Quid novi?

Canzoniere inedito 4


XVI.Chi in una notte silenziosa e brunaGli occhi sollevi a contemplar le stelle,Vistele scintillar: quanto son belle!Dicer gli è forza, ed ammirarne ognuna:Ma come in suo splendor sorge la lunaQuale Regina fra le proprie ancelle,Porta stupor, che gli sembrasser quelleDegne di laude e maraviglia alcuna.Così, mirando delle donne il viso,A cui il Mondo per beltà s'inchina,Lor resi omaggio e riverenza anch'io.Quando però l'idea del paradisoMi venisti a mostrar, Donna divina,Tolsi d'ogn'altra. e della Terra oblìo.XVII.Ben quell'uom degno è di pietate, a cuiOgni consiglio a mal fine risponda;Cui terra avara i suoi tesori asconda,Che seco è in guerra, e co' vicini sui:Dove felice si può dir coluiCave fortuna a suoi desir secondaAl cui favor s'inchina e l'aura e l'onda,E con sè vive in pace e con altrui,Ma io nel giro d'un sereno volto,E in un tenero cuor, che mio si dice,Posseggo il pieno d'ogni bene accolto.Però di sospirar mai non mi lice;Sì di laudare il Ciel cagione ho molto,Che rendermi degnò tanto felice.XVIII.La gente ignara, che tranquilla vedeRivolta al polo suo la calamita;Dell'arcana virtù, ond'è fornita,Sin che ferma si sta, priva la crede.Se però forza dall'Amica sedeL'abbia per un'istante dipartita,Del mirabil fenomene chiarita,Attonita rimane, e al ver dà fede.Così chi misurare il nostro ardoreQuando ci vegga insiem, Donna, ha desio.Facilmente esser può tratto in errore.Ma venga allor che ci diciamo: Addio:Ma torni allor che ci rassembra Amore;E il don conosca che ci ha fatto Iddio.XIX.Poi che offerirti il cuor, chè già te l'hai,Non posso in pegno del mio sommo affetto;Cosa ti do, che pur nacquemi in petto,Dal cuor non lunge, ove tu impressa stai.E là ti prego, o cara, ove tu saiEssere il suo dover, darle ricetto;Ne per tua voglia, o per altrui dilettoQuindi ritorla, o ricambiarla mai.Così lo albergo stesso, cui naturaDato le aveva in me per suo destino,Fia che in te trovi con miglior ventura.Chè da te messa in compagnia del cuore,Godrà di palpitar col suo vicino,Calda pel foco, che v'infuse Amore.XX.Scorron l'ore notturne: ed a me accantoConfusi in un romor discorde e rocoStridere il riso, e folleggiare il giocoAscolto, e a vario suon mescersi il canto.Solo e pensoso, e di te pieno intanto,Io della càsa nel più interno locoInvan la pace ed il silenzio invoco,Prodigo di sospir, molle di pianto.Ma le lagrime pure e i sospir mieiTornanmi dolci più che l'altrui gioja,Da che tu meco, o mia gioja, non sei.E sì, lungi da te, tutto m'è noja,Che se per sempre, o Donna, io ti perdei.Anzi che viver vai meglio ch'io muoja.Giuseppe Gioachino BelliDa: "Canzoniere inedito del Belli" in La età dell'oro - Versi di Giuseppe Gioachino Belli - Roma, Dalla Tipografia Salviucci, 1851