Quid novi?

Canzoniere petrarchesco 4


21Mille fïate, o dolce mia guerrera, per aver co' begli occhi vostri pace v'aggio proferto il cor; mâ voi non piace mirar sí basso colla mente altera.Et se di lui fors'altra donna spera, vive in speranza debile et fallace: mio, perché sdegno ciò ch'a voi dispiace, esser non può già mai cosí com'era.Or s'io lo scaccio, et e' non trova in voi ne l'exilio infelice alcun soccorso, né sa star sol, né gire ov'altri il chiama,poria smarrire il suo natural corso: che grave colpa fia d'ambeduo noi, et tanto piú de voi, quanto piú v'ama. 22A qualunque animale alberga in terra, se non se alquanti ch'ànno in odio il sole, tempo da travagliare è quanto è 'l giorno; ma poi che 'l ciel accende le sue stelle, qual torna a casa et qual s'anida in selva per aver posa almeno infin a l'alba. Et io, da che comincia la bella alba a scuoter l'ombra intorno de la terra svegliando gli animali in ogni selva, non ò mai triegua di sospir' col sole; pur quand'io veggio fiammeggiar le stelle vo lagrimando, et disïando il giorno. Quando la sera scaccia il chiaro giorno, et le tenebre nostre altrui fanno alba, miro pensoso le crudeli stelle, che m'ànno facto di sensibil terra; et maledico il dí ch'i' vidi 'l sole, e che mi fa in vista un huom nudrito in selva.Non credo che pascesse mai per selva sí aspra fera, o di nocte o di giorno, come costei ch'i 'piango a l'ombra e al sole; et non mi stancha primo sonno od alba: ché, bench'i' sia mortal corpo di terra, lo mi fermo desir vien da le stelle. Prima ch'i' torni a voi, lucenti stelle, o torni giú ne l'amorosa selva, lassando il corpo che fia trita terra, vedess'io in lei pietà, che 'n un sol giorno può ristorar molt'anni, e 'nanzi l'alba puommi arichir dal tramontar del sole. Con lei foss'io da che si parte il sole, et non ci vedess'altri che le stelle, sol una nocte, et mai non fosse l'alba; et non se transformasse in verde selva per uscirmi di braccia, come il giorno ch'Apollo la seguia qua giú per terra. Ma io sarò sotterra in secca selva e 'l giorno andrà pien di minute stelle prima ch'a sí dolce alba arrivi il sole. 23Nel dolce tempo de la prima etade, che nascer vide et anchor quasi in herba la fera voglia che per mio mal crebbe, perché cantando il duol si disacerba, canterò com'io vissi in libertade, mentre Amor nel mio albergo a sdegno s'ebbe. Poi seguirò sí come a lui ne 'ncrebbe troppo altamente, e che di ciò m'avvenne, di ch'io son facto a molta gente exempio: benché 'l mio duro scempio sia scripto altrove, sí che mille penne ne son già stanche, et quasi in ogni valle rimbombi il suon de' miei gravi sospiri, ch'aquistan fede a la penosa vita. E se qui la memoria non m'aita come suol fare, iscúsilla i martiri, et un penser che solo angoscia dàlle, tal ch'ad ogni altro fa voltar le spalle, e mi face oblïar me stesso a forza: ché tèn di me quel d'entro, et io la scorza.I' dico che dal dí che 'l primo assalto mi diede Amor, molt'anni eran passati, sí ch'io cangiava il giovenil aspetto; e d'intorno al mio cor pensier' gelati facto avean quasi adamantino smalto ch'allentar non lassava il duro affetto. Lagrima anchor non mi bagnava il petto né rompea il sonno, et quel che in me non era, mi pareva un miracolo in altrui. Lasso, che son! che fui! La vita el fin, e 'l dí loda la sera. Ché sentendo il crudel di ch'io ragiono infin allor percossa di suo strale non essermi passato oltra la gonna, prese in sua scorta una possente donna, ver' cui poco già mai mi valse o vale ingegno, o forza, o dimandar perdono; e i duo mi trasformaro in quel ch'i' sono, facendomi d'uom vivo un lauro verde, che per fredda stagion foglia non perde.Qual mi fec'io quando primier m'accorsi de la trasfigurata mia persona, e i capei vidi far di quella fronde di che sperato avea già lor corona, e i piedi in ch'io mi stetti, et mossi, et corsi, com'ogni membro a l'anima risponde, diventar due radici sovra l'onde non di Peneo, ma d'un piú altero fiume, e n' duo rami mutarsi ambe le braccia! Né meno anchor m' agghiaccia l'esser coverto poi di bianche piume allor che folminato et morto giacque il mio sperar che tropp'alto montava: ché perch'io non sapea dove né quando me 'l ritrovasse, solo lagrimando là 've tolto mi fu, dí e nocte andava, ricercando dallato, et dentro a l'acque; et già mai poi la mia lingua non tacque mentre poteo del suo cader maligno: ond'io presi col suon color d'un cigno.Cosí lungo l'amate rive andai, che volendo parlar, cantava sempre mercé chiamando con estrania voce; né mai in sí dolci o in sí soavi tempre risonar seppi gli amorosi guai, che 'l cor s'umilïasse aspro et feroce. Qual fu a sentir? ché 'l ricordar mi coce: ma molto piú di quel, che per inanzi de la dolce et acerba mia nemica è bisogno ch'io dica, benché sia tal