Quid novi?

Sonetti di Luigi Ferretti


Riporto un sonetto del Ferretti, tratto dall'introduzione di Luigi Morandi al volume Centoventi sonetti in dialetto romanesco.Tornando al nostro poeta, io posso affermare con piena sicurezza, che ne' molti sonetti di vario argomento che ha composti prima e dopo della Duttrinella, egli continua si, e fedelmente, la maniera del Belli, della quale conosce tutti i segreti; ma tratta soggetti affatto nuovi, o che il Belli ha trattato sott' altro aspetto. In altri termini, egli si serve dell' arte stessa del maestro, del quale par che possieda anche la fecondità prodigiosa; ma non pesca le sue impressioni nelle opere di lui, bensì le riceve dalla vita reale in cui vive e che in tante e tante cose non è più quella de' tempi del Belli. Vedete, per esempio, che fior di partito ha saputo cavare dalla nova usanza di andar vendendo i giornali per le strade : CXIIIEr servitore a spassoA me? me pare d'avé vinto un terno De nu' stà più a servì quel' assassinoDe l' avvocato. 'Na vita d' infemo Da méttecese a letto 'gnitantino. Quer che m' ha fatto faticà st' inverno! Manco m' avessi (1) preso pe' facchino. E po' 'n' aria, perdio, ch' er Padreterno Appett' a lui divent' u' regazzino. Adesso?! Già ciò (2) quarche cosa in vista, Ma casomai che fussi un po' spallata, C è la cariera mo der giornalista. Le cianche (3) ce l' ho svérte, un bér vocione, S' ariccapézza 'na bona giornata, E poi, si nun fuss' artro, la struzzione!(1) M' avesse. - (2) Ci ho. - (3) Le gambe.Luigi FerrettiCentoventi sonetti in dialetto romanesco, Firenze, G. Barbèra, Editore, 1879, pag. 40-42