Quid novi?

Bacco in Toscana


Bacco in Toscanadi Francesco RediEdizione 1685 (versione tratta da: Poesia del Seicento, a cura di C. Muscetta e P. P. Ferrante, Torino, Einaudi, 1964 vol II).Il testo del ditirambo, con introduzione critica di notevole valore, si triva anche sul sito Classici Italiani.Dell’Indico OrïenteDomator glorïoso, il Dio del VinoFermato avea l’allegro suo soggiornoAi colli Etruschi intorno;E colà dove imperïal palagioL’augusta fronte in vêr le nubi innalza,Su verdeggiante pratoCon la vaga Arïanna un dì sedea,E bevendo e cantandoAl bell’idolo suo così dicea:Se dell’uve il sangue amabileNon rinfranca ognor le vene,Questa vita è troppo labile,Troppo breve e sempre in pene.Sì bel sangue è un raggio accesoDi quel Sol che in ciel vedete;E rimase avvinto e presoDi più grappoli alla rete.Su su dunque in questo sangueRinnoviam l’arterie e i musculi;E per chi s’invecchia e languePrepariam vetri maiusculi:Ed in festa baldanzosaTra gli scherzi e tra le risaLasciam pur, lasciam passareLui, che in numeri e in misureSi ravvolge e si consuma,E quaggiù Tempo si chiama;E bevendo, e ribevendoI pensier mandiamo in bando.BenedettoQuel Claretto,Che si spilla in Avignone,Questo vasto belliconeIo ne verso entro ’l mio petto;Ma di quel, che sì purettoSi vendemmia in Artimino,Vo’ trincarne più d’un tino;Ed in sì dolce, e nobile lavacro,Mentre il polmone mio tutto s’abbevera,Arïanna, mio Nume, a te consacroIl tino, il fiasco, il botticin, la pevera.Accusato,Tormentato,CondannatoSia colui, che in pian di LecorePrim’osò piantar le viti;InfinitiCapri e pecoreSi divorino quei tralci,E gli stralciPioggia rea di ghiaccio asprissimo:Ma lodato,Celebrato,CoronatoSia l’eroe che nelle vigneDi Petraja e di CastelloPiantò prima il Moscadello.Or che stiamo in festa e in giolito,Béi di questo bel crisolito,Ch’è figliuolo,D’un magliuoloChe fa viver più del solito:Se di questo tu berai,Arïanna mia bellissima,Crescerà sì tua vaghezza,Che nel fior di giovinezzaParrai Venere stessissima.Del leggiadretto,Del sì divinoMoscadellettoDi MontalcinoTalor per scherzoNe chieggio un nappo;Ma non incappoA berne il terzo;Egli è un vin, ch’è tutto grazia,Ma però troppo mi sazia.Un tal vinoLo destinoPer stravizzo e per piacereDelle vergini severe,Che racchiuse in sacro locoHan di Vesta in cura il foco;Un tal vinoLo destinoPer le dame di Parigi,E per quelle,Che sì belleRallegrar fanno il Tamigi:Il Pisciancio del Cotone,Onde ricco è lo Scarlatti,Vo’ che il bevan le persone,Che non san fare i lor fatti.Quel cotanto sdolcinato,Sì smaccato,Scolorito snervatelloPisciarello di Bracciano,Non è sano,E il mio detto vo’ che approviNe’ suoi dotti scartabelliL’erudito Pignatelli;E se in Roma al volgo piaceGlielo lascio in santa pace:E se ben Ciccio d’AndreaCon amabile fierezza,Con terribile dolcezza,Tra gran tuoni d’eloquenza,Nella propria mia presenzaInnalzare un dì voleaQuel d’Aversa acido asprino,Che non so s’è agresto, o vino,Egli a Napoli sel beaDel superbo Fasano in compagnia,Che con lingua profana osò di direChe del buon vino al par di me s’intende;Ed empio ormai bestemmiator pretendeDelle Tigri Nisee sul carro auratoGire in trionfo al bel Sebeto intorno;Ed a quei lauri, ond’àve il crine adorno,Anco intralciar la pampinosa vigna,Che lieta alligna in Posilippo e in Ischia;E più avanti s’inoltra, e infin s’arrischiaBrandire il Tirso e minacciarmi altero:Ma con esso azzuffarmi ora non chero;Perocché lui dal mio furor preservaFebo e Minerva.Forse avverrà, che sul Sebeto io vogliaAlzar un giorno di delizie un trono:Allor vedrollo umilïato, e in donoOfferirmi devotoDi Posilippo e d’Ischia il nobil Greco;E forse allor rappattumarmi secoNon fia ch’io sdegni, e beveremo in trescaAll’usanza tedesca;E tra l’anfore vaste e l’inguistareSarà di nostre gareGiudice illustre e spettator ben lietoIl Marchese gentil dell’Oliveto.Ma frattanto qui sull’ArnoIo di Pescia il Burïano,Il Trebbiano, il ColombanoMi tracanno a piena mano:Egli è il vero oro potabile,Che mandar suole in esilioOgni male inrimediabile;Egli è d’ Elena il Nepente,Che fa stare il mondo allegroDa i pensieriFoschi e neriSempre sciolto, e sempre esente.Quindi avvien, che sempre maiTra la sua filosofiaLo teneva in compagniaIl buon vecchio Rucellai;Ed al chiaror di