Quid novi?

La età dell'oro


La età dell'oroEt belli rabies et amor succcssit habendi.(Virg. Aen. VIII, 327.)Mia vaghezza fu sempre e mio sospiroDi dir nette le cose e come stanno,Senza curar mentr' io beffo o mi adiroSe me n'abbia a seguire utile o danno;Nè filantropo mai chiamo il vampiroNè d'eroe presto nome al saccomanno:Io dico bene il bene è male il maleEd apprezzo dai frutti il capitale.E di quai frutti, che il Signor ci assista,Di quai fruiti or ci dà la mala piantaArida, fosca, imbozzacchita e tristaOnde a' dì nostri il reo cultor si vanta?Vorrebbe un galantuom perder la vistaE la somma dei sensi tutta quantaPer non veder, per non sentir gli orroriDi que' teneri suoi benefattori.Oh grave insieme e pur giocondo temaDa conciarne le groppe alla canaglia,Sì che mentre per essa il mondo tremaLe girasse il rovescio alla medaglia !Ma de' flagelli miei la forza è scemaE la forbice mia biascia e non taglia;E più mia mente a nuove idee non s'apre,Ridotta a ruminar come le capre.Che s'io fossi così come vorreiAspro di stile e immaginoso e franco,Sì che pei giambi corrosivi mieiDovesse ogni fellon battersi il fianco,Voi ne udreste uggiolar que' semideiDi color rosso o verdolino o bianco,La cui matta genìa da capo a fondoRifar presume e rinfronzire il mondo.Digiuni di valor come di fede,Poveri di pietà, ricchi d'orgoglio,Pensan con urla e suon di mani e scedeL'aquile richiamar sul Campidoglio.E il volgo intanto gocciolon li crede,Nè mai dal grano distinguendo il loglioA suon di trombe e tamburi e campaneBallan ridde e tresconi e chirinzane.O goffi merendoni, ite, anfanateDietro alle ciurmerie de' faccendieriChe promettonvi il tempo delle FatePer mutarvi in giardini i cimiteri;Come se il mondo per lor fagiolatePiù non fosse diraan quello di ieri,E avesser d'un cialtron le gherminelleDal vecchio corso a disviar le stelle.Traete, o poltracchini, o gaglioffacci,In lunghe filatesse e a frotte a frotteDove offelle vi aspettano e migliacciE fra giare e bicchier piena la botte:Statevi a desco tra fraterni abbracciBriachi a crapular sino alla notteO fin che un gerofante in lingua sconciaSorgavi ad arringar dalla bigoncia.Rauco vi griderà l'antesignano:» Sacro un inno sciogliam, popolo mio:Giunse pur l'ora, o popolo sovrano,Che qual ti oppresse te ne paghi il fio.Soli rimangan nel consorzio umanoDio e popolo omai, popolo e Dio:Ah siam fratelli quai ci volle il cieloAl brillar della luce del vangelo!Su dunque, ci leviam come un sol' uomoL'insulto a vendicar de' privilegi;Chè debbonsi al peccato e al fatal pomoGradi, opulenza, onor, titoli e fregi.Iddio l'uom non creò per farlo domoSotto il flagel di sacerdoti e regi,Ma dispose che al par godesser tuttiL'aria del cielo e della terra i frutti. »Al vampo allor di resinose tede,Con fiero piglio e giovanil baldanza,L'orme seguite che vi segna il piedeD'un nuovo Don Chisciotte o Sancio Panza,E là con lui correte ove la fedeNella idea vi sospigne e la speranza,Affocandovi il fiel sino alla mortePer viver meglio e avvantaggiar la sorte.Ah vi torni in pensier che siete proleDi Fabii, di Scipioni e di Metelli,Che quante genti rischiarava il soleSbarattavano a colpi di randelli.Dunque il fulgor della prosapia vuoleChe di vil servitù rotti i cancelliTra gioiosi falò scendiate in piazzaA dar buon segno della vecchia razza.Contro qual petto al vostro ardor non ardePer miseria di cuor fiacco e pedestreArmatevi di picche e di labardeDi nuova civiltà nuove maestre:Di nappe onusti, o vogliam dir coccarde,Ite in tregenda a lapidar finestre,Per crear quelle allegre luminarieGenerali, copiose e volontarie.Mano, o seme d'eroi, mano a carrozze,Raschiatone pria l'oro dalle sale,E le pinte armi svergognate e sozzeNe ardete a