Quid novi?

Canzoniere inedito 8


XXXVI.Il pellegrino che di notte vadaPer mezzo a bosco pauroso e fiero,Ove i dumi frequenti e l'aer neroTenganlo in forse di smarrir sua strada;Se mai gli avviene che, mentitegli bada.Sorga un lume diretto al suo sentiero,Forte respira, e del timor primieroEsce che in fallo o in precipizio cada.Tale in questo mortai pellegrinaggioSenza guida e conforto io me ne giva.Dubbio del line, e stanco del viaggio:Quando una stella in ciel pur m'appariva;Ma del benigno e grazioso raggioImprovvisa procella ecco mi priva.XXXVII.Quasi il lasciarti, o mio nobile acquisto.Mi dovesse parer lieve iattura.Con la fortuna si accontò naturaPer via più farmi sconsolato e tristo.Ed io, che dianzi le tue stelle vistoRidermi avea di gioja amica e pura.Mi vidi circondar di notte oscuraDa fiero nembo di baleni misto.Giù la pioggia cadea. soffiava il vento,Stridean gli augelli, e a le guardate stalleQua e là fuggia lo sbigottito armento.Muto io fratanto divorava il calle;E, pensando al tuo duolo, ogni momento(Mi occhi mesti volgea dietro le spalle.XXXVIII.Il montana!', che dall'avita brumaScende d'Elvezia, e va fra strania gente.Dove sua libertà vender consenteA qual pria meglio di merceria assuma;S'avvien che, mentre la sua pipa fuma0 tracanna il bicchier di vin possente.Cantar le glorie della patria sente.Cade in tristezza, e piange, e si consuina.Nè a lui rimane più speme di vita.Se messi i nuovi alberghi in abbandono.Presto non torni alla sua bruma avita.Di quegli esempio in questa terra io sono,Che provo in petto ogni virtù smarritaSempre che del tuo nome ascolti il suono.XXXIX.O vigil vecchio, o tu. che di minutiTue membra accresci, e le fai dure e forti,Che trascorrendo la rea falce portiSopra la terra, e la sua faccia muti:Tu che alterni i natali con le morti.E l'un persegui mentre l'altro aiuti.Fin clic il dì venga che tua rabbia attutiDio fondatore di novelle sorti:Va, fuggi, vola; e poiché sordo sieiQuando ti prego di passar più lentoSulle brevi ore de' contenti miei;Or che in angoscie mi consumo e stentoOdimi almeno, ch'io da te, vorreiChe ciascun giorno mio fosse un momento.XL.Romito augel che dalle alpine vette,Onde servaggio a noi spesso si muove.Voli nel Ciel tra i fulmini di Giove,Fido ministro delle sue vendette:Dimmi come pupille hai sì perfette,Che mentre incontro al Sol poggi, là dovePiù la virtute de' suoi raggi pioveFerme le tieni ed al suo centro strette.Ch'io ben vorrei saper siccome il lumeIo potessi mirar d'un altro Sole,Senza temer de' suoi raggi l'offesa,Temo però che a me non sia difesaDa che forte Ragion gridami, e vuoleChe questi un astro già non sia, ma un Nume.Giuseppe Gioachino BelliDa "Il Canzoniere inedito di G. G. Belli", Estratto dal fascicolo di gennaio 1916 della Rivista d'Italia - Roma Piazza Cavour, Roma - Tipografia dell' Unione Editrice, via Federico Cesi 45In "La Età dell' Oro", Roma dalla Tipografia Salviucci, 1851