscanella, Attilio detto:e fu da lui per suo padrino eletto.        7Questi era un tal piccin pronto ed accorto,inventor di facezie e astuto tanto,che non fu mai Giudeo sí scaltro e scortoche non perdesse in paragone il vanto.Uccellava i poeti, e per diportospesso n'avea qualche adunata a cantO;ma con modi sí lesti e sí faceti,che tutti si partían contenti e lieti.        8In armi non avea fatto gran cose,però ch'in Roma allor si costumavafare a le pugna, e certe bellicosegenti il governator le castigava.ma egli ebbe un cor d'Orlando, e si disposed'ire a la guerra, perché dubitavade' birri, avendo in certo suo accidentescardassata la tigna a un insolente.        9Il conte allor che vide al vento sparsitutti i disegni e 'l suo pensier fallace,cominciò con gli amici a consigliarsise v'era modo alcun di far la pace.vorrebbe aver taciuto, e ritrovarsifuor de la perigliosa impresa audace;ché sente il cor che teme e si ritira,e manca l'ardimento in mezzo a l'ira.        10Ma il conte di Miceno e 'l Potta stessoe Gherardo e Manfredi e 'l buon Roldanogli furo intorno, e 'l vituperio espresso,dov'ei cadea, gli fêr distinto e piano.indi promiser tutti essergli appresso,e la pugna spartir di propria mano;ond'ei riprese core, e per padrinos'elesse il conte dI San Valentino.        11Questi, che ne la scherma avea grand'arte,subito gl'insegnò colpi maestrida ferire il nemico in ogni parte,e modi da parar securi e destri;indi rivide l'armi a parte a partedel cavaliero e i guernimenti equestri.ma un petto, senza cor, che l'aria teme,non l'armerían cento arsenali insieme.        12La notte a la battaglia precedente,che fra i due cavalier seguir dovea,volgendo il conte l'affannata menteal periglio mortal ch'egli correa,ricominciò a pensar tutto dolentedi nol voler tentar, s'egli potea;e innanzi l'alba i suoi chiamò fremendo,un gran dolor di ventre aver fingendo.        13Il padrin, che dormía poco lontano,tutto confuso si destò a quell'atto;con panni caldi e una lucerna in manoBertoccio suo scudier v'accorse ratto:e 'l barbier de la villa e 'l sagrestanodi Sant'Ambrogio v'arrivaro a un tratto;e 'l provido barbier, ch'intese il male,gli fe' subitamente un serviziale.        14Ed egli per non dar di sé sospetto,cheto se 'l prese e si mostrò contento;ma fingendo che poi non fésse effetto,né prendesse il dolore alleggiamento,chiamò gli amici e i servidori al letto,e disse che volea far testamento;onde mandò per Mortalin notaio,che venne con la carta e 'l calamaio.        15La prima cosa lasciò l'alma a Dio,e lasciò il corpo a quell'eccelsa terradov'era nato, e per legato piodanari in bianco e quantità di terra.indi tratto da folle e van desioa dispensar gli arredi suoi da guerra,lasciò la lancia al Re di Tartariae lo scudo al Soldan de la Soria;        16la spada a Federico Imperatoreed al popol romano il corsaletto;a la reina del mar d'Adria, onoredel secol nostro, un guanto e un braccialetto;l'altro lasciollo a la città del Fiore,e al greco Imperator lasciò l'elmetto:ma il cimier, che portar solea in battaglia,ricadeva al signor di Cornovaglia.        17Lasciò l'onore a la città del Potta,poi fe' del resto il suo padrino erede.D'intorno al letto suo s'era ridottagran turba intanto, chi a seder, chi in piede;fra' quali stando il buon Roldano allotta,che non prestava a le sue ciance fede,gli dicea a l'orecchia tratto tratto:- Conte, tu sei vituperato a fatto.        18Non vedi che costor t'han conosciutoche per tema tu fai de l'ammalato?Salta su presto, e non far piú rifiuto;ché tu svergogni tutto il parentato.Noi spartiremo e ti daremo aiutosubito che l'assalto è incominciato. -Il conte si ristrigne e si lamenta,e si vorría levar, ma non s'attenta.        