Quid novi?

Antonio Caraccio


O Degli affanni, e de' piacer compagnaO Degli affanni, e de' piacer compagnaDel viver mio, mia sospirata Bice,Dove vai? dove io resto, egro, infelice?Chi la cara unione, ohimè, scompagna?Perchè a l'anima mia, ch'invan si lagnaDel tuo partir, teco venir non lice,Poichè virtù di pietra, erba, o radiceMisero ! non può far, che tu rimagna?Io trarrò i giorni in tenebre dolentiPari a le notti; e viverommi intantoSolo a la tua memoria, e a' miei lamenti,E dove non potrò col tristo canto,Che 'l duol m'hà roco, celebre a le gentiTi farà il grido del mio eterno pianto.Non spente già di due leggiadre goteNon spente già di due leggiadre goteVermiglie rose, o gigli a rose misti,Piango; nè svelto i miei pensier fà tristiL'oro d'un crin, che lafciv'aura scuote.Piango in te, Bice mia, gelide, e voteInnocenza, e virtù, ch'in terra apristi,E costumi, a cui pari unqua non vistiFuro, e che'l Mondo più veder non puote.Perder beltà, che viene, e passa a volo,Qual' Iri in nube, o fior lungo un rufcello;None dolore, o de' men saggi è solo.Perdita lagrimosa è ben di quello,E di gran pianto degna, e di gran duolo,Che da qui a mille etadi era ancor bello.Benchè, Donna gentil, dal tuo bel visoBenchè, Donna gentil, dal tuo bel visoVolino a schiera i faretrati Amori;E qual co ì crini scherza, e qual tra i fioriDe l'alma guancia, e qual su i labbri assiso;Non è beltà, che fà sì attento, e fisoStupido il Mondo a i tuoi cotanti onori:Virtù più occulta è, che talor vien fuoriNe' saggi detti, e nell'affabil riso.Nube, in cui folgorando il Sol percuote,Risplende sì, ch'efler maggior si credeIl lume in lei di quel, ch'altrui dar puote.Tal de l'interna tua bellezza fedeFan crin biondo, occhi vivi, accese gote;Ma il minor pregio è in te quel, che si vede.In quella età, ch'al giuoco intenta, e al riso,In quella età, ch'al giuoco intenta, e al riso,Liberi d'ogni cura i vanni scuote,Io vidi Amor con spesse, e varie roteVolar, qual'ape, intorno ad un bel viso.Ed or restarsi infra due poma assisoDel petto, ch'oscurar l'avorio puote;Or sopra i fior de le vermiglie gotePascersi d'uno sguardo, o d'un sorriso.Io con desio pur fanciullesco, e vanoTanto il tracciai d'un'in un'altro errore,Che per un'ala al fin mi venne in mano.Ali avvidi allor di quel, che fosse Amore;Che nel pigliarlo ei m'impiagò la mano:Ma de la man corse il veleno al coreAntonio CaraccioDa: Rime de' più Illustri Poeti ItalianiScelte Dall' Abbate AntoniniAppresso Musier - all' Insegna dell' Uliva, 1732. Parte Seconda