fascio colle immonde gale.Stanchi alla fine e con enfiate strozze,Per chiuder degnamente il baccanale,Cercate fra i tizzon le ferrarecce,Che son buone da far triboli e frecce.Poi l'uzzolo a calmar d'oro e d'argentoPenetrate ne' templi, anime pie,E come spira il nazional talentoPonetevi a frugar le sacristie.Perchè quel fasto? e che vi fan là drentoTanti grassi tesor, tante algarie?Madre è la Chiesa e figli voi: ciò mostraChe la roba materna è roba vostra.E pel soverchio che sleal bilanciaPesò in vostra iattura agli epuloniBen vi saprete voi correr la lancia,Che un dritto eterno ve ne fa padroni.Beati i genî di Lamagna e FranciaChe i possidenti lor chiaman ladroni,E prepaian dovunque armi ed attacchiDa farne imbizzarrir l'ombre de' Gracchi!Ma fin che indugî la gran legge agrariaAbbrancate bolcioni e faccellineE accignetevi all' opra necessariaD'arder palagî e sterminar cascine:E se grato v'è più balzarle in aria,Ite sotterra a profondar le mine,Da infiammarsi con micce e seminellePer trarvi il gusto e scapolar la pelle.Poi menzogne e calunnie alla modernaE laide giullerie contro il monarca,E strambotti da trivio e da taverna,Chè tutto giova ad aiutar la barca.Per gocciole si gonfia la cisternaE di ferlini si ricolma l'arca.Ognun cospiri allo stupendo scopoDi dar l'erede al travicel d'Esopo.Le son questesse, o eccelsi proletari,L'alte dottrine d'amor patrio veroChe v'injettan que' vostri baccalariCol cappello alla Ernani o all' Espartero:Questi sono i fecondi seminariDella gran pianta del novello impero,In cui vi basterà di aprir la boccaPer aver l'imbeccata che vi tocca.Farete allora in pace il vostro chiloSenza stenti mai più, senza miseria:A un cenno vostro verrà in barca il NiloPer ingrassar l' intisichita Esperia:Non più tremuoti per ultimo asiloV'apriran l'antro della ninfa Egeria;E la grandine e il fuoco e l' acqua e il ventoVi faran da guardiani dell'armento.Per ogni figlio allor che Iddio vi mandiVi pioverà dal cielo un'altra vigna,E scialeran con voi piccioli e grandiTra i favor di Pomona e di Ciprigna:Fiano incogniti nomi editti e bandiE la febbre quartana e la maligna:Non gireràn più ladri a mezzanotte,E guariran da sè le gambe rotte.Gogne e galere a voi? nemmen per sogno,Chè manderemo a spasso i tribunali.Debiti e trufferie? quale bisognoSe vivrem tutti a porzïoni uguali?Ma della libertà quasi io vergognoDi noverar gli effetti naturali:Basti che d'ogni ben ne avremo a maccaE starem tutti in un ventre di vacca.Voliam dunque animosi al secol d' oro,Grazie alle tante coscïenze netteChe han messo a parte nel civil lavoroQuella manna-di-ciel delle gazzette;E ringraziamo il venerando coroDi smerigli, avoltoi, gufi e civette,La cui maschia virtù vide e compreseI profondi bisogni del paese.Qui volgendomi a voi, buoni signoriChe sì benigni mi vi siete mostri,Pria di por fine a' miei vani clamoriImploro venia da' giudicii vostriS' io vi dipinsi in languidi coloriLa sceleranza di cotanti mostri,E con morbide frasi abbia descrittoQuest'epoca di sangue e di delitto.Nè vi sia grave ch'io con voi mi lagniChe nella odierna socïal battagliaLasciando il giusto al reo troppi guadagniTimida al paragon tenga puntaglia;E appena il pravo umor ceda o ristagni,Riponendo l'usbergo e la zagagliaTutto si riconcentri il nostro zeloNel goder gli ozî che ci ha fatti il cielo.Deh ristretti fra noi, baldi e securi,Campeggiam l'oste iniqua in faccia al sole,Ed agli alunni di que' mastri impuriDiam rimedio d'esempli e di parole.Poi, mentre che si compia e si maturiSopra al genere uman quel che Iddio vuole,Raccomandiamci alla bontà divinaE lasciam correr l'acqua per la china.Giuseppe Gioachino BelliDa "La età dell'oro", Roma, dalla Tipografia Salvucci, 1851, pag. 3