Quid novi?

Il Malmantile racquistato 04-2


QUARTO CANTARE28Il Fendesi a scappare anch'ei fu lesto,Con gli altri tre correndo a rompicollo;Volendo risicar prima un capresto,E morir collo stomaco satollo,Che restar quivi a menarsi l'agresto (481),Ed allungare a quella foggia il collo.Il danno certo è sempre da fuggire;S'egli avvien peggio poi, non c'è che dire.29Lasciam costoro, e vadan pure avantiCercando il vitto lì per quel contorno;Che se fame gli caccia, e' son poi fantiDa battersi ben ben seco in un forno;Perchè d'un gran guerrier convien ch'io canti,Mezzo impaniato, perch'egli ha d'intornoUna donna straniera in veste bruna,Che s'affligge e si duol della fortuna.30Calagrillo è il guerriero, e via pian pianoCavalcando ne va con festa e gioia,Ognor tenendo il chitarrino in mano,Perchè il viaggio non gli venga a noia.È bravo sì, ma poi buon pastricciano (482);E' farebbe servizio infino al boia:Venga chi vuol, a tutti dà orecchio,Sebben e' fosse il Bratti Ferravecchio (483).31Poichè bella è colei che si disperaSempre piangendo senz'alcun ritegno,E vanne, come io dissi, in cioppa (484) neraPer dimostrar di sua mestizia il segno,Perciò con viso arcigno e brutta ceraPar un Ebreo ch'abbia perduto il pegno;E di quanto l'affligge e la travaglia,Calagrillo il campion quivi ragguaglia.32Signore, incominciò, devi sapere,Ch'io ebbi un bel marito; ma perch'ioDissi chi egli era contro al suo volere,Già per sett'anni n'ho pagato il fio;Perch'egli allor, per farmela vedere,Stizzato meco se n'andò con DioIn luogo, che a volerlo ritrovareLa carta vi volea da navicare.33E quando poi io l'ho bell'e trovato,Martinazza, ch'è sempre lo scompiglia,Fa sì, che pur di nuovo m'è scappato,Ed in mia vece all'amor suo s'appiglia.Tal ch'io rimango cacciator sgraziato:Scuopro la lepre, e un altro poi la piglia.Ti dico questo, perchè avrei volutoChe tu mi dessi a raccattarlo aiuto.34Ei le promette e giura che 'l maritoLe renderà; però non si sgomenti:E se non basterà quel c'ha smarrito,Quattro e sei, bisognando, e dieci e venti.Ed ella lo ringrazia, e del seguitoDi tante sue fatiche e patimenti(Fatta più lieta per le sue promesse)Così da capo a raccontar si messe:35Cupido è la mia cara compagnia,Ricco garzon, sebben la carne ha ignuda;Anzi non è: t'ho detto una bugia;Perch'ei non mi vuol più cotta nè cruda.Ma senti pure, e nota in cortesia:Quando la madre sua, ch'era la drudaDel fiero Marte, idest la Dea d'Amore,Gravida fu di questo traditore,36Perch'una trippa avea, che convenivaChe dalle cigne omai le fosse retta,Cagion, che in Cipro mai di casa usciva,Se non con due braccieri ed in seggetta;Pur sempre con gran gente e comitiva,Com'a Regina, com'ell'è, s'aspetta;I paggi addietro e gli staffier dinanzi,E dagl'inlati due filar di Lanzi (485);37Essendo così fuori una mattinaPer suoi negozi e pubbliche faccende,Urtò per caso una vacca trentina (486),E tocca appena, in terra la distende;Ond'ella, dopo un'alta rammanzina,Perch'una lingua ell'ha che taglia e fende:Va', che tu faccia, quando ne sia otta,Un figliuol, dice, in forma d'una botta.38E così fu; chè in vece d'un bel figlio,Di suo gusto e di tutt'i terrazzani,Un rospo fece come un pan di miglio,Che avrebbe fatto stomacare i cani;Che