Quid novi?

Leopardi


LeopardiCome solevi tu, splendida Atene,Quando ciascun sentia l’eterno rezzo,Donne appellar ne’ tuoi famosi giri,Che oscure in vista e nel pensier sereneSpargean su l’urne a prezzoLarga merce di pianti e di sospiri;Così l’Italia, benchè onor deliri,Sovente intorno ad ogni tomba adunaVati che piangon l’itala fortunaCome turbo d’usanza avvien che spiri;Però talor d’un’alma inerte e brunaCanta la folta schiera, Ed a sè fama speraTuonando alte parole; intanto chiedeUn volger d’occhio all’orgoglioso erede!E spregiata ne va quella gentileChe venne dalle rote armonioseAll’umano intelletto infioratrice;Non è non è costei fatta sì vileNè per bugiarde coseAll’esser suo celestial disdice!E mentre or lieti or mesti canti eliceDa’ nostri petti egra follia di loda,Mentre garrula età bestemmie snodaE divelle virtù fin da radice,Sol per questa gentil parmi che s’odaMagnanimo valore;Però tutta doloreTocca d’un piè questi funerei marmi,E mi sorride, e mi risplende i carmi.Salve, o fedel, che di tua nave a prua Sol Virtù candidissima volesti,La qual ti scorse ove non son confini;Certo su l’ultimar dell’ora tua Non co’ flagelli infestiRimorso punitor ti stette a’ crini,Nè mai Giustizia agli occhi suoi divini,Per te venduta, delle man’ fe’ velo;Nè simulata prece ergesti al cieloCon gli avidi pensieri in terra chini;Te sfavillante d’amoroso zeloColse l’ora suprema,La tua parola estremaEra amore, e dal corpo onde le dolseAprendo un riso l’anima si sciolse.E per lo mar dell’essere infinitoSeco portò quella potente fiammaChe penetrava ogni riposto loco,E sì forte allumò l’etrusco lito,Che non lasciava drammaChe negl’itali cor’ non fosse foco;E ben potea, poi che le parve giocoScorrer l’antica e la futura etate,Potea per queste lande inseminateSvegliar gli antichi lauri a poco a poco.Così novellamente inghirlandate,Novellamente viveFosser le nostre rive,E l’aura nostra, rinfrescando il volo,Ne portasse l’olezzo all’altro polo!Queste dolcezze, innamorato Spirto,Pregavi tu, quando incurvasti il dorsoSovra pagine eterne e faticose;E in quella età che alletta al vago mirtoUn cor di tigre o d’orso,Sole spine cogliesti anzi che rose;Quando la notte raddormìa le cose,Quando il Sole infiammava l’Oriente,Rimoto ognor dalla volgare gente,T’immolasti all’amor che in te si pose;E poi che furo in te le forze spenteTi rimanea sostegnoLa virtù dell’ingegno,E innanzi morte veleggiasti versoUn mondo incomprensibile e diverso.Così che la gelosa Invidia scuraE l’Ira pazza ch’aspre voci abbaia,E amor del peggio, e squallido Sospetto,E quella esizial Discordia impuraCh’ogni cosa dispaiaPosero il campo al tuo paterno tetto;E tu sgombravi, ed esule neglettoDi mite povertà spregiasti l’artiE custodivi in solitarie parti,Sola ricchezza, il tuo sdegnoso petto;Salve, o spirto fedel, che ti dipartiDa questa poca terra,Ove tempeste e guerra Il vizio move, tien quel segno a straleOgn’intelletto che si vesta d’ale!Or umil erba il tuo sepolcro cerchia,Mentre l’età di cieche voglie ancella,A vento d’avarizia si commise;Pur nella tomba che la tua soverchiaDeclinò l’aurea stellaRavvivatrice del figliuol d’Anchise.Ti dorme accanto que’ che un dì s’assisePresso la riva, e fe’ dall’onde fuoriVeramente apparir Ninfe e PastoriD’amor cantando in mille dolci guise.Ahi sopra l’urne povere di fioriSol fa mesto lamentoTra foglia e foglia il vento,Nè paterno sospir vola ove giaciNè sorella ti die gli ultimi baci!Ne te di sculti marmi o di ghirlandeOnorerà la prona Italia nostra,Ad altri numi che a Virtute avvezza;Però più luminoso in tutte bandeIl tuo nome si mostra,Della sciagura tua tanta è l’altezza!Ahi ben un giorno, con gentil vaghezzaMemore tomba all’Alighier pregavi,Perchè l’opre santissime degli avi Fossero a noi rinnovatrice orezza!A te le rime libere e soavi Fian monumento eterno.....Oh dal labbro maternoLe apprenda il pargoletto e la fioritaGuancia colori d’animosa vita!Pur come alla notturna e dormente ombraSuccede l’alba e il bianco cielo indora,E armonioso a lei succede il Sole,E al cieco verno che la terra ingombraQuella stagion canoraCoronata di vergini viole,Così la verità succeder suoleAll’ampia notte de’ terreni danniE destinata col venir degli anniDi barriera mortal mai non si duole;Tale o gentil che dopo tanti affanniPosi in riva al Tirreno,Se mai giorno serenoVedrà l’Italia, allor più chiaro assaiDalle ceneri tue rinascerai.E tu Canzon, portando il vivo nomeTe n’andrai pellegrinaOve il desio t’inchina,Come stella che aggiri al mondo intornoE dovunque sfavilli annunzî il giornoGiuseppa Guacci Nobile (1807-1848)giugno 1838