Quid novi?

Giovanni Muzzarelli 2


X Di M. Giovan Mozzarello7 Per tener verde in me l’alto desio Di sempre arder d’un foco in ch’io ne stanchi Lo stil, l’ingegno, e perché mai non manchi Per lontananza over forza d’oblio, E torni poi sovente il signor mio A trar sospiri a’ non sanati fianchi, Onde cibo a i pensier noiosi e stanchi Abondi nel digiun sì lungo e rio, Agli occhi tristi or questa donna or quella, Che ’l vulgo suol prezzar, dimostro ad arte, E quanto ogni altra sia di voi men bella; Allor vi scopre l’alma a parte a parte Ne la memoria e grida: "Ahi dura stella, Dal bel tesoro mio chi mi diparte ?". 8Tutto ’l sostegno, Amor, che d’un bel volto E d’accenti ne vien cortesi onesti Ebb’io quel dì ch’Amor mi concedesti In un soggetto ogni valor raccolto.Per che poi giorno e notte al mio ben vòlto, Presso o lunge, in pensier lieti o molesti, Odo una voce e miro i duo celesti Lumi, e d’altro giamai non mi cal molto.Invidia, che sì spesso indi mi svia, Tolga agli occhi, a l’orecchie il proprio obietto, Acerba, e le dolcezze mie distempre;A l’alma torre sol l’alto diletto Morte può di sentir la donna mia Ovunque io vada e di vederla sempre. 9O desir di quest’occhi, almo mio sole, Che sì lunge da voi m’ardete il petto, O fin del mio voler, del mio intelletto, Dolci, soavi, angeliche parole,O celesti eccellenze al monde sole, Ch’altro non tiene in sé che sia perfetto, O chiome d’oro, onde m’ha il cor sì stretto Amor che d’altro ordir lacci non suole,O rose eterne sparse infra le brine Tenere e lievi, o più che bella mano, O cantar onde ’l ciel non pur uom goda,O lume del mio cor soave e piano, O mille altre bellezze alte e divine, Deh sarà mai ch’io vi riveggia ed oda ? 10Del cibo onde io vivea sì dolcemente Mentr’ebbi con Amor più lieta sorte, Beltà divina e le maniere accorte Che di dolci pensier pascean la mente,Lo mio fero destin m’ha fatto assente, Né so chi mi nodrisca e mi conforte Nel gran digiuno, ond’io n’attendo morte, Che già ne gli occhi miei vede la gente.Erisiton, quanto lodar ti puoi Del tuo stato miglior, se mille cose Potean saziar la tua infinita doglia.Un cibo ha il mondo sol fra tutti i suoi Che può sbramar le mie fiamme amorose: E di questo un, dolente, il ciel mi spoglia. 11Aere sereno, aperte piaggie apriche, Verdi poggi, antri, boschi e lucid’onde, In cui si specchian da l’erbose sponde Mille belle d’amor memorie antiche,Valli riposte a’ sospir dolci amiche, Ov’al pianto di Progne Ecco risponde, E lievi aure scherzando intra le fronde Prometton requie a l’aspre mie fatiche,Letizia eterna le purpuree penne Mova d’intorno al grazioso grembo, U’ beltà di se stessa s’innamora,Poi che da voi il gran parto al mondo venne Che ’l celeste real ceruleo lembo Sparso di gigli eternamente infiora. 12Ninfe, che i verdi colli e l’acque vive Di Mergo e Sesia, e l’uno e l’altro corno Del re de’ fiumi fate altero e adorno, Spargendo l’oro a le fresch’aure estive,I’ facea, lasso, in queste vostre rive Di voi cantando un più dolce soggiorno, Or a gran passi via sen viene il giorno Che di mia voce voi, me di voi prive.Vommene, e vommi eternamente in bando, S’un qualche sogno a voi non mi riporta Col dolce imaginar de’ miei desiri.Mia voce quanto a voi del tutto è morta, S’alcun suo tristo accento non vi mando Su per quest’onde a forza di sospiri. 