poi, cresciuto, fecesi consiglioDi dargli un po' di moglie; ma i mezzaniNon trovaron mai donna nè fanciulla,Che saper ne volesse o sentir nulla.39Se non che i miei maggiori finalmente,Mio padre che 'l bisogno ne lo scanna,Con un mio zio ch'andava pezïente (487),E un mio fratello anch'ei povero in canna (488),Sperando tutti e tre d'ungere il denteE dire: o corpo mio, fátti capanna (489),E riparare ad ogni lor disastro,Me gli offeriro, e fecesi l'impiastro.40Fu volentier la scritta stabilita;Io dico sol da lor, che fan pensieroDi non aver a dimenar le dita (490),Ma ben di diventar lupo cerviero.E perchè e' son bugiardi per la vita,Dimostrano a me poi 'l bianco pel nero;Dicendomi, che m'hanno fatta sposaD'un giovanetto, ch'è sì bella cosa.41Soggiunsero di lui mill'altre bozze;Ma quando da me poi lo veddi in facciaCon quella forma e membra così sozze,Pensate voi se mi cascò le braccia:Anzi nel giorno proprio delle nozze,Che a darmi ognun venia il buon pro vi faccia,Ogni volta, con mio maggior dolore,Sentivo darmi una stoccata al cuore.42Non lo volevo; pur mi v'arrecai,Veduto avendo ogni partito vinto (491);Ma perchè non è il diavol sempre maiCotanto brutto com'egli è dipinto,Quand'io più credo a gola esser ne' guai,Ecco al mio cuore ogni travaglio estinto;Vedendo ch'ei lasciò, sendo a quattr'occhi,La forma delle botte e de' ranocchi.43E molto ben divenne un bel garzone,Che m'accolse con molta cortesia;Ma subito mi fa commissïone,Ch'io non ne parli mai a chicchessia,Perch'io sarò, parlandone, cagioneCh'ei si lavi le man de' fatti mia,E per nemmen(492) sentirmi nominareSi vada vivo vivo a sotterrare.44E perchè quivi ancora avrà pauraCh'io non vada a sturbargli il suo riposo,Avrà sopr'ad un monte sepolturaChe mai si vedde il più precipitoso,Ed alto poi così fuor di misura,Che non v'andrebbe il Bartoli (493) ingegnoso;Oltrechè innanzi ch'io vi possa giugnere,Ci vuol del buono, e ci sarà da ugnere.45Poichè una strada troverò nel piano,Che veder non si può giammai la peggio;Poi, giunta a piè del monte alpestre e strano,Con due uncini arrampicar mi deggio,Menando all'erta or l'una or l'altra manoCome colui che nuota di spasseggio;Ed anche andar con flemma e con giudizioS'io non me ne vogl'ire in precipizio.46Scosceso è il monte, in somma, e dirupato;E 'l viaggio lunghissimo e diserto.Così disse Cupido smascherato,Dopo cioè ch'ei mi si fu scoperto;Ond'io promessi di non dir mai fiato,E che prima la morte avria sofferto,Che trasgredir d'un punto in fatti o in dettiI suoi gusti, i suoi cenni, i suoi precetti.47Nè tal cosa a persona avrei scoperta;Ma perchè tuttavia la gente scioccaRidea del rospo e davami la berta,Ed io che quand'ella mi viene in coccaNon so tenere un cocomero all'erta,Mi lasciai finalmente uscir di boccaChe quel non era un rospo, ma in effettoUn grazïoso e vago giovanetto.48E che, se lo vedesson poi la notteQuando in camera meco s'è serratoE getta via la scorza delle botte,Ch'un Sole proprio par pretto sputato,Le male lingue forse starian chiotteChe sì de' fatti altrui si danno piato;Perocchè non si può tirare un peto,Che il comento non voglian fargli dreto.49Le ciglia inarca e tien la bocca strettaChiunque da me tal maraviglia ascolta;Ma quel che importa, a sordo non fu