Quid novi?

Pietro Bembo 6


Pietro Bembo: canzone6Donna, de’ cui begli occhi alto diletto Trassero i miei gran tempo, e lieto vissi, Mentre a te non dispiacque esser fra noi, Se vedi che quant’io parlai né scrissi Non è stato se non doglia e sospetto Dopo ’l quinci sparir de’ raggi tuoi, Impetra dal Signor non più ne’ suoi Lacci mi stringa ’l mondo, e possa l’alma, Che devea gir inanzi, omai seguirti. Tu godi assisa fra beati spirti De la tua gran virtude, e chiara ed alma Senti e felice dirti; Io senza te rimaso in questo inferno Sembro nave in gran mar senza governo, E vo là dov’il calle e il piè m’invita, La tua morte piangendo e la mia vita. Sì come più di me nessuno in terra Visse certo, e vivea pago e contento, Te qui tenendo la divina cura, Così cordoglio eguale a quel ch’io sento Non è, né credo ch’esser possa; e guerra Non fece ad uom sì dispietata e dura La spada, che suoi colpi non misura, Quant’ora a me, ch’in un sol chiuder d’occhi Le mie vive speranze ho tutte estinto; Ond’io son ben in guisa oppresso e vinto, Che pur che il cor di lagrime trabocchi, Mentre d’intorno cinto Sarò de la caduca e frale spoglia, Altro non cerco: o quando sia che voglia Di vita il Re celeste e pio levarmi ? Pregal tu, santa, e così puoi quetarmi. Avea per sua vaghezza teso Amore Un’alta rete a mezo del mio corso, D’oro e di perle e di rubin contesta, Che ratto al più feroce e rigid’orso Umiliava e ’nteneriva ’l core E sedava ogni nembo, ogni tempesta: Questa lieta mi prese e poscia in festa Tenne molt’anni; or l’ha sparsa e disciolta, Per far me sempre tristo, acerba sorte. Ahi cieca, sorda, avara, invida morte, Dunque hai di me la parte miglior tolta, E l’altra sprezzi ? O forte Tenor di stelle, o già mia speme, quanto Meglio m’era il morir, che ’l viver tanto ! Deh non mi lasciar qui più lungo spazio, Ch’io son di sostenermi stanco e sazio. Sovra le notti mie fur chiaro lume E nel dubbio sentier fidata scorta I tuoi begli occhi e le dolci parole. Or, lasso, che ti se’ oscurata e torta Tanto da me, convien ch’io mi consume Senza i soavi accenti e ’l puro sole; Né so cosa mirar, che mi console, O voce udir, che ’l cor dolente appaghi Né mica in questo lamentoso albergo, Lo qual dì e notte del mio pianto aspergo, Chiedendo che si volga e me rimpiaghi Morte, né più da tergo Lassi, e m’ancida col suo stral secondo, Poi che col primo ha impoverito il mondo, Toltane te, per cui la nostra etade Sì ricca fu di senno e di beltade. Avess’io almen penna sì ferma e stile Possente a gli altri secoli di mille De le tue lodi farne passar una, Ch’ancor di leggiadrissime faville S’accenderebbe ogni anima gentile, Ed io mi dorrei men di mia fortuna E men di morte in aspettar alcuna Vendetta contra lei de le mie rime. E poi ch’Amor mi spinge, o se ’l mio inchiostro, Mantova e Smirna, s’avanzasse al vostro Tanto che non pur lei, la più sublime In questo basso chiostro, Ma tal là su facess’opra, che ’l cielo La sforzasse a tornar nel suo bel velo: Perché non respirasse uom sì beato, Con cui cangiassi il mio gioioso stato. Se tu stessa, canzone, Di quel vederti lieta mai non credi, Che più vai desiando, a pianger riedi; E di’ del pianto molle ovunque arrive: "Madonna è morta, e quel misero vive".Pietro BemboDa: Rime diverse di molti Eccellentissimi Autori (Giolito 1545)