Quid novi?

Nicolò Amanio


VIDi M. Nicolò Amanio 1Alte, sassose e dirupate rive, Che l’acque, che l’aspr’Alpi in basso loco Versan tra noi con suono orrendo e roco, V’hanno già in tutto del vostro esser prive,Simile a voi son io, chi ben descrive L’acque che sul mio cor languido e fioco Mandano gli occhi miei, ch’a poco a poco Poco ho da star tra le persone vive.Da voi si fugge ognun, ognun vi lassa; Chi può fuggir le ruinate sponde, Pigliando altro camin vi guarda e passa;Ognun da le miserie mie s’asconde, Ch’omai d’udirle ogni persona è lassa, E fugge a chi ne parlo, e non risponde. 2Maladetto sia tu, tristo aere tosco, Maladette romite aspre montagne, Maladette voi, aride campagne, Piene di serpi e venenoso tosco,Maladetto Arno, Serchio, e s’altro è vosco Fiume ch’i lordi vostri armenti bagne, E s’altro è ch’in voi scenda o in voi si stagne In maladetta valle, in selva o in bosco.Sotto sì strano cielo inferma langue Questa anima gentile afflitta e vinta Da tue moleste noie, orribil angue;Mai vedrò ancor la tua superbia estinta, Fera crudel, ch’omai languida essangue Sei nel pallor de la tua rabbia tinta. 3Fra così calde lagrime, fra tanti Sospir che ’n queste carte arder vedrete, Fra gli amorosi accenti ove udirete L’amaro suon de’ dolorosi pianti,Quanti dolci pensier, madonna, quanti Dolci sguardi soavi incontrarete, Quante dolci parole intenderete Di duo sì cari e sì leggiadri amanti!Tai fur mentre vivean d’Amor gl’inganni; Ma poi ch’ella morì, qual morte quivi Si piangerà mai più con tanti affanni?O bella prova, che per farne privi Morte de l’un di lor ne’ suoi verdi anni Fece ambi al mondo eternamente vivi. 4Se nulla altra ragion poteva aitarmi L’alma, che ’n questi abissi era smarrita, Questa mia età, ch’omai quasi è finita, A uscir di tanti error devea spronarmi.Ma né ragion, n’età potuto han farmi Così che mai de la memoria uscita Mi sia costei, né l’una e l’altra unita Forza ebber mai di tal nodo slegarmi.Or m’ha disciolto un riso, e a poco a poco Spenger vedrò ne la memoria accesa L’ardor ch’ella mostrò curar sì poco.O benedetta ingiuria, o dolce offesa!Iscuso lei s’a schivo ebbe il mio foco, Ch’oggi una tanta fede è mal intesa. 5Vana vision fallace, sogno ed ombra, Che madonna dormendo m’appresenti, Perché sì tosto che svegliar mi senti Un non so che dinanzi mi ti sgombra?Amor, ch’ognor nel bel pensier m’ingombra, La viva imagin de’ tuoi lumi ardenti Mi fa veder come fosser presenti, Né velo alcun di sonno me gli adombra.Qual sorte adunque, mentre io pur son teco, Alma gentil, par ch’un tal ben distempre, Che nel più bel veder rimanga cieco?O ciò che sei, che ’n sì diverse tempre Vaneggiando mi scherni, o resta meco Partendo il sonno, o fa’ ch’io dorma sempre. 