Quid novi?

Tomaso Castellani 2


VIIDi M. Tomaso Castellani11 Signor invitto, a cui con tanti pregi L’antico Carlo il suo gran nome dona, E tu ch’adorni l’alta tua corona Col bel titol del re di tutti i regi, Il buon Pastor a voi co i santi fregi Vien carco d’anni, né al camin perdona, E con accesa carità vi sprona A più lodate imprese e fatti egregi. Vinca amor l’odio, e vostre voglie averse Ragion del sangue, e la virtù del vero L’armi superbe ad altro onor converta: Quel che già l’onde al suo gran duce aperse Per altro mar contra ’l nemico altero A maggior palme or v’ha la strada aperta. 12Signor, quando del mar l’onda s’adira, Mosso dal vento che ’l percuote e fiede, L’imagin del suo aspetto allor non vede Chi ’n tal tempesta la sua vista gira;Così la nostra vita che sospira Nel mortal corso, a cui non si concede Mai fermo stato e riposata sede, Non ben se stessa in tal travaglio mira.Nessun vegg’io, che freddo e caldo prove, Sì amico al ciel ch’i colpi aspri e molesti Schifi del mondo, e ’l suo fallace impero.Dunque la mente di chi ’l tutto muove Sempre tranquilla e i spiriti celesti Sol veder ponno di noi stessi il vero. 13O dea di Cipro e tu che ’n ciel le piume E ’n terra spieghi, che sovente a torto Già m’affligeste ed or m’avete scorto Il guado a sì mal noto e altiero fiume,Debito a tante grazie e al buon costume Il voto solvo, e al vostro tempio porto L’imagin d’un che già tra vivo e morto E in tutto cieco ha ricovrato il lume.Or canto la mia pace e i vostri altari Orno di palme ed odorati mirti, Libero e sciolto de l’ingiuste pene,E per essempio onde ciascun impari Sperar ne’ dei contra gl’ingrati spirti, Qui appendo il giogo, i lacci e le catene. 14 Anime caste e pure, Al bel servigio intente Di quel Signor che vi può far contente, Sì come il flagellar sempre voi stesse In compagnia del pianto Cangiar si deve in pace eterna e ’n riso, Così potess’io le vostr’orme impresse Al mondo seguir tanto Ch’io mi vedessi dal suo error diviso, E vosco in Paradiso Del sommo Sole al raggio alto e lucente Scaldarmi al fin fra la beata gente. 15Omai sott’altro ciel per miglior acque Correr conviemmi, over ritrar a riva, Poi che mia nave di buon vento priva Sempre in quest’onde a la fortuna spiacque.Sì dolce canto a le mie orecchie piacque D’una sirena in forma umana e viva, Che mentre errando troppo m’aggradiva Il legno mio quasi sommerso giacque.Or faccia il Ciel che più benigna stella L’errante mia speranza omai destine Al porto ver per via più dritta e bella,E quel gran Donator delle divine Grazie la mia smarrita navicella Per altro mar conduca a miglior fine. 16Machina eccelsa e invitta, che prescrivi De l’armi e di Vulcan la forza e l’arte, E de le meraviglie al mondo sparte Al tuo Milano il maggior nome ascrivi;Or più che mai securamente vivi, Poi che di Cipro Vener si diparte E viene in te, dov’è Pallade e Marte, Fatta ricetto di mortali e divi;Giunt’è Cupido con sue liete schiere, Fra i tuoi guerrier, di pargoletti Amori, Di lancie e strali armando le tue mura;Di dolce ardor empion le menti fere, Onde puoi dir: "Or CESARE di fuori, E dentro uomini e dei, mi fan secura". 17Aventurate ma più audaci piume Di quelle già che vanamente alzaro Icaro verso il ciel, onde mostraro Essempio a chi salir troppo presume,Se ’l caso averso per men caldo lume A loro avenne, or voi, ch’un sol più chiaro Scalda con raggi ardenti, qual riparo Vieta che tanto ardor non vi consume?Ma quel ch’ad altri nuoce è sol radice Del vostro ben, però movete il vento Per accrescer la fiamma che vi giova.Onde poi quella nostra alma fenice Le gran forze d’amor, l’altrui tormento, Nel proprio ardor, se stessa e voi rinova. 18Muse, se mai danno terren piangeste, Over vi mosse con letizia al canto Giamai celeste acquisto, or siate quanto Basti a la terra e al ciel gioiose e meste.Spiegando l’ale sue veloci e preste Asceso è SERAFINO al regno santo, Di cui le strade con sua voce tanto Al mondo rendea chiare e manifeste.Or l’alto Re con la sua man superna I frutti ad un ad un par che gli conte De l’util seme che già sparse in terra.Tornata è in cielo a la milizia eterna La tromba che giù scese a mover pronte Nostr’alme contra la tartarea guerra. 19 Non tremi alcun mortal di maraviglia Che qua giù mira il mio divin aspetto: Io son la dea di Cipro, del mar figlia, Donna e splendor del terzo alto ricetto. Come materna cura mi consiglia, Il fuggitivo mio figliuol diletto Cercando vo: chi l’ha veduto il dica, Se Vener cerca a’ suoi desiri amica. Chi ’ndizio alcun di lui, o del suo piede Mostra qualch’orma, o del suo vol la via, Un bascio n’averà per sua mercede Quanto dolce può dar la bocca mia; Ma chi ’l rimena a la sua propria sede Di maggior don voglio che degno sia. E perché in mille forme inganna altrui I segni udite da conoscer lui. Garzon è alato e di color di fuoco, Crespe e flave ha le chiome e ’l viso ardente, Il parlar dolce in cui non trova luoco Il vero, anzi è contrario a la sua mente; Scherza come fanciul, ma ’l scherzo e ’l gioco, Quando s’adira, cangia in duol sovente. Or corre, or vola, e non ha ferma stanza, E sempre in giro mena la speranza. Copre il pensier, ed ha le membra ignude, E un picciol arco, ma lontan aventa, Saette a fianco velenose e crude: In lui vergogna e la pietad’è spenta. La terra, il cielo e l’infernal palude Con l’aspre punte sue fiede e tormenta: Ferito ha Giove e me sua madre spesso, E l’empio non perdona anco a se stesso. Non vola senza pargoletta face, Che sopr’ogn’altra la sua fiamma estende, Né vuol con noi per alcun tempo pace, Ma i maschi petti e i giovenili accende. Febo, c’ha il raggio suo tanto vivace, Sovente a tal ardor vinto s’arrende; Anzi egli acceso già dal parto mio Pose ’l suo carro e se stesso in oblio. Chiunque il trova e giunge, il prenda e leghi, E se contende, a me per forza il meni, Né curi di suo pianto o di suoi preghi, E fugga i baci suoi di velen pieni; Se dolce ride, al riso non si pieghi, Anzi allor più lo sforzi e l’incateni, E se dicesse: "Io ti do l’arco e i dardi" (Il tutto è fuoco), da tal don si guardi. Donne, se mai materno amor v’accese, S’alcuna l’ha di voi me lo riveli, Né contra Vener sia tanto scortese Che tolga le sue forze over le celi. Ben vi so dir che le faville accese Di lui più crescon sotto i panni e i veli, Né lungo tempo il mio fallace figlio Nasconder mai si può senza periglio.Tomaso CastellaniDa: Rime diverse di molti Eccellentissimi Autori (a cura di Lodovico Domenichi - Giolito 1545)