lui ben comprendeaGli atomi tutti quanti e ogni corpusculoE molto ben distinguere sapeaDal mattutino il vespertin crepusculo,Ed additava donde avesse origineLa pigrizia degli astri e la vertigine.Quanto errando, oh quanto vaNel cercar la veritàChi dal vin lungi si sta!Io stovvi appresso, ed or godendo accorgomi,Che in bel color di fragola maturaLa Barbarossa allettami,E cotanto dilettami,Che temprare amerei l’interna arsura,Se il greco Ippocrate,Se il vecchio AndromacoNon me ’l vietassero,Né mi sgridassero,Che suol talora infievolir lo stomaco;Lo sconcerti quanto sa;Voglio berne almen due ciotole,Perché so, mentre ch’io votole,Alla fin quel che ne va.Con un sorsoDi buon Còrso,O di pretto antico Ispano,A quel mal porgo un soccorso,Che non è da cerretano:Non sia già che il cioccolatteV’adoprassi, ovvero il tè,Medicine così fatteNon saran giammai per me:Beverei prima il velenoChe un bicchier, che fosse pienoDell’amaro e reo caffè:Colà tra gli Arabi,E tra i GiannizzeriLiquor sì ostico,Sì nero e torbidoGli schiavi ingollino.Giù nel Tartaro,Giù nell’EreboL’empie Belidi l’inventarono,E Tesifone e l’altre FurieA Proserpina il ministrarono;E se in Asia il MusulmannoSe lo cionca a precipizio,Mostra aver poco giudizio.Han giudizio, e non son gonzi,Quei toscani bevitori,Che tracannano gli umoriDella vaga e della bionda,Che di gioja i cuori inonda,Malvagía di Montegonzi;Allor che per le fauci e per l’esofagoElla gorgoglia e mormora,Mi fa nascer nel pettoUn indistinto incognito diletto,Che si può ben sentire,Ma non si può ridire.Io nol nego, è prezïosa,OdorosaL’Ambra liquida cretense;Ma tropp’alta ed orgogliosaLa mia sete mai non spense;Ed è vinta in leggiadriaDall’etrusca Malvagía:Ma se fia mai che da cidonio scoglioTolti i superbi e nobili rampolliRingentiliscan su i toscani colli,Depor vedransi il naturale orgoglio,E qui dove il ber s’apprezzaPregio avran di gentilezza.Chi la squallida CervogiaAlle labbra sue congiugnePresto muore, o rado giugneAll’età vecchia e barbogia:Beva il sidro d’InghilterraChi vuol gir presto sotterra;Chi vuol gir presto alla morteLe bevande usi del Norte.Fanno i pazzi beveroniQuei Norvegi e quei Lapponi;Quei Lapponi son pur tangheri,Son pur sozzi nel loro bere;Solamente nel vedere,Mi fariano uscir de’ gangheri.Ma si restin col mal dieSì profane dicerie,E il mio labbro profanatoSi purifichi, s’immerga,Si sommergaDentro un pecchero indorato,Colmo in giro di quel vinoDel vitignoSì benigno,Che fiammeggia in Sansavino;O di quel che vermigliuzzo,BrillantuzzoFa superbo l’Aretino,Che lo alleva in Tregozzano,E tra’ sassi di Giggiano.Sarà forse più frizzante,Più razzente e più piccante,O coppier, se tu richiediQuell’Albano,Quel Vaiano,Che biondeggia,Che rosseggiaLà negli orti del mio Redi.Manna dal ciel su le tue trecce piova,Vigna gentil, che questa ambrosia infondi;Ogni tua vite in ogni tempo muovaNuovi fior, nuovi frutti e nuove frondi;Un rio di latte in dolce foggia e nuovaI sassi tuoi placidamente inondi;Né pigro giel, né tempestosa piovaTi perturbi giammai, né mai ti sfrondi,E ’l tuo Signor nell’età sua più vecchiaPossa del vino tuo ber con la secchia.Se la druda di TitoneAl canuto suo maritoCon un vasto ciotoloneDi tal vin facesse invito,Quel buon vecchio colassùTornerebbe in gioventù.Torniam noi trattanto a bere;Ma con qual nuovo ristoroCoronar potrò ’ bicchierePer un brindisi canoro?Col Topazio pigiato in Lamporecchio,Ch’è famoso castel per quel Masetto,A inghirlandar le tazze or m’apparecchio,Purché gelato sia e sia puretto,Gelato, quale alla stagion del gieloIl più freddo aquilon fischia pel cielo.Cantinette e cantimploreStieno in pronto a tutte l’oreCon forbite bomboletteChiuse e strette tra le brineDelle nevi cristalline.Son le nevi il quinto elemento,Che compongono il vero bevere:Ben è folle chi spera ricevereSenza nevi nel bere un contento:Venga pur da VallombrosaNeve a iosa:Venga pur da ogni bicoccaNeve in chiocca;E voi, Satiri, lasciateTante frottole e tanti riboboli,E del ghiaccio mi portateDalla grotta del monte di Boboli.Con alti picchi De’ mazzapicchiDirompetelo,Sgretolatelo,Infragnetelo,Stritolatelo,Finché tutto si possa risolvereIn minuta freddissima polvere,Che mi renda il ber più frescoPer rinfresco del palato,Or ch’io son morto assetato.