Quid novi?

Il Malmantile racquistato 02-1


"Il Malmantile racquistato" di Lorenzo Lippi (alias Perlone Zipoli), con gli argomenti di Antonio Malatesti; Firenze, G. Barbèra, editore, 1861)SECONDO CANTAREArgomentoDe' due gran figli del signor d'UgnanoProdigioso il natal narra Baldone:Come s'acquista moglie Florïano,E vien dall'Orco poi fatto prigione:Come Amadigi libera il germano,E il mostro spaventoso a terra pone:E dice al fin, che l'un di questi duiFu padre a Celidora, e l'altro a lui.1Era in Ugnano (182) il duca PerïoneChe sempre all'altarin fidecommisso (183)Faceva notte e dì tanta orazioneE tante carità, ch'era un subisso:Nè per altro era tutto bacchettoneChe per un suo pensiero eterno e fissoD'aver prole; perchè della sua schiattaNon v'era, morto lui, nè can nè gatta.2Così durò gran tempo: ma da zezzo,Vedendo ch'ei non era esaudito,Essendo omai con gli anni in là un pezzo,A mangiar cominciò del pan pentito:E quant'ei far solea posto in disprezzo,Senza voler più dar del profferito (184)Gettatosi all'avaro ed al furfante,Cambiò la dïadema (185) in un turbante.3Di poi tutto diverso e mal dispostoIn modo degli Dei faceasi beffe,Che s'egli udia trattarne, avria piuttostoVoluto sul mostaccio uno sberleffe (186).La moglie un miglio si tenea discosto:E dov'ei dava ai poveri a bizzeffe (187),Quando picchiavan poi, dalla finestraFacea lor dare il pan colla balestra (188).4La plebe, i grandi ed ogni lor ministro,Che il duca così buono avean provato,Mentre fu scudo ad ogni lor sinistro,Ed in lor pro sarebbesi sparato;Vedutolo così mutar registro,E diventare un Turco rinnegato,Eran talmente d'animo cattivo,Che l'avrebbon voluto ingoiar vivo.5Avvenne, che già inteso un negromante,Che un uom, com'era quei, sì giusto e magno,Faceva novità sì stravagante,Un atto volle far da buon compagno:E per ridurlo all'opre buone e sante,Non per speranza di verun guadagno,Fintosi un baro, a dargli andò l'assalto,Un po' di ben chiedendo per Sant'Alto (189).6Rispose Perïone: Fratel mio,Se tu te lo credessi, tu t'inganni:Tu vuoi ch'io doni per l'amor di Dio,Nè sai ch'io piglierei per San Giovanni (190).Se t'hai bisogno, che posso far io?Che son Fra Fazio (191), che rifaccia i danni?E che pensi, che qua ci sia la cava?Non è più tempo che Berta filava.7Signor, soggiunse il mago, mi sa maleDi veder che un sì gran limosiniere,Ed uom tanto benigno e liberale,Caduto sia nel mal del miserere (192).Or basta; chi del mio fa capitale,Diss'egli, fa la zuppa nel paniere:Però va' in pace, tu co' tuoi bisogni,Perchè per me tu mangerai dei sogni.8Come, replicò quei, se e' si cicalaChe tu daresti via fin la gonnella;Vedendomi spedato e per la mala (193),Potrai avere il granchio alla scarsella?Poichè tu gratti (194) il corpo alla cicala,Disse il duca, io levai questa cannella (195),Per quel ch'io ti dirò; perchè se giàDonai, non era tutta carità.9E' non batteva la mia fine altrove,Che ad aver, prima ch'io serrassi gli occhi,In ricompensa un dì, piacendo a Giove,Della mia donna quattro o sei marmocchi;Ma finalmente, dopo mille proveDi dar il lustro a' marmi co' ginocchi,Tenendo gli occhi in molle e il collo a vite,E le nocca (196) col petto sempre in lite,10Io