Quid novi?

Marco e il poeta


Le note al seguente sonetto del Belli sono tratte dal volumetto -di sole 38 pagine- "Alcune poesie in dialetto romanesco di G. G. Belli scelte ed illustrate dal P. Daniele Olckers o. s. b. ", Monaco, Tipografia accademica F. Straub, 1878.11. Marco e il poeta, dialogo in terza rima per la 'premiazione all' ospizio di Tata Giovanni (1) in agosto 1841. P: Marco! - M: Aò - P: Dove sei? - M: Cosa ve dole? (2) P: Ti mettesti a memoria il complimento? M: N'ho imparate ar più ar più quattro parole. P: Ma dunque ombra non hai di sentimento? M: L'ombre (3) nu le fo io; stanno in Panico. (4) P: Poveri miei sudori sparsi al vento! M: O vento, o acqua, o grandine, io ve dico Che de quer vostro sguazzabujjo  (5) scritto Sor coso mio, nun me n'importa un fico. P: Temerario! M: E ch' edè?  (6) quarche dilitto? P: E l'onor mio? M: Ce mettete er zale. P: E la tua fama? M: Me ne fo un zuffritto. (7) P: Quando parli cosi pazzo e bestiale Rendimi almeno i fogli che t'ho dati. M; Ciò incartata una fetta de caviale. P: E quei signori che da noi pregati Oggi son qui venuti a farci onore? M: Se ne ponno  (8) ariussci come so entrati. P: Taci, che se ti udisse Monsignore Che un affetto ha per noi quasi paterno Gli faresti soffrir troppo dolore. M: Ma dite un pò, pozziate vince un terno, Che c'entra Monziggnor Vicereggente (9) Co le ciarle che stanno in quer quinterno! Che s'ha da crede offesa quela ggente Si la vostra fecciosa canzoncina Nun m'è ariuscito d'imparalla a mente? Ciò (10) ppenato inzinenta (11) a stammatina Pe potemme (12) ignotti (13) quelo sciroppo, Pe potemme strozza quela pappina; Eh, ffrater caro, quer ch'è troppo è troppo. P: Quando è cosi potevi dirlo prima. M: Io le faccenne mie le dico doppo. P: Intanto manca il complimento in rima; E Monsignor ti crederà un indegno Che della grazia sua non faccia stima. M: Come sarebbe a ddi, per brio de legno? Io che, si stassi (14) a me, sur cucuzzolo (15) Je sce (16) vorria (17) pianta ssino un trerregno! (18) Ve lo ggiuro da povero fijjolo: Certa galanteria m'avete detto Che me sa d'ajjo (19) e nun me va a fasciolo (20). P: Ma gli professi tu stima e rispetto Non curando color cui fece invito In questo nostro asil da lui protetto! M: Per esse è vero, -vìa, me ne so usscito Co' na gran scivolata. Quarche vorta, Viva la faccia mia, so un pò stordito. E ssi sta ggente se ne fussi accorta. Mo ccome s'arippezza? Come famo Cosi a le strette a maneggia sta torta? (21) P: Su, coraggio, coraggio: andiamo, andiamo Prendi la carta e leggi il complimento. M: Ma che llègge! li zoccoli d' Abbramo? (22) Co ttanto virgolame che ce 'è ddrento Co tante acche obbrigate e ttanti zzeta! So faccenne da fasse in un momento? Co quele lettre vostre, sor poveta. Che ssò zzampe de rospo o gallinaccio Oppuro code de stella cometa? Certe bbravure, amico, io nu le faccio, Piuttosto, pe ddà gusto a Vvispignani, (23) Posso appoggiajje du parole a braccio (24). P: Orsù per non piatir sino a domani, Opera a senno tuo: fa come vuoi. Purché poi non veggiam ridere i cani. M: Ggnente pavura, sor grostino: (25) a noi. Sori Romani .... E mmò ch'edè sta tosse? Fate er servizzio, cominciate voi. P: Ah furbo! or sappi che se in me non fosse Un riguardo per questo almo consesso Entrambe ti farei le guance rosse. M: Bè, cominciate voi, nun è l'istesso? E quanno che starete pe la strada Dateme in faccia si nun vengo appresso. P: Dunque o Signori, perchè non accada Che pe' capricci di costui noi tutti SofFriam Taccusa di tenervi a bada, La gentilezza che v'ha qui condutti Intendo ringraziar pe' miei fratelli Del cui travaglio compatiste i frutti. M: E io sibbè (26) sso un zero appett' a quelli Io pure v'aringrazio a nome mio, Senza tante sparate de ggirelli (27). P: Noi tutti uniti porgiam voti a Dio, Perchè ciascuno che roman si chiami Di noi meschini mai non prenda obHo; M: E perchè pe la via de' falegnami (28) In questo logo - pio matina e sera Se vedino (29) fuma pile e tigami (30). P: Ah il ciel ne accordi che la vita intiera Noi trascorrer possiam lieta e innocente, Ne mai ci turbi il cuor vana chimera; 31: Eppoi quanno ogni giorno indegnamente (31) Averemo dormito e faticato Se gonfi la ganassa (32) e sbatti (33) er dente. P: Procurerem nel nostro umile stato Colle più oneste e diligenti cure Servir la patria che un mestier ci ha dato. M: Faremo catenacci e serrature, Porte, ssedie, finestre, credenzoni. Stivali, telerie, panni e pitture. P: Intanto o miei Signor facili e buoni, Se da noi poco fino ad or s'è fatto, La vostra cortesia ce ne perdoni. M: Ma da equi avanti date retta a un matto, Tornate a favoricce tutti l'anni, Si volete vede, corpo d'un gatto, (34) Cosa diventerà Tata - Giuvanni Giuseppe Gioachino BelliNote: 1. L'ospizio di Tata Giovanni; si veda la nota 5 al terzo sonetto. 2. vi duole? 3. spauracchi per tener lontane le passere. 4. biada minutissima (welsche Hirse) i cui semi prestano alimento agli uccelli. 5. guazzabuglio. 6. Che è? 7. soffritto. 8. possono. 9. Vicegerente. 10. ci ho. IL insino. 12. potermi. 13. inghiottire. 14. se stesse. 15. sulla testa. 16. gli ci. 17. vorrei. 18. triregno cioè mitra propria del sommo pontefice o tiara. 19. mi sa d'aglio; 20. a genio, non mi piace punto. 21. ravviar questa cosa, uscire di quest' impiccio. 22. esclamazione, per Bacco. 23. Giuseppe Maria de' conti Vespignani romano allora vicegerente di Roma. 24. senza essermi preparato. 25. voce di disprezzo. 2G. sebbene. 27. grandiose introduzioni ed ambagi. 28. dov' è l'ospizio. 29. vedano. 30. tegami. 31. degnamente. 32. ganascia. 33. sbatta. 34. si veda la nota 22.