19Di tenda in tenda in tanto era volatala fama di quell'atto, e ognun ridea.Renoppia, che non era ancor levata,un paggio gli mandò che gli diceache stava per servirlo apparecchiata,e accompagnarlo in campo; e ben credeach'egli si porterebbe in tal manierach'ella n'avrebbe poscia a gire altiera.        20Quest'ambasciata gli trafisse il coree destò la vergogna addormentata:e cominciaro in lui viltà ed onorea combatter la mente innamorata.S'alza a sedere, e dice che 'l doloremitigato ha il favor de la sua amata,e s'adatta a vestir, ma la viltadefinge che 'l dolor torni, e giú ricade.        21E la pittrice già de l'orientepennelleggiando il ciel de' suoi coloriabbelliva le strade ad dí nascente,e Flora le spargea di vaghi fiori;quindi usciva del sole il carro ardente,e di raggi e di luce e di splendorivestiva l'aria, il mar, la piaggia e 'l monte,e la notte cadea da l'orizonte:        22quando comparve il conte di Micenocol medico Cavalca in compagnia.Il medico a l'orina in un balenoconobbe il mal che l'infelice avía;e fattosi recare un fiasco pienodi vecchia e dilicata malvagía,gli ne fece assaggiar tre gran bicchieri;ed ei pronto gli bebbe e volontieri.        23Cominciò il vino a lavorar pian piano,e a riscaldar il cor timido e vile,e a mandar al cervel piú di lontanostupido e incerto il suo vapor sottile:onde il conte gridò ch'era già sano,che 'l dolor gli avea tolto il vin gentile,e balzando del letto i panni chiese,e tosto si vestí l'usato arnese.        24Indi tratto fremendo il brando fuora,tagliò Zefiro in pezzi e l'aura estiva,e se non era il suo padrino, alloraa la battaglia senz'altr'armi ei giva.L'almo liquor che i timidi rincorapuote assai piú che la virtú nativa;ben profetò di lui l'antica gentech'era sovra ogni re forte e possente.        25Or mentre s'arma, ecco Renoppia vienee 'l coraggio gli adoppia e la baldanza,che con dolci parole e luci piened'amor gli fa d'accompagnarlo instanza.Egli che 'l foco acceso ha ne le vene,commosso da desio fuor di speranzae da furor di vino, ambo i ginocchia terra inchina; e dice a que' begli occhi:        26- O del cielo d'Amor ridenti stelleonde de la mia vita il corso pende;d'amorosa fortuna ardenti e belleruote dove mia sorte or sale, or scende;imagini del sol , vive facelledi quel foco gentil che l'alme incende,il cui raggio, il cui lampo, il cui splendoreogn'intelletto abbaglia, arde ogni core:        27occhi de l'alma mia, pupille amate,lucidi specchi ove beltà vagheggiasé stessa; archi celesti ond'infocatequadrella aventa Amor ch'in voi guerreggia;de le vostre sembianze onde il fregiate,cosí splende il mio cor, cosí lampeggia,ch'ei non invidia al ciel le stelle sue,benché sian tante, e voi non piú che due.        28Come a i raggi del sole arde d'amorela terra e spiega la purpurea veste;cosí a i vostri be' raggi arde il mio core,e di vaghi pensier tutto si veste.Quest'alma si solleva al suo fattore,e ammira in voi di quella man celestele meraviglie, e dal mortal si svelle,o degli occhi del ciel luci piú belle.        29Rimiratemi voi con lieto cigliodel cieco viver mio lumi fidati,siate voi testimoni al mio periglio,e scorgetemi voi co' guardi amati;ché fia vana ogni forza, ogni consiglio:cadrà l'empio e fellon ne' propri aguati,e non che di pugnar con lui mi caglia,ma sfiderò l'inferno anco a battaglia. -        30Cosí detto risorge, e 'l destrier chiedetutto foco ne gli atti e ne' sembianti;e fa stupire ognun che l'ode e vedesí diverso da quel ch'egli era innanti.Ma Titta armato già dal capo al piedecon armi e piume nere e neri ammantiin campo era comparso, accompagnatodal solo suo padrin senz'altri a lato.        31La desïosa turba intenta aspettache venga il conte, e mormorando freme;s'empiono i palchi intorno, e folta e strettacorona siede in su le sbarre estreme;e da i casi seguiti omai sospettache 'l conte ceda, e la sua fama preme.Quando a un tempo s'udîr trombe diverseda quella parte, e 'l padiglion s'aperse.