13ITALIA mia, il tuo sì lungo pianto Co i sospir molti e gravi Racqueta omai, poi che ’l secondo Giove, Cui son dal ciel commesse ambe le chiavi Con l’onorato manto Perché ristauro a’ tuoi danni ritruove, E per te stessa prove Quant’era ogn’altro d’onor tal men degno, Lieto ti porge l’una e l’altra mano. E perché incerto e vano Infino ad or tornato è ogni disegno, A lui senza altro ingegno Pòi ritentar umile Scoprir le tue profonde indegne piaghe, Sì che cangiando stile Risaldi ogni tuo vizio e danno appaghe. I duri oltraggi e tanto l’altrui ferro Tinger col propio sangue Puoi obliar, e quel comun disnore Per cui molti anni ogni buon’opra langue. Perciò che s’io non erro Pieno gran tempo d’un bel sdegno il core Il saggio almo Pastore La notte e ’l giorno a sollevarti intende. Però con quel vigor ch’anco ti resta, Così dogliosa e mesta, Poscia che di tal man soccorso attendi, Prendi partito, prendi, E ogni contraria voglia, Onde al ciel non potean giunger tuoi prieghi, In un voler s’accoglia, Tal che il gran Padre al tuo chiamar si pieghi. Perché dal dì ch’a mille altre ruine Lasciò aperta la strada, Quando il popol roman fece Alarico Affliger con la fame e con la spada, Mai sentenze divine, Per farti il mondo d’ogni parte amico Cangiando l’odio antico Ne la tanti anni sospirata pace, Non ti dieder più saggio ed umil padre; Il qual senza altre squadre Che de’ santi costumi, onde al ciel piace, U’ ’l mal sente vivace Ch’occupava ogni luogo Va disperdendo con mirabil cura, Perché da l’aspro giogo Possa il collo ritrar lieta e sicura. Dunque sian l’acque de’ correnti fiumi, Già sì vermigli e lenti, Dolce cristallo; il suo pregio natio Rivestan le campagne, sì che spenti I fier primi costumi Sol tenga il mondo di valor desio, E di rubesto in pio Si muti ogni voler, e d’ogni intorno Sudi di mel, come già il secol d’oro, Ogni odorato alloro; E dal già tanto desiato corno, Di gentil copia adorno, Sì vaga primavera, Sì dolce auton, sì largo onor trabocchi, Che poi, com’altri spera, Incontro ogni sventura indarno scocchi. Quinci tanta dolcezza si distilli Che gli animi sì crudi, Cui lungo odio civil cotanto gira, Tosto sian giunti d’impietate ignudi Al loco onde partilli Gran tempo ingiusto sdegno od altrui ira. Che già di Cipro spira L’alta regina, e move dal bel seno Un sì caldo piacer e sì dolce aura Che ’l mondo tutto inaura E di soave amor cuopre il terreno; A’ più protervi il freno Stringendo sì ch’omai La strada d’ogni onor si trovi aperta, E dopo tanti lai In dolce pace ogn’odio si converta. Signor, i’ parlo a voi, poiché presente In ciascun loco sete, Empiendo ognor di vostra alta virtute Quanto il sol scalda, e ’l ciel, come vedete, D’alzarvi non si pente, Perché ferma da voi certa salute Aspetta; e che si mute Il suo stato sì oscuro e sì doglioso Italia, che la sua fosca ed amara Voce tanto rischiara Al vostro onor, ed al suo mal riposo Promette alto e gioioso, Più che l’usato lieta. Dunque aprasi il camin, che tanto serra Marte superbo e vieta, E segua pace eterna omai la guerra. Ch’altri lauri Babel e chiunque alberga Fra il Nilo e l’Eufrate Tesse per adornarvi ognor la chioma; Di che tanto vi stringa alta pietate, Che da vendetta s’erga De le sue gravi offese e molte Roma, E chi da voi si noma, Sì che cometta a’ più lodati inchiostri Nuovi trionfi e poetando scriva Ciascuno, e con più viva Vena dopo mill’anni altrui dimostri In parte gli onor vostri, E di cotanta gloria Si dia materia sempre a nuovi versi, E sian di voi memoria Turchi, Medi, Caldei, Tartari e Persi. Se ’l tuo poco ornamento, Canzon, non ti togliesse il gir in parte Ov’è ch’Italia e tutto il mondo onora, Direi che uscendo fuora Il Vatican cercassi a parte a parte, Pregando che di Marte L’alto furor s’estingua, Sì che si svegli onde movesi solo Ogni più chiara lingua, Ornando il nome ch’io celebro e colo.Giovanni MuzzarelliDa: Rime diverse di molti Eccellentissimi Autori (a cura di Lodovico Domenichi - Giolito 1545)