6Un mover sol de’ begli occhi lucenti (Chi ’l potrà creder mai ?), un sol suo sguardo Fa che dentro e di fuora in un punto ardo: Pur dolce è star in queste fiamme ardenti.Le chiome sparse a lo spirar de’ venti, Ch’a mille nodi d’oro avolger guardo, Veggio legarmi il cor pensoso e tardo: Pur son lacci d’Amor soavi e lenti.Se tra perle e rubin talor l’ho udita Franger le dolci parolette accorte, O dolce in quello udirla uscir di vita!O sguardi, o chiome, o parole, o mia sorte, Agra dolcezza amaramente unita, Dolce ardor, dolce nodo e dolce morte!7Occhi, non v’accorgete, Quando mirate fiso Quel sì soave ed angelico viso, Che come cera al focoE come neve a’ raggi del sol sete ? In acqua diverrete, Se non cangiate loco Di mirar quella altiera e vaga fronte;Che quelle luci belle al sole eguali Pon tanto in voi che vi faranno un fonte. Escon sempre da loro or foco or strali!Fuggite tanti mali, Se non voi veggio al fin venir niente E me cieco restar eternamente. 8 Queste saranno ben lagrime, questi Saranno ben caldi sospiri ardenti, Altr’amor, altre voci ed altri accenti Da più amaro dolor svegliati e desti. Anima bella, quel che sempre avesti Soave amor in questa valle oscura Se con lo spirto dura, Mira qua giù dal ciel l’alta mia doglia, Che già mai qual si voglia Maggior martir non ha visto ’l mondo anco, Né per tempo avrà fin, né fia mai manco. Che non fia che del cor mai mi si sgombri Quel che vidi io di quegli occhi sì belli, Ch’erano i lumi di mia vita, quelli, Morte, che tu di eterna notte adombri, Tu, che l’acerba mia memoria ingombri: Ch’io gli vidi ver me volgersi in giro, Poi in un brieve sospiro Morir gli vidi; io ’l vidi, e s’io rimasi Vivo, mi credo quasi Ch’ebbe paura al mio dolor sì forte Forse di non morir meco la Morte. Ma perch’io allor di questo viver privo Non fussi, in un dolor tant’aspro e rio, Non fia che di morir scemi il desio, Tal vergogna ho di ritrovarmi vivo. Dunque i’ son vivo ancora ? e parlo ? e scrivo ? E morto è ’l dolce mio fido conforto, Il mio IPPOLITO è morto: Morte, e tu in tanto orror perduto ardire, Non mi sai far morire ? Figliuol, se giù dal ciel miri ’l mio male, Guarda se fu mai pena a questa eguale. O figliuol, quell’aspetto, ohimè, quel volto, Che con tante mie lagrime bagnai, I’ nol devea dopo riveder mai; E ’n sì tenera età Morte l’hai tolto (Dolorosa memoria), che rivolto, Più morto ch’egli assai, sovra ’l bel viso, Non mi potea diviso Da quella bocca alcun tener, che ancora Com’uom di senso fuora Ivi cercava, ohimè ch’io la sentiva, Quell’anima gentil che fuor ne usciva. Dolor crudel, dolor dolce, che sempre Con quell’anima cara m’accompagni, Dolor, allor sarà ch’io non mi lagni Che questo pianto in pianto mi distempre; Com’avran fin le dolorose tempre Del mio dolor, se ognor nanzi m’appare Quell’alma, e le mie amare Doglie van rinovando a tutte l’ore ? Dunque, eterno dolore, Se senza te non posso esser mai seco, Non mi lasciar, dolor, sta’ sempre meco. Può ben tallor nascosamente entrarmi Ne la mente un pensier, che pur vorria Tormi questi pensier; ma questa mia Passion non lascia in tal voglia fermarmi, E dico a me: dunque i’ vorrò ritrarmi Di non pensargli ? O mio pensier, che quella Alma beata e bella Sol m’appresenti, e voi pensose e liete, Voi che meco il vedete, E con voi sole nel mio cor sen viene, Deh non m’abbandonate, alte mie pene. Lagrime mie, che tante Verso da gli occhi mei la notte e ’l giorno, Statemi al cor d’intorno Fin ch’io ritorni a dir: il mio conforto, Lagrime amare, il mio IPPOLITO è morto!Nicolò AmanioDa: Rime diverse di molti Eccellentissimi Autori (a cura di Lodovico Domenichi - Giolito 1545)