detta;Chè Vener che ogni cosa avea ricolta,Per veder s'ella è vera o barzelletta,Poichè a dormire ognun se l'era colta,Entra in camera e vien pian piano al letto,E trova il tutto appunto come ho detto.50E nel vedere in terra quella spogliaChe per celarsi al mondo il giorno adopra,Di levargliela via le venne voglia,Acciò con essa più non si ricuopra;Così la prende, e poi fuor della sogliaFa un gran fuoco e ve la getta sopra:Nè mai di lì si volle partir Venere,Insinchè non la vedde fatta cenere.51Fu questa la cagion d'ogni mio male;Perchè quando Cupido poi si desta,Si stropiccia un po' gli occhi e dal guancialePer levarsi dal letto alza la testa,E va per rivestirsi da animale,Nè trovando la solita sua vesta,Si volta verso me, si morde il dito,E nello stesso tempo fu sparito.52Non ti vo' dir com'io restassi allora,Che mi sovvenne subito di quandoIl primo dì mi si svelò, che ancoraMi fece l'espressissimo comandoChe in alcun tempo io non la dessi fuora;Ed io son ita, sciocca, a fare un bando:E poi mi pare strano e mi scontorco,S'egli è in valigia (494) ed ha comprato il porco (495).53Sospesa per un pezzo me ne stetti,Ch'io aspettava pur ch'ei ritornasse;A cercarne per casa poi mi detti,Per le stanze di sopra e per le basse.Guardo su pel cammin, giro in su i tetti,Apro gli armari e fo scostar le casse;Nè trovandolo mai, al fin mi muovoPer non fermarmi finch'io non lo trovo.54Scappo di casa, e via vo sola sola;Nè son lontana ancora una giornata,Ch'io sento dire: aspettami figliuola.Mi volto, e dietro veggomi una Fata;E perch'ella mi diede una nocciuòla,Quest'è meglio, diss'io, d'una sassata.Di ciò ridendo, un'altra sua compagnaMi pose in mano anch'ella una castagna.55Ed io, che allora avrei mangiato i sassi,M'accomodai per darvi su di morso;Ma fummi detto ch'io non la stiacciassi,Se un gran bisogno non mi fosse occorso.Vergognata di ciò, con gli occhi bassiIl termine aspettai del lor discorso;Poi, fatte le mie scuse e rese ad ambeMille grazie, le lascio, e dolla a gambe.Note:(481) MENAR L' AGRESTO. È modo basso per dire, perdere il tempo.(482) PASTRICCIANO. Uomo di buona pasta.(483) BRATTI ecc. Più che un nome proprio, questo pare che sia un nome comune, corrotto da, Baratta ferri vecchi.(484) CIOPPA. Sorta di gonnella.(485) LANZI. Fanti di lancia, altrimenti detti Trabanti. (Salvini.)(486) VACCA TRENTINA. Così chiamiamo certe donnicciuole poco oneste. (Minucci.)(487) PEZIENTE, ora pezzente.(488) IN CANNA, cioè Quanto una canna, che è priva e vota d'ogni sostanza, non tanto fuori, che dentro. (Biscioni)(489) FÀTTI CAPANNA. Diventa capacissimo, sì che si possa insaccar sempre.(490) DIMENAR LE DITA ecc. Lavorare, per mangiar come lupi.(491) PARTITO VINTO. Determinazione presa irrevocabilmente.(492) PER NEMMEN. Anche solo a sentir me che lo nomini.(493) IL BARTOLI, Cosimo, fu un reputato ingegnere.(494) S'EGLI È IN VALIGIA. Se è in collera.(495) COMPRARE IL PORCO. Andarsene senza dire addio, come fa chi, nel comprare, inganna il venditore; che se ne va subito, per paura di essere richiamato a rivedere i conti.Lorenzo LippiDa: "Il Malmantile racquistato" di Lorenzo Lippi (alias Perlone Zipoli), con gli argomenti di Antonio Malatesti; Firenze, G. Barbèra, editore, 1861)(segue)