Quid novi?

Giovanna Caracciola (2)


Riporto gli altri sonetti di Giovanna CaracciolaVI.Al Gran Luigi per la nascita del Duca di BertagnaD'Alessandro, e d'Augusto i prischi onori,Che tramandaro a noi l'antiche istorieNon van pari, o Signor, colle tue glorie:Solo di te son tue virtù maggiori.Vasto impero de' Regni, e non de' cuori,Degni reser già quei d'alte memorie;Ma che! presto la vita, e le vittorieCederno al fato, ed agli altrui furori.Tu regni invitto al Mondo, e più nell'alme;Che de' popoli tuoi l'amor, la fedeFan ferma base al tuo sovrano Soglio;Ed or propizio il Cielo a te concedeDel gran Nipote al tenero germoglioOrnar la culla di trionfi, e palme.Rime degli Arcadi, Volume 5, pag. 366VII.Per il Compleanno di S. M. C. Filippo V.Ecco già riede il fortunato giorno,Che segnò di Filippo il gran natale;Man non fu il primo al dì presente uguale,Se con fasti più chiari ei fa ritorno.Quello al nato fanciul sol vide intornoDel sangue Augusto lo splendor reale;Questo il vede impugnar brando fataleDi proprie glorie, e di trionfi adorno.Ma seguan pur gli anni felici il corso,L'un più dell'altro a lui sarà secondo,Finch'al suo piè curvi fortuna il dorso.In giovinetta età reso fecondoDi prole, e di vittorie, imporrà il morsoA i più rimoti popoli del Mondo.Rime degli Arcadi, Volume 5, pag. 364VIII.Nell'Incoronazione di S. M. C. Filippo V. successore di Carlo II. ne' Regni di Spagna.Opra è, Signor, del Ciel quel, che a noi scende,Alto conforto nell'angustie estreme.Egli Carlo ne tolse, e in un la spemeDi pace, ma la pace in te ci rende.Egli, da cui ogni gran ben dipende,E di tutto quaggiù la cura preme,Ti fe nostro Monarca, e ti diè insiemeLa virtude, e il valor, che in te risplende.Or se t'arride il Cielo, e dà la sorteDi nuovi imperj, e d'altre glorie i segni,Seguili pur sotto sì belle scorte;Che nulla a terminare i gran disegniManca, se già per farti e grande, e forteTi diè il sangue Luigi, e Carlo i regni.Rime degli Arcadi, Volume 5, pag. 366IX.Or che dee risonar mio rozzo cantoFra vaghe Ninfe, e nobili Pastori,Palpita il cor nel sen, sento i rossori,E di giusta vergogna il volto ammanto.Poichè basso è lo stil, nè merta il vantoDi spiegarsi tra Cigni, a cui gli onoriSi devon sol de' più pregiati allori,Che mai nascesser là presso Arno, e Manto.Che farò dunque? a te, Febo, mi volgo,Nume gentil, tu porgi a questo pettoVoce miglior di questa, ch'ora sciolgo.Tu assicura il timor, tu dà dilettoA chi m'ascolta, onde con quel del volgoNon resti il canto mio vile, e negletto.Rime degli Arcadi, Volume 5, pag. 363; Recanati, 1716, pag. 118X.Quando il core era mio, tranquille l'oreGodeva Io sempre con egual diletto;Non m'usciva sospir giammai del petto:Nè versava dagli occhi il pianto fuore.Non turbava i miei sogni ombra d'orrore;D'Amore, e sdegno non provava affetto;In me solo vivea, in me ristrettoCauto passai di verde etade il fiore.Vivo in altrui, or che non son più mio;Di me stesso non curo, e ben conoscoQuanto da me diverso ora son'io.Torbida m'è la notte, il giorno fosco;Ardo, piango, sospiro, e provo, oh Dio!Quando meno il dovrei, d'Amore il tosco.Rime degli Arcadi, Volume 5, pag. 364