Quid novi?

Pietro Barignano 1


IIIDi M. Pietro Barignano1 Breve riposo aver di lunghi affanni E in poca sicurtà molto sospetto; Veder fosco piacer, chiaro dispetto, In cor voto di fé, colmo d’inganni; Ridendo l’ore e lagrimando gli anni, Di vera noia trar falso diletto; Trovar morto l’ardir, vivo il rispetto, Col perder nel guadagno de’ miei danni; Gir cercando il mio ben, né saper dove; Sentir di chiusa frode oltraggio aperto E d’antichi pensier favole nuove; Coperti sdegni in lusingar scoperto, Son le cagion ch’ognor meco si truove La speranza dubbiosa e ’l dolor certo. 2 Ove fra bei pensier, forse d’amore, La bella donna mia sola sedea, Un intenso desir tratto m’avea Pur com’uom ch’arda e nol dimostri fore: Io, perché d’altro non appago il core, Da’ suoi begli occhi i miei non rivolgea, E con quella virtù ch’indi movea Sentia me far di me stesso maggiore. Intanto, non possendo in me aver loco, Gran parte del piacer ch’al cor mi corse Accolto in un sospir fuora sen venne; Ed ella al suon, che di me ben s’accorse, Col vago impalidir d’onesto foco Disse: "Io teco ardo", e più non le convenne. 3Se ’l cor ne l’amorose reti avolto, Onde né spera, né desia d’uscire, Potesse un dì, vostra mercé, sentire De la pietà che voi mostrate in volto,Tutto ’l ben d’ogni amante insieme accolto E posto al paragon del mio gioire, Vagliami il ver, dir si potria martire Di mezzo ’l centro de l’inferno tolto:Che se quando sdegnosa e altera il viso Da me torcete, sorda a’ preghi miei, Scorgo in quel vostro sdegno un paradiso,Che fora poi, s’un dì come io vorrei N’avessi un dolce sguardo, un lieto riso? Ditel voi, ch’io per me dir nol saprei. 4Fia mai quel dì che graziosa stella Mi porti al mio tesor tanto vicino, Che quasi sconosciuto pellegrino Ne involi parte, e sia poi la men bella?Che in somma qual n’avessi, o questa o quella, Non potria poi non vincer il destino, E ricco per drittissimo camino Girmene al ciel, che non andrei senz’ella.O voi, che travagliate a l’ombra, al sole, Per farvi singular fra l’altra gente, Vostri sian pur perle, rubini ed oro;Celesti sguardi, angeliche parole, Alti pensier, più che d’umana mente, Son le ricchezze del mio bel tesoro. 5Il sol che solo a gli occhi miei fa giorno, E senza il qual avrei ben notte oscura, Spesso mi mostra l’alta mia ventura Ne i vaghi lumi del suo volto adorno.Però se tante e tante volte torno A contemplar l’angelica figura, Amor m’insegna, Amor, c’ha di me cura, Amor, che meco fa sempre soggiorno.Io veggo rimirando il suo bel viso Quel che possendo poi ridir a pieno Di bella invidia colmeria ogni core;E sento del piacer del paradiso Tanto e sì caldo, che per molto meno, Non ch’altro, un ghiaccio n’arderia d’amore. 6Gli occhi, ch’ad Amor già tanti e tanti anni Pagan di troppo ardir piangendo il fio, Forbete omai con l’un, TERPANDRO mio, Che per lungo uso error non vi condanni; Con l’altro, perché mai più non v’inganni La rimembranza d’alcun bello e rio, Bevete l’acqua d’un perpetuo oblio, Dolce ristoro al fel di molti danni; Ma col terzo tagliate pria i legami Ove è sì avinto il liber voler vostro, Che tanto sete in signoria d’altrui. Per me inchinate al caro signor nostro Umilemente, e dite quanto io brami, Cangiata qualità, riveder lui. 7 [G2 G3 attribuito a N. Tiepolo]Spento era già l’ardore e rotto il laccio Ch’ebbi tanti anni al cor dentro e d’intorno, Ed a me sciolto omai facea ritorno L’antico freddo adamantino ghiaccio; Or non so come a l’amoroso impaccio Stolto a gran passi i’ pur anco ritorno, Ed a me stesso più di giorno in giorno Raccendo il foco e le catene allaccio. Sento i primi pensier a mille a mille Rinascer dentro e riportarne seco Caldo desir, speme tenace e salda. Questi sono i legami e le faville Ch’io m’avrò, lasso, ovunque i’ vada meco: Sì mi rilega Amor, sì mi riscalda. 8 [G2 attribuito a N. Tiepolo; G2 errata attribuito a P. Barignano; G3 attribuito a N. Tiepolo]L’oro, il cristallo, l’ebano e i zaffiri, E le purpuree rose in su la neve, Rubin, perle e coralli in spazio breve, E più il marmo, ch’io veggio ovunque io miri, M’han fatto sì possente ne i martiri, Che tutto quel che ad altri saria greve, Sospir, lagrime e doglie, è a me sì lieve, Ch’un men non ne vorrei de’ miei desiri. Chi vide mai sì terse chiome altrove, Sì lieta fronte, o sì tranquille ciglia, Sì lucent’occhi, o ver guancie sì vaghe Chi vide mai sì bella bocca, e dove Sì puro sen, cagion de le mie piaghe, Che d’amor m’empie, e altrui di meraviglia?Pietro BarignanoDa: Rime diverse di molti Eccellentissimi Autori (a cura di Lodovico Domenichi, Giolito 1545)