ch'ogni parlare avanzi. Questa che col mirar gli animi fura, m'aperse il petto, e 'l cor prese con mano, dicendo a me: Di ciò non far parola. Poi la rividi in altro habito sola, tal ch'i' non la conobbi, oh senso humano, anzi le dissi 'l ver pien di paura; ed ella ne l'usata sua figura tosto tornando, fecemi, oimè lasso, d'un quasi vivo et sbigottito sasso.Ella parlava sí turbata in vista, che tremar mi fea dentro a quella petra, udendo: I' non son forse chi tu credi. E dicea meco: Se costei mi spetra, nulla vita mi fia noiosa o trista; a farmi lagrimar, signor mio, riedi. Come non so: pur io mossi indi i piedi, non altrui incolpando che me stesso, mezzo tutto quel dí tra vivo et morto. Ma perché 'l tempo è corto, la penna al buon voler non pò gir presso: onde piú cose ne la mente scritte vo trapassando, et sol d'alcune parlo che meraviglia fanno a chi l'ascolta. Morte mi s'era intorno al cor avolta, né tacendo potea di sua man trarlo, o dar soccorso a le vertuti afflitte; le vive voci m'erano interditte; ond'io gridai con carta et con incostro: Non son mio, no. S'io moro, il danno è vostro.Ben mi credea dinanzi agli occhi suoi d'indegno far cosí di mercé degno, et questa spene m'avea fatto ardito: ma talora humiltà spegne disdegno, talor l'enfiamma; et ciò sepp'io da poi, lunga stagion di tenebre vestito: ch'a quei preghi il mio lume era sparito. Ed io non ritrovando intorno intorno ombra di lei, né pur de' suoi piedi orma, come huom che tra via dorma, gittaimi stancho sovra l'erba un giorno. Ivi accusando il fugitivo raggio, a le lagrime triste allargai 'l freno, et lasciaile cader come a lor parve; né già mai neve sotto al sol disparve com'io sentí' me tutto venir meno, et farmi una fontana a pie' d'un faggio. Gran tempo humido tenni quel vïaggio. Chi udí mai d'uom vero nascer fonte? E parlo cose manifeste et conte.L'alma ch'è sol da Dio facta gentile, ché già d'altrui non pò venir tal gratia, simile al suo factor stato ritene: però di perdonar mai non è sacia a chi col core et col sembiante humile dopo quantunque offese a mercé vène. Et se contra suo stile essa sostene d'esser molto pregata, in Lui si specchia, et fal perché 'l peccar piú si pavente: ché non ben si ripente de l'un mal chi de l'altro s'apparecchia. Poi che madonna da pietà commossa degnò mirarme, et ricognovve et vide gir di pari la pena col peccato, benigna mi redusse al primo stato. Ma nulla à 'l mondo in ch'uom saggio si fide: ch'ancor poi ripregando, i nervi et l'ossa mi volse in dura selce; et così scossa voce rimasi de l'antiche some, chiamando Morte, et lei sola per nome.Spirto doglioso errante (mi rimembra) per spelunche deserte et pellegrine, piansi molt'anni il mio sfrenato ardire: et anchor poi trovai di quel mal fine, et ritornai ne le terrene membra, credo per piú dolore ivi sentire. I' seguí' tanto avanti il mio desire ch'un dí cacciando sí com'io solea mi mossi; e quella fera bella et cruda in una fonte ignuda si stava, quando 'l sol piú forte ardea. Io, perché d'altra vista non m'appago, stetti a mirarla: ond'ella ebbe vergogna; et per farne vendetta, o per celarse, l'acqua nel viso co le man' mi sparse. Vero dirò (forse e' parrà menzogna) ch'i' sentí' trarmi de la propria imago, et in un cervo solitario et vago di selva in selva ratto mi trasformo: et anchor de' miei can' fuggo lo stormo.Canzon, i' non fu' mai quel nuvol d'oro che poi discese in pretïosa pioggia, sí che 'l foco di Giove in parte spense; ma fui ben fiamma ch'un bel guardo accense, et fui l'uccel che piú per l'aere poggia, alzando lei che ne' miei detti honoro: né per nova figura il primo alloro seppi lassar, ché pur la sua dolce ombra ogni men bel piacer del cor mi sgombra. 24Se l'onorata fronde che prescrive l'ira del ciel, quando 'l gran Giove tona, non m'avesse disdetta la corona che suole ornar chi poetando scrive,i'era amico a queste vostre dive le qua' vilmente il secolo abandona; ma quella ingiuria già lunge mi sprona da l'inventrice de le prime olive:ché non bolle la polver d'Ethïopia sotto 'l più ardente sol, com'io sfavillo, perdendo tanto amata cosa propia.Cercate dunque fonte piú tranquillo, ché 'l mio d'ogni liquor sostene inopia, salvo di quel che lagrimando stillo. 25Amor piangeva, et io con lui talvolta, dal qual miei passi non fur mai lontani, mirando per gli effecti acerbi et strani l'anima vostra dei suoi nodi sciolta.Or ch'al dritto camin l'à Dio rivolta, col cor levando al cielo ambe le mani ringratio lui che' giusti preghi humani benignamente, sua mercede, ascolta.Et se tornando a l'amorosa vita, per farvi al bel desio volger le spalle, trovaste per la via fossati o poggi,fu per mostrar quanto è spinoso calle, et quanto alpestra et dura la salita, onde al vero valor conven ch'uom poggi.Francesco Petrarca