l'ebbi bianca (197) a femmine ed a maschi;Ond'io, sbraciar(198) volendo a bel diletto,Mi risolvei levar quel vin da' fiaschi (199),E non dar più quanto un puntal d'aghetto (200);Perchè po' poi, diss'io, gli è me' ch'io caschiDalle finestre prima che dal tetto:E il cavarmi di mano adesso un pelo,Sarebbe un voler dare un pugno in cielo.11Che pagheresti, disse lo stregone,Se la tua moglie avesse il ventre pregno?Se ciò fosse, rispose Perïone,Ancorch'io non ne faccia alcun disegnoE tal voglia appiccata abbia all'arpione,Io ti vorrei donar mezzo il mio regno.Soggiunse quei: Non vo' pur una crazia (201),Ma solamente la tua buona grazia.12Altro da te non aspettar ch'io chieda,Nè che alcuno interesse mi predomini;Perchè, quantunque abietto altri mi veda,Io ho in cul la roba e schiavo son degli uomini.Or basta: se tu brami d'aver redaChe il regno dopo te governi e domini,Commetti al Mosca, al Biondo e a Romolino,Che un cuor ti portin d'asino marino.13Et ordina di poi, che se ne cuocaLa terza parte in circa arrosto o lessa;Ch'in tutti i modi è buona; e danne un pocaIn quel modo a mangiare alla duchessa.Presa che l'ha, gli è fatto il becco all'oca (202);Chè subito ch'in corpo se l'è messa,Senzachè tu più altro le apparecchi,Dottela pregna infin sopr'agli orecchi.14Oh questa, disse il duca, è veramenteDa pigliar colle molle! che un somaroPossa col cuore ingravidar la gente!Vedi, non ti son finto; io non la paro (203).Orsù il provar non ha a costar nïente:E quando mi costasse anco ben caro,Vo' farlo per veder se ciò riesce;Però si mandi al mar per questo pesce.15Benchè fusse costui come una pina (204)Tanto largo, ignorante e discortese;Per non balzare un tratto alla berlina,I pescatori vennero in paese (205):Così pescando lungo la marina,Questo benedett'asino si prese:E il cuor 'n un bel bacino inargentato,A suon di pive al duca fu portato.16Ed egli, preso il prelibato cuore,Lo diede al cuoco: al qual, mentre lo cosse,Si fece una trippaccia, la maggioreChe a' dì de' nati mai veduta fosse.Le robe e masserizie a quell'odoreAnch'elle diventaron tutte grosse;E in poco tempo a un'otta tutte quanteFecer d'accordo il pargoletto infante.17Allor vedesti partorire il lettoUn tenero e vezzoso lettuccino;Di qua l'armadio fece uno stipetto;La seggiola di là un seggiolino;La tavola figliò un bel buffetto (206);La cassa un vago e piccol cassettino;E il destro (207) un canteretto mandò fuore,Che una bocchina avea tutta sapore.18Il cuoco anch'egli poi non fu minchione;Perchè, bucar sentitosi in un fianco,Si vedde prima uscirne uno stidione;Di poi un guatterin in grembiul bianco,Che in far vivande saporite e buoneFu subito squisito e molto franco:E in quel che 'l padre stette sopr'a parto,Cucinò in corte a lui, al terzo e al quarto.19La duchessa, che 'l cuore avea inghiottito,Cotto ch'ei fu con ogni circostanza,Anch'ella con gran gusto del maritoStampò due bamboccioni d'importanza:Grazie e bellezze aveano in infinito,E così grande e tanta somiglianza,Tanto eran fatti uguali ed a capello,Che non si distinguea questo da quello.20Crebbero insieme, ed all'adolescenzaPervenuti, mangiaro il pane affatto (208).Nel far santà (209), nel far la riverenza,Ebbero il corpo a maraviglia adatto.Tra lor non fu mai lite o differenza;Ma d'accordo volevansi un ben matto.L'Infante Florïano uno ebbe nome:E quell'altro Amadigi di Belpome.Note:(182) UGNANO è piccol luogo tra Firenze e la Lastra presso ad Arno.(183) FIDECOMMISSO. Assiduo, che sta sempre in un luogo.(184) DEL PROFERITO. Nemmen quello che aveva promesso o profferto.(185) CAMBIÒ LA DIADEMA. Di santo si fece turco. Qui la diadema è il nimbo.(186) SUL MOSTACCIO UNO SBERLEFFE.Uno sfregio in viso per ignominia.(187) BIZZEFFE. Sull'origine di questa voce I'ingegnosa opinione del Minuccí, quantunque non appoggiata da documenti, merita di esser conosciuta. Quando il magistrato romano concedeva grazia intera, scriveva sotto il memoriale del supplicante, F. F., cioè Fiat, Fíat, e la grazia dicevasi data a bis effe, a bizzeffe(188) COLLA BALESTRA. Li saettava col pane stesso, o con pietre, se accostavansì a prendere il pane.(189) SANT'ALTO. L'Altissimo. È modo di lingua furbesca.(190) PIGLIEREI PER SAN GIOVANNI. Questo è il Santo protettore di Firenze. In quel giorno tanto solenne, i birri non potevan nommeno pigliare, cioè catturare, i banditi. Ora, di uomo avidissimo, si dice ch'ei piglierebbe il dì di san Giovanni, o per san Giovanni, usando pigliare nel suo natural senso di accettare e prendere.(191) FRA FAZIO. Accorciato di Boni-fazio, facitore di bene.(192) CADUTO SIA NEL MAL DEL MISERERE Sia divenuto misero, cioè avaro; ovvero: abbia preso a fare il contrario di ciò che era il consueto suo naturale, come è nel detto morbo che le fecce escono dalla bocca. La denominazione italìana di questa malattía, che è, il Volvulus dei Latini, pare che sia stata originata da una falsa interpretazione del nome greco eileòs, volvulus scambiato con eleòs, misericordia, ed eleéo misereri.(193) PER LA MALA vita. Ridotto a mal partito.(194) TU GRATTI ecc. Tu. m'inciti a discorrere, vuoi farmi cantare.(195) LEVAR LA CANNELLA. Desistere dal fare una cosa: ed è preso dal levar la cannella alla botte.(196) LA NOCCA o nocche delle dita.(197) IO L' EBBI BIANCA ecc. Nell'estrazione di un premio al lotto, le sole polizze premiate sono scritte, le altre bianche. Onde averla bianca a una cosa vale non ottenerla.(198) SBRACIAR. Scialacquarsi la mia roba.(199) LEVARE IL VIN DA FIASCHI, vale finir che che sia, finirla.(200) AGHETTO. cordoncino con puntale di metallo.(201) CRAZIA, Moneta toscana che valeva sette centesimi di lira italiana.(202) GLI È FATTO IL BECCO ALL'OCA. La cosa è fatta. Chi vuol conoscere l'origine di questo detto, la troverà nel Mambriano, c. II e nelle novelle del Pecorone.(203) NON LA  PARO. Non la credo. È tratto da un certo giuoco di dadi, nel quale chi tien la posta dice párola; e non la tenendo, dice Non la paro.(204) LARGO COME UNA PINA  Verde è detto ironico che vale strettissimo, avarissimo, perchè la pina finchè è verde non apre le scaglie, o involucri de' semi.(205) VENNERO IN PAESE. Vennero in scena, si lasciaron trovare, comparvero.(206) BUFFETTO. Tavolinuccio.(207) DESTRO. Il comodo, il cesso.(208) MANGIARO IL PANE AFFATTO, senza lasciar rosumi, il che si fa dai fanciulli. Divennero giovani fatti.(209) FAR SANTÀ (sanitá), Salutare.