Quid novi?

Giulio Camillo


IX Di M. Giulio Camillo 1 La fosca notte già con l’ali tese L’aere abbracciava e ’l mio partire amaro, Quando de la mia LIDIA il viso chiaro Levato al ciel tutte le stelle accese.Parea dicesse loro: "O luci apprese, Imparate arder da splendor più raro, Che i dei la terra d’altro lume ornaro Mentre la mia beltà qua giù discese".Poi volta a me con folgori cocenti, Senza temprar de la lor gran virtute Con lagrima pietosa pur un poco: "Vattene", disse, "in pace"; e mille ardenti Fiamme mi mandò al cor, mille ferute. Dunque andrò in pace così sangue e foco ? 2Fermi Giove nel cielo i patti nostri E la santa onestà gli accolga in seno, E d’intorno di fiori un nembo pieno Piova scherzando ed erba in lui non mostri,Gemma onorata, d’onorati inchiostri Degna, e di lingua che potesse a pieno Pregar candida conca e ’l ciel sereno E la rugiada pura agli onor vostri,O bella de le belle Margherite, Di cui ricca è di Senna or l’alta riva, Eterno e chiaro onor d’ambi duo noi:Ch’ambe spero le nostre fragil vite Vivran sempre, se morte non mi priva Tosto di me, o voi stessa di voi. 3Lucida perla in quella conca nata Dove già la gran madre Citerea Co’ pargoletti Amor premer solea Il mar tranquillo a la stagion più grata;Mentre il celeste umor, l’acqua beata Con le man sante insieme raccogliea, Il più caro figliuol dentro mettea E pregio e luce da me tanto amata.Ridea l’aere d’intorno, e ’l ciel diè segno Dal manco lato con un tuon soave Di tanto bene, acciò sentisse il mondo.Perla da ornar ogni corona e regno, Perché ’l mio stil per voi non è più grave?E perché non ho ingegno più profondo? 4 Né mai voce sì dolce o sì gentile Venne da canto d’amorosi augelli, Mentre ne’ cari e piccioli arbuscelli Salutano il fiorito e verde aprile; Né sì soave suon o sì sottile Fece mai ninfa in lucidi ruscelli, Qualor sen van più graziosi e belli Bagnando l’erba in valle ombrosa e umile, Come quel de la semplice Angeletta, Quando ne le mie braccia i versi legge Che ci faranno ancor forse immortali. Né posso far allora altra vendetta, Che ’l casto Amor ogni mio ardir corregge, Né chiede altro conforto a’ miei gran mali. 5 Occeano, gran padre de le cose, Regno maggior de i salsi umidi dei, Che da i vicin superbi Pirenei Or veggio pien di cure aspre e noiose, L’onde tue non fur mai sì tempestose, Né al numero de’ tristi pensier miei Crescer potrian, qualor più i venti rei T’arman contra le sponde alte e spumose. Pur se ’l liquido tuo favilla serba Di pietade amorosa, apri le strade Ne i larghi campi tuoi a’ miei sospiri; Che qual solea sfogar la pena acerba Per le dolci adriatiche contrade, Vorrei per te quetar i miei martiri. 6Padre, che turbi il cielo e rassereni Com’a te piace, il torbido che mostri Sparger sopra i real gallici chiostri Sgombri quella pietà che teco tieni.I gran spazii del ciel del tutto pieni Son di grandine accolta a’ danni nostri, E l’aquile han temprato i duri rostri Per tingerli nel cor de’ nostri seni.Crudei, rapaci ed affamati augelli, Lungi sia dal bel regno il vostro volo E in Africa deserta i vostri onori.Angeli forti in ben forniti ostelli, Che la Francia guardate a stuolo a stuolo, A voi crescan le palme, a voi gli allori. 7Rugiadose dolcezze in matutini Celesti umor, che i boschi inargentate, Dolci canne da noi tanto pregiate, E voi doni de l’api alti e divini,Or, tra gli oscuri e i lucidi confini De la notte e del dì (cose beate), In due labra dolcissime rosate Gustato ho i vostri alberghi pellegrini.Deh chi mi ruppe il sonno al gran bisogno, E da le braccia mie, da i nuovi ardori Trasse il mio bene e fece il dolce vano?Il sogno mio, diva LUCREZIA, il sogno, Ne’ suoi più dolci e graziosi errori, Vi fa pietosa, e ’l ver fors’è lontano. 8Re de gli altri superbo altero Augello E tu, Nunzio del giorno, poi che ’l cielo Levato v’ha da gli occhi il fosco velo, Che tanto piacque al serpe empio e rubello,Temprate i duri rostri, e questo e quello, Quasi fragroso folgorante telo Spinto da un puro ed onorato zelo, Gli franga il dorso suo squamoso e fello;Ch’or mel par riveder nel lito moro Vibrar la lingua ed arrotar i denti, Per darci d’ogni error debite salme.Sì vedrem poi statue d’argento e d’oro Drizzarvi a l’aura, e con leggiadri accenti Cantar le glorie altiere, invitte ed alme. 9Ossa di maraviglia e d’onor piene, Che sosteneste già carne e figura Del maggior cavalier che mai natura Fe’ contra Spagna e l’africane arene,Anzi il gran dì de i premi e de le pene Uscite ignude de la tomba oscura Sol per opporvi a quelle di misura Che ’l più nobile spirto in vita tiene.Il gran Re, che ’l francesco almo paese Regge benigno, e ’l nome da lui prende, Dal sommo è par a voi fino a le piante;Ma se ’l valor, se l’animo cortese Di duo principi invitti ancor contende, Men chiaro fia il buon sir vostro d’Anglante. 10Fiamme ardenti di Dio, Angeli santi, Che la guardia di Francia in sorte avete E con gli alati spirti uniti sete Ch’al gran Re portan la corona avanti,Gli invisibili vostri aiuti tanti Han teso la sottile ed ampia rete Onde presa al trionfo omai traete La Fortuna di CARLO e i suoi gran vanti.Nimica di virtù, cieca sfacciata, Quanti languon per te, quanti son morti? Quante impudiche e ’n dolorosi lutti?Te dea diremo a CARLO maritata Cagion di tante ingiurie e tanti torti, Te gridan dietro gli elementi tutti.Giulio Camillo (Delminio)Da: Rime diverse di molti Eccellentissimi Autori (a cura di Lodovico Domenichi